Teorema e L’Atto Pedagogico

Download PDF

 

Presentazione del film di Pier Paolo Pasolini

Teorema

Presentazione del libro “L’atto pedagogico. Una lettura

Psicoanalitica della trasmissione del sapere” di

Alessandro Guidi e Pierluigi Sassetti.

DSCF2110

 

Dipartimento di Psicoterapia della Clinica Psichiatrica

Università degli Studi di Napoli Federico II

 

Moderatore: Fulvio Sorge

Ospiti: Alessandro Guidi, Pierluigi Sassetti

«Teorema è un film sulla distruzione, sull’annientamento di ciò che costituisce l’uomo come realtà passionale, come maschera: che cosa resta di fronte all’urgenza del desiderio quando si svela che un soggetto in perdita di godimento può avvertire in quel suo amore puro per la libertà, una “libertà impastata di morte”»[*].

(P. Sassetti)

 

Fulvio Sorge: Questa dimensione che non è assolutamente criticata, anzi, che non ha dentro di sé un discorso di riflessione critica su chi trasmette questo sapere, anzi, nell’ultimo decennio, possiamo dire, proprio all’università Federico II, come in molte università italiane, si è visto come questo sapere sia diventato sempre di più una sorta di macchina, una sorta di automathon che funziona secondo delle regole sue proprie, assolutamente non mettendo in discussione la soggettività di chi trasmette e di chi recepisce questo discorso. I libri di cui discuteremo alla fine della proiezione del film, invece, sostengono un’opzione diversa della trasmissione del sapere e cioè un’opzione nella quale non si può trasmettere un sapere se non si trasmette un desiderio, se non si trasmette un desiderio di sapere, una curiosità, un’attenzione. Per fare una brevissima citazione, molto semplice, in Freud il sapere, e il desiderio di sapere, ha da sempre, per sempre intendo la comparsa del soggetto al mondo, una dimensione che è quella legata alla sessualità; così, le teorie sessuali (dei bambini) di cui parla Freud nei tre saggi sulle teorie sessuali dei bambini sono una forma di sapere immaginario, teorico, ipotizzato, che parte dall’avere a che fare con il proprio corpo, con i propri bisogni, e da questa immagine perturbante, diciamo così, della differenza sessuale. Della differenza sessuale nel senso che viene messa in evidenza quella mancanza rispetto alla presenza che caratterizza appunto il sesso femminile rispetto a quello maschile. Quindi, la trasmissione del sapere ha un legame diretto con la sessualità e con il vissuto della propria sessualità, della propria corporeità. Naturalmente, già quando Freud teorizzò questi aspetti nella società d’inizio ‘900 a Vienna, sapeva di trasmettere una dimensione che era quella dello scandalo, ma questa dimensione è quella che fondamentalmente apre al desiderio, che conduce al desiderio dell’Altro; quindi è il sostegno di ogni soggettività, come dovrebbe essere. Cosa c’entra allora questo discorso sulle teorie sessuali dei bambini con il film in questione, Teorema, e il discorso che poi seguirà? Perché gli autori del libro prenderanno la parola e ci illustreranno brevemente cosa intendono trasmettere; in fondo questi libri sono una scrittura possibile del sapere, certamente non esaustiva, e questo, lo capiremo meglio attraverso il film.

Questo film mette in scena per l’appunto la dimensione perturbante del desiderio. È un film del 1968 in cui Pier Paolo Pasolini, con la capacità e la preveggenza che è parte integrante della sua arte, riesce a trasmetterci proprio la devastazione di una sorta di dimensione relazionale di una famiglia dell’epoca, ovviamente una famiglia borghese. Quindi, per certi aspetti, c’è tutta una critica anche di stampo marxista, in questo film, la devastazione di questa famiglia quando incontra, nella figura di un personaggio particolare, come vedrete, la figura del desiderio. Sperando che questo possa trasmettere un pochino di desiderio, cominciamo a vedere il film.

