Lo studente e la sua jouissance

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Di Pierluigi Sassetti

 

Un soggetto soffre di godimento per sua natura, ma anche per tutto quanto viene alimentato nel sociale davanti ai suoi occhi, come ciò che abbiamo definito una scarna potenza equivalente all’unico senso che il Discorso del Capitalista genera, ovvero il capitale stesso. Nella consapevolezza di quanto sia importante la relazione oggettuale in adolescenza, il rapporto con il feticcio, non si rende possibile quindi misconoscere ulteriormente questo dato, soprattutto dopo essere andati a verificare cosa accade nel soggetto adolescente nella sua natura di soggetto del godimento, di consumatore per eccellenza, quando l’oggetto da godere ha tutte le caratteristiche di perversione, caoticità e a-simbolismo che il Discorso del Capitalista impone in ogni suo oggetto prodotto. L’oggetto ha la capacità di rendere illusoriamente completo, totale, mai mancante, il senso che ogni studente adolescente ha di sé. Un individuo che tendenzialmente si realizza non mediante l’educazione ma attraverso la quiete pacifica e godimentosa che il possesso dell’oggetto conferisce nell’economia della sua potenziale inquietudine e modo di percepirsi. Questa riflessione si basa sul dato sociologico che, nella vita di ogni studente, si abbattono quotidianamente una enorme quantità di oggetti del godimento, attraenti, luccicanti, estremamente tecnologici. Oggetti che nell’ex-bambino appartengono per logica a qualcosa di adulto che egli desidera ardentemente possedere per sé al fine di apparire come tale. L’inganno è appunto quello di essere qualcosa sulla base del possesso e del consumo, che, nella ciclicità nevrotica, compulsiva di tale Discorso, ovvero nell’aggiornabilità dell’oggetto, nel suo avanzamento in termini di caratteristiche prestigiose, di marca e di prezzo, si presenta all’orizzonte come rinnovatore di uno stato sempre precario e momentaneo. Si acquista prestigio sulla base dell’aggiornamento dell’oggetto, del nuovo modello del quale siamo venuti in possesso, e del tratto unico che tale possesso conferisce. Il rinnovamento dell’oggetto ha in sé qualcosa di inevitabilmente pedagogico, di educativo, in quanto, nel rapporto che viene tessuto con l’oggetto, si impara, si cresce, ci si specializza, e soprattutto ci si tecnologicizza. Per capire il senso di questa logica, basta chiedere a qualsiasi bambino gli aspetti tecnologici del suo giocattolo, del suo computer, della sua consolle per i videogiochi per comprendere quanto egli ne sappia più di noi e come egli sia veloce nell’assorbire tali aspetti tecnologici apparentemente al di fuori di una sensata riflessione. Si tratta di godimento, jouissance.

Tutto questo si presenta come un solo aspetto della logica che impera nel Discorso del Capitalista, una sfaccettatura che inevitabilmente finisce per togliere credibilità ad ogni senso della pedagogia e dell’educazione, partendo dal semplice dato che tale ideologia non può permettersi di competere con quel “luccichio” che ricopre l’oggetto feticcio. La seduzione è un dato sovrano nel senso del capitale, l’abbaglio per antonomasia, ed è sulla scia di tale irresistibile attrazione, che mette in gioco il godimento, che l’individuo fa le sue scelte, andando alla ricerca di ciò che indiscutibilmente si mostra come bello, bello di cui è necessario rivestirsi. Come può quindi l’educazione, ci chiediamo, nel tempo del decadimento totale dell’ideologia del Padrone, competere con tale feticistica seduzione? Come può l’educazione essere attraente quanto l’oggetto feticcio in modo tale da poter essere altrettanto ambita? La via intrapresa è quella della così detta “complessità”, ovvero qualcosa di traducibile come un passo indietro rispetto al Discorso del Capitalista, tirandosi fuori dalla facilità della fruizione del godimento a buon mercato e, al tempo stesso un vano tentativo di rientrare in qualcosa del Discorso del Padrone in cui si può osservare come all’orizzonte vi sia il tentativo di recuperare qualcosa di ideologicamente valido al fine di rifare il trucco al senso decadente dell’educazione scolastica. Come dire: “Ci dispiace, ma l’educazione è una cosa seria, per cui, se il sapere è serio, non possiamo fare a meno di presentarlo come tale. Se lo studente dimostrerà di non essere preparato, non sarà colpa nostra, pur avendo fatto di tutto affinché egli potesse superare le prove attese”. L’inscrizione della pedagogia all’interno del Discorso Universitario fornisce la garanzia di un pensiero al di sopra delle parti, scientificamente rigoroso, per cui inattaccabile. Ma nient’altro è stato pensato affinché qualcosa della classica pedagogia finisca per essere soppiantato da concetti del sapere più efficaci rispetto alle moderne avanguardie del godimento.

