L’educazione nel Discorso del Capitalista

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di Alessandro Guidi e Pierluigi Sassetti

Poniamo bene in chiaro che i Discorsi formulati da Lacan, sono la chiave d’accesso per capire le modalità mediante le quali un soggetto riesce a costruire un legame sociale con l’Altro. Partendo da Il Disagio della Civiltà di Freud non si può che arrivare al Discorso del Capitalista, e alla logica perversa che lo caratterizza, nonché all’onnipresenza dell’oggetto feticcio.

È lecito chiedersi, come sia mutato il quadro tracciato da Freud ne Il Disagio della civiltà, nell’epoca della conclamazione assoluta del Discorso del Capitalista di Lacan, e come l’educazione non possa non riflettere su questa realtà, per produrre un pensiero sui cambiamenti apparentemente impercettibili del moderno soggetto sociale, ed in particolar modo nei confronti del soggetto studente. Soggetto che, nel passaggio dal Discorso del Padrone (o del Maestro) a quello del Capitalista, ha cambiato fisionomia, è diventato qualcosa verso il quale la moderna scienza dell’educazione non ha prodotto un modello educativo efficace, in quanto la sua messa a fuoco è quantomeno improbabile, se la ricerca insiste nell’esclusione del senso profondo indicatoci da Lacan non solo del valore della pulsione ma soprattutto del soggetto-del-godimento. Chiariamo ancora meglio che la moderna scienza dell’educazione ancora non si è misurata con il soggetto-del-godimento, in quanto tale soggetto viene contemplato da quella psicoanalisi rispetto alla quale la pedagogia ha sempre tentato di mantenere una certa distanza di sicurezza. Questa deduzione la potrebbe ricavare qualsiasi pedagogista che abbia la forza di ammettere che, tutto sommato, la questione educativa, salvo superficiali ed immaginari cambiamenti, è rimasta ciò che è da sempre, ovvero una pratica inscritta nel Discorso del Padrone in relazione ad un servo, tra ortopedia, logica materna, e scienza di matrice cognitivista.

Tali considerazioni sono frutto di anni di raccolta di dati e esperienze su casi seguiti in direzione dell’Atto Pedagogico. Una sperimentazione, quella dell’Atto Pedagogico, in cui abbiamo appurato la presenza di un soggetto studente radicalmente mutato, diverso rispetto a quel prototipo embrionale che egli era nel momento del Discorso del Padrone, in cui si è venuta a creare la prima veste ufficiale di servo-studente. Nei dieci anni di pratica di ascolto realizzata con studenti, abbiamo compreso come ciò di cui questi soggetti soffrono, non sia qualcosa di patologicamente conclamabile, bensì una specie di spiccata normalità, generata degli effetti del Discorso del Capitalista. Puntualizziamo, quindi, come la nostra attenzione sia stata indirizzata unicamente verso questi studenti così detti “normali”, che non presentano alcuna forma di patologia psichica, quanto invece un disagio derivante dal modello del classico perfetto studente nel quale si sono calati. Ci siamo occupati non solo di studenti che mostravano palesemente un disagio, una sofferenza, ma anche del classico studente, sveglio, motivato, apparentemente presente a se stesso, ma che invece, da un punto di vista degli effetti che il Discorso del Capitalista genera, ha mostrato qualcosa di “sospetto”. Sospetto per il fatto che tutto ciò che si abbatte su di lui dalla tenera infanzia all’età della maturità, al di là degli effetti edipici mai minimizzabili, mostra palesemente effetti che ci rimandano ad un godimento fuori controllo. Questa realtà, dal nostro punto di vista, si pone come ostacolo a ogni principio educativo, ad ogni effetto educativo. I motivi sono vari e molteplici, ma pur sempre riconducibili alla misera ma potente simbologia che il Discorso del Capitalista lascia fluttuare liberamente nel sociale, annullando ogni sorta di opposizione.

 

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