Dibattito

Fulvio Sorge: vorrei che i colleghi che gentilmente sono venuti da Firenze parlassero del tema che è a loro caro e ci spiegassero e dispiegassero perché è possibile mettere insieme Pasolini e Lacan, perché questo discorso riguarda il desiderio, che cos’è, se così si può dire, questo desiderio, qual è la sua declinazione, che cosa appunto vuole suggerire Pasolini in questo film. Quindi vorrei che Alessandro Guidi e Pierluigi Sassetti venissero qui, perché questa coniugazione felice di un analista che è Lacan e di un genio, di un artista come Pasolini, è una loro invenzione ed è proprio figlia del desiderio perché è il desiderio poi che un analizzante ha sentito nel percorso della propria analisi, che gli ha permesso di coniugare questo sapere, questa sua esperienza pathica, passionale, emotiva con la teoria. Le teorie, potremmo dire, nascono prima di tutto dal cuore anche se questo film vuole essere per l’appunto teorematico, e lo è nella capacità soprattutto del taglio delle scene; è un taglio che, lo commenterete poi voi, che lo amate forse più di me, è un taglio luterano, è un taglio nella carne, come i quadri di Francis Bacon, che sono stati mostrati ad un certo punto del film, suggeriscono. E siamo nel 1968. Allora io chiederei a Pierluigi Sassetti di dirci che cosa c’entra Teorema col discorso del desiderio e cosa c’entra poi il desiderio con il desiderio di Pasolini.

Pierluigi Sassetti: Parlare di Pasolini in questi termini è una cosa estremamente difficile, complessa, articolata, perché si tratta di un personaggio complesso. Si tratta di un artista che ha percorso molte strade, ha creato moltissimi orizzonti da perseguire con ciò che lui stesso definiva una disperata vitalità. Teorema è uno di questi, io l’ho rivisto oggi, dopo anni che non lo vedevo ed è stata quasi una rilettura. Film del ’68 dove i dialoghi sono scarni, succede poco o niente…

Sorge: Succede tanto…

Sassetti: Ma poi in realtà succede un finimondo. Questa persona oscura, questo ospite che entra a contatto con i personaggi della famiglia che lo ospita, e non si sa come, non si sa perché, riesce a scardinare la vita di questi cinque illustri borghesi. La difficoltà nel trattare Pasolini risiede nel fatto che Pasolini non è mai diretto, non è mai frontale, è duplice, triplice, ha moltissime sfaccettature. Quello che si può dire è che c’è un senso nella nostra direzione, nella nostra ricerca che abbiamo utilizzato proprio partendo da Teorema – un film che dal mio punto di vista non ha precedenti. Poi c’è il senso di Pasolini, l’artista. Ho riletto casualmente l’altro giorno su un libro di Stefano Murri, semplicemente intitolato Pier Paolo Pasolini, edito per la casa editrice Il Castoro:

«Il 1968 cinematografico di Pasolini si apre con la realizzazione di Teorema, un film che nella sua disarmata e feroce provocazione verrà attaccato con violenza da ogni parte; dallo Stato, che lo porrà sotto sequestro intentando nei confronti dell’autore un processo per oscenità, dai benpensanti e dalle Destre accomunati dal disgusto per l’uso spregiudicato e perverso della sessualità; dalla critica della Sinistra militante, da cui sarà accusato per misticismo, reazionarietà e religiosità e infine anche dal mondo cattolico, che dopo aver conferito al film a Venezia il premio “Office cattolique international du cinema” ha successivamente preso le distanze dalle dichiarazioni dell’autore»[†].

Ecco. Tutto sommato perché? Per quale motivo? Verrebbe da chiedersi. Non è un film che ha in sé qualcosa di scandaloso. L’unico scandalo che c’è – e questo rientra nel senso puramente pasoliniano – è il concetto d’amore. Tutto quello che accade, accade a partire dall’innamoramento che queste persone hanno in seguito all’incontro con questo ospite. Ospite che non fa assolutamente niente per suscitare l’amore di queste persone, non dice niente, non si atteggia, ma dà movimento a questi personaggi che si sciolgono, decadono, entrano in crisi, pérdono, si schiudono e poi intraprendono una strada. La strada – e qui entra il nodo tematico di Teorema di Pasolini – la strada è appunto quella di Pasolini, quindi non è una strada universale, è una strada particolare, mirabilmente singolare, cioè Pasolini ha posto nella sua cinematografia tutta la sua vita. Il cinema di Pasolini è un cinema sulla soggettività di Pasolini. Non ha realizzato niente per il puro semplice fare: non ha fatto avanguardia, non si è preoccupato di diventare un esteta del cinema. Ha scritto un libro bellissimo che si intitola Empirismo Eretico e tutto questo film, Teorema, nasce e si produce alla luce di un empirismo eretico. I cinque personaggi sui quali si innesca un movimento di perdita, diciamo così, di morte, sono cinque identificazioni di Pasolini. Addirittura, Pasolini ha messo sua madre nel ruolo di una contadina che seppellisce il personaggio interpretato da Laura Betti.