Nell’opera di sperimentazione dell’Atto Pedagogico ci siamo resi conto di come il godimento dello studente sia difficilmente scalfibile dalla moderna pedagogia, proprio in qualità della sua scarsa possibilità di operazione su tale questione. Inoltre, affermiamo che, chi si trova al di fuori di un lavoro concreto, quotidiano, al di fuori del senso cristallino del soggetto-del-godimento, difficilmente può prendere contatto con ciò che significa quanto scritto fino a questo punto, difficilmente può considerare la questione come importante e al tempo stesso necessaria, proprio per il fatto di non essere implicato nel così detto lavoro concreto.

Ricordiamo invece come ogni nostra riflessione derivi da un ascolto realizzato nel momento educativo di soggetti che in un primo momento non hanno mostrato niente di puramente sospetto dal punto di vista del disagio, ma che, nel procrastinarsi nella pratica, nel dialogo continuo con l’insegnante, hanno mostrato cenni di cedimento svelandosi come sofferenti di qualcosa non tanto di patologico, ma di direttamente connesso con la questione del sapere, sia quello soggettivo come quello scolastico. L’essere riusciti a risolvere la questione di questi soggetti mediante il senso dell’Atto pedagogico, conducendoli, pedagogicamente, ma in senso analitico, ad un sapere soggettivo, è ciò su cui si basa ogni nostra riflessione ogni senso pratico di questa ricerca.

Quindi, questo punto, è importante per capire i piani in cui l’educazione si muove: esiste una logica immaginaria, in cui apparentemente tutto quanto di possibile è stato fatto e realizzato affinché ci sia educazione, un piano puramente retorico, fumoso, denso di buoni propositi difficilmente smascherabili, ed il piano concreto, quello dell’uno-a-uno di cui la relazione educativa è fatta. Nel concreto, ci rendiamo conto che, un soggetto studente che gode tremendamente dell’oggetto e di tutto quanto altro può godere, trova le proprie battute d’arresto nella sua formazione, proprio per un eccesso di godimento che gli impedisce di essere mancante, conseguentemente autonomo, vigile rispetto alle proprie aspettative e soprattutto desiderante. Nella sperimentazione da noi realizzata, un gran quantitativo di studenti si sono presentati come confusi, galleggianti in un caos amniotico in cui sentono di esistere, ma pur sempre dubbiosi che qualcosa, al di fuori di questo godimento, manchi del tutto. Le tipologie sono varie: ragazzi bravi ma incapaci di riuscire a finalizzare la loro bravura, ragazzi meno capaci ma pur sempre istericamente positivi nel ricercare qualcosa che avvertono come mancante; studenti sofferenti di una misconosciuta dispersione, oppure al tempo stesso consapevoli di tale realtà, ma incapaci di porvi mano al fine di perdere il godimento in eccesso. Realtà in cui sempre abbiamo riscontrato una bivalenza soggettiva: da una parte la scuola, il versante “nobile” della loro facciata, dall’altra il godimento fuori controllo, privato, quotidiano, tal volta puramente consolatorio in coloro che non riescono a soddisfare tutte quelle richieste che gli provengono da scuola e famiglia. Due versanti distinti, separati, difficilmente incontrabili, in cui il soggetto studente si trova quale inconsapevole testimone di un godimento frammentato tra i due rispettivi ambiti: tutto ciò che sta da una parte non può ricadere nell’altra parte e viceversa. Coltivare entrambe le situazioni significa persistere lungo la strada della divisione soggettiva, tesa tra senso del dovere (Super-Io, dal versante scolastico) ed eccesso del godimento soggettivo dall’altro.

 

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