Bireli Lagrene

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Intervista di Pierluigi Sassetti

 

Avevo quattro anni, e ho fatto la cosa che più mi è venuta naturale, ovvero prendere la chitarra che girava per casa. Tutto sommato, posso dire che la chitarra sia sempre esistita nella mia vita, c’è sempre stata una chitarra, per questo motivo non saprei dire esattamente quando ne ho vista una per la prima volta. Era lì e l’ho presa, e mio padre si è interessato al fatto che mostravo passione per uno strumento. Così la cosa è nata ed è andata avanti abbastanza velocemente, ho imparato un paio di accordi, mio padre mi ha mostrato un paio di cose e tutto è stato piuttosto naturale, da autodidatta, senza note o cose del genere, semplicemente suonando le corde, premendo i tasti e ascoltando il risultato che veniva fuori. Non sapevo certamente leggere le note e non era importante saperle leggere.

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È così che ho iniziato a far pratica di brani che adesso sono ancora qui con me, Nuages e Minor Swing, per esempio, non li suono perché sono degli standard manouche, ma perché sono parte integrante della mia vita musicale. Sono cresciuto con questi brani e molti altri, e non ho motivi per non suonarli. Poi mi piacevano perché ci ho sempre trovato una difficoltà che mi istigava a saperne di più, a capire di più. I passaggi di Nuages sono parte integrante del mio stile, sono quei passaggi che mi hanno permesso di capire e di imparare. Ho imparato che cosa volesse dire l’armonia da brani come questi, anche se ero praticamente un bambino e non conoscevo tutto della musica. Ad esempio non sapevo i nomi degli accordi e tutte le varie sostituzioni. Ma quello che riuscivo a suonare era per me la cosa più naturale da fare, perché andavo dietro al brano a orecchio e suonavo quello che mi sembrava giusto, che sentivo essere giusto. La sintonia insomma, la mia sintonia con il brano nasceva sulla base di ciò che sentivo. E a mio fratello piaceva il mio suono, le cose che buttavo giù con la chitarra.

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Quando cresci con la musica di Django l’improvvisazione è una cosa quasi naturale. Lui improvvisava e di conseguenza tu improvvisi. Sai che lui improvvisava e sai che tu dovrai improvvisare. Quindi, dopo gli accordi, i temi, sai che ti dovrai confrontare con l’improvvisazione. L’ho fatto con naturalità, senza studiare, ma facendolo, ore e ore senza trovare eccessivo quello che stavo facendo. Stare con la chitarra in mano a dieci anni per dieci ore al giorno è stato come giocare per tutto quel tempo. La musica è un gioco bellissimo, un gioco che ti porta a imbracciare un oggetto bellissimo e affascinante come la chitarra, un oggetto unico. Tu suoni, poi senti il bisogno di capire, allora metti su i dischi, i vinili, con la puntina che sposti continuamente per andare avanti e indietro e così facendo le finisci, le distruggi. Per me era una pratica, una specie di autodisciplina che non ho mai confuso con niente. È sempre stata costante, fino a consumare letteralmente i dischi di Django. Oggi non sono molto diverso rispetto a un tempo, ho la medesima pignoleria, è maturata in me fin da piccolo.

 

 

Traduzione dal tedesco a cura di Giuseppina Pagliafora

(Estratto dell’intervista di Pierluigi Sassetti a Bireli Lagrene realizzata il 29 giugno 2013 all’Artusi jazz Festival di Forlimpopoli. L’intera intervista verrà pubblicata a breve). Sabato 29 giugno 2013.

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