Ritroviamo in questo film Silvana Mangano che ha avuto un ruolo importante in Edipo Re, che Pasolini costringe nel film a cimentarsi in un ruolo di prostituzione, che poi altro non era che una verità del quotidiano di Pasolini, Abbiamo gli adolescenti…

Sorge. Si può dire che Silvana Mangano, scenograficamente, sia una musa inquietante?

Sassetti: certo, l’inquietudine del personaggio materno della Mangano emerge in Edipo Re, in quell’immagine, in quella sequenza in cui nasce una doppiezza, che inizia con un sorriso, materno appunto, dando vita ad un senso di inquietudine che poi sarà la luce dell’intera vita di Edipo. Ecco, noi, io e Alessandro Guidi, abbiamo scoperto in questo film, con questa nostra lettura, in questo frammento, perché è un frammento all’interno della vita di Pasolini, della sua immensa produzione appunto, il senso della soggettività: come la soggettività possa essere messa in gioco, scomposta, disgregata rispetto ad un senso dell’ego, del narcisismo, del godimento soprattutto e più che altro rispetto alla sua stagnazione. Ho utilizzato Teorema, ne La Pedagogia Perversa, all’interno di un trittico di film, che parte da Salò o le centoventi giornate di Sodoma, che però, diciamo, è un percorso a rovescio rispetto a ciò che Pasolini ha realizzato concretamente. Pasolini fornisce allo spettatore sempre i suoi testamenti, di film in film: parte da Edipo Re, arriva a Teorema e poi capitola in Salò. Io invece mi sono mosso al contrario, sono partito da Salò o le centoventi giornate di Sodoma, un testamento oggettuale dove tutto muore, tutto si disgrega non nelle falde di ciò che Lacan definì come Discorso del Padrone, ma nel Discorso del Capitalista, e poi, appunto, passando per Teorema, si ha la messa in gioco dei personaggi di Salò. Personaggi che ho successivamente condotto, in senso simbolico, perché questo, La Pedagogia Perversa, è un manuale mediante il quale opero nel mio quotidiano di insegnante. Li ho condotti a Edipo Re, quindi li ho condotti di fronte alla verità, di fronte ad un concetto importante in psicoanalisi come in educazione, in pedagogia che è il concetto di castrazione, ovvero di perdita. Perché qualsiasi processo di esperienza, per quanto riguarda il sapere, dal mio punto di vista, dal nostro punto di vista, è sempre un processo di perdita, che mette in gioco qualcosa della castrazione. Non nel senso del sintomo, come può esser fatto in ambito psicoanalitico, ma nel senso del disagio.

Sorge: ecco, forse sarebbe bene, dopo questo piccolo frammento di lettura, sentire qualche commento da parte vostra. Può darsi che ci siano anche persone che questo film lo vedono per la prima volta. Ecco, vorrei sentire proprio qualcuno che … ma anche a partire dalla propria esperienza diciamo di formatori, di didatti, perché qui siamo all’interno di una scuola di specializzazione che dovrebbe formare i futuri operatori della salute mentale, come dire: credo che sia importante e significativo, ma come diceva Pierluigi, sono nel pieno della mia soggettività assolutamente partigiana e sintomatica quindi, ne faccio … il fatto che non lo dimostri non significa che non ci sia più dentro. Però io penso che il discorso didattico deve avere a che fare con la perdita, deve aver a che fare con la perdita anche in questo luogo padronale che spesso riveste il didatta, e che, come dire, è una tentazione a cui è difficile resistere: lo stesso atto di parlare, ed io, in questo momento, sono in una posizione padronale perchè detengo il potere della parola. Ecco, volevo sentire anche un pochino i colleghi che sono presenti e gli studenti che cosa possono dire di questo aspetto e magari quali domande formulare in un percorso certamente arduo perchè poi il film ha la sua retorica.

Intervento: volevo chiedere, a proposito di una pedagogia per la soggettività, di dare anche il desiderio di sapere al discente; riferendomi al momento in cui il personaggio di Silvana Mangano cerca di sopperire alla perdita, al di là della prostituzione anche con la sostituzione. Ora, nel momento in cui, lo dico proprio banalmente, si impara una cosa e poi si cerca di imparare qualcosa di nuovo, la scelta di Silvana Mangano, come la scelta di tutti gli altri quattro personaggi, si dimostra una scelta fallimentare per sopperire a questa perdita. Come si può evitare che una persona nell’imparare molto, nel cercare di imparare sempre, alla fine si ritrovi nell’angoscia?

Alessandro Guidi: Certamente. Volevo prima di tutto fare una premessa che mi interessa dal mio punto di vista di psicoanalista, quindi di colui che promuove la parola nell’altro attraverso il silenzio, ecco, attraverso la posizione del morto, che fa giocare gli altri, e questo progetto appunto, è nato … poi arrivo alla risposta … è nato. Pasolini, prima degli anni novanta, mi interessava, ma non avevo approfondito niente, o poco. Questo mio interesse è nato proprio attraverso l’analisi che Pierluigi Sassetti ha fatto con me, e attraverso un frammento di sogno, attraverso un segmento aureo, un suo ricordo che riguardava Pasolini ma non lo sapeva; e quindi, tutto questo, all’interno dell’analisi è stato coniugato, elaborato. Pierluigi Sassetti poteva essere quell’adolescente di Teorema, poteva essere uno dei cinque personaggi della famiglia di Teorema, però, il punto è questo: non è rimasto solo. E’ stato accompagnato a trovare un interesse e a far esplodere questo interesse che poi, appunto, è Pasolini stesso come progetto di vita, progetto applicato alla pedagogia. Quindi, all’interno del lavoro analitico, che riguarda il soggetto, questo frammento, frammento che riguardava il film Porcile, visto da Pierluigi in una mattina di assenza a scuola, mentre faceva zapping alla televisione, lo colpì, e lo mise da parte come ricordo. Tutto questo poi, è tornato in analisi, attraverso un sogno iniziale. In analisi poi, ha coniugato le due cose e si è sviluppata l’analisi stessa che è un’analisi didattica dove il sintomo era il sapere, non era un disagio particolare, una particolare sofferenza eccetera, ma poiché, appunto, Pierluigi ha inscritto il suo atto pedagogico, all’interno del Campo Analitico, per cui si è sviluppata la sua analisi all’interno di questo collegamento. Quindi non è stato lasciato solo, l’analisi poi si è conclusa e da un’analisi terminabile è diventata interminabile, cioè l’oggetto agalmatico presente in Pierluigi, la musica e la pedagogia, la voce in sostanza musicale anche dei ragazzi a cui insegna e anche la propria perché è un musicista, tra l’altro, si è strutturato a partire appunto da Pasolini come autore e come pedagogista all’interno della sua opera. Ecco che quindi è stato messo un ordine all’interno del sapere pasoliniano, altrimenti ci sarebbe da perdersi, ed è nato poi il progetto del libro La Pedagogia Perversa. Tra Pasolini e Lacan, poi quest’altro libro, L’Atto Pedagogico e così via.

Ecco, voglio dire che questo film ci mostra momenti importanti, delle scansioni importanti che possiamo prendere a punto di riferimento di una analisi non conclusa. Il portalettere, l’angelo che porta la lettera, l’annuncio dell’ospite, l’analista silenzioso che promuove la parola, però troppo anticipatamente se ne va e lascia tutti così con i loro dubbi, con le loro sofferenze, con le loro regressioni e ognuno sì arrangia con questo vuoto, ecco, probabilmente appunto l’analista invece accompagna fino al punto in cui l’oggetto a, l’oggetto del proprio godimento, del godimento del soggetto interroga la propria storia e deve in qualche modo essere lavorato. Bisogna saperci fare e quindi utilizzarlo per un progetto agalmatico nel proprio lavoro, in questo caso di Pierluigi. Quindi, se questo progetto si conclude, prende una direzione, prende un senso e l’angoscia chiaramente è mitigata, altrimenti il rischio è l’urlo finale del protagonista che sembra Munch, che appunto urla e crea angoscia in chi lo ascolta, in chi lo vede, lo spettatore in se stesso.

Intervento: quindi la risposta è nell’Altro, la risposta è andare verso l’Altro?

Guidi: certo, si, si, non si può fare a meno dell’Altro.

Intervento: perché ho visto che lì sono tutti soli infatti, falliscono tutti.

Guidi: certo, perché non c’è stato qualcuno che abbia accompagnato ciascuno in un progetto personale e quindi saperci stare e pescare nel grande sapere dell’Altro e costruire una propria via.

Intervento: volevo solo dire alcune cose sotto forma di domanda e partendo soprattutto da una piccola ambiguità che ho colto in me stesso nel sentirti prima, specialmente la prima volta che hai nominato la parola “’astrazione” come lo dite voi in Toscana…

Sassetti: Senza la “c”.

Intervento: Esattamente, senza la “c”. Allora, avendola sentita senza la “c”, certamente ho capito che si parlava di castrazione, però, siccome ne ho paura, allora chiaramente l’ho sentita molto meglio come “astrazione” e come astrazione mi sono rifatto al personaggio che si astrae in qualche maniera, che vola sui tetti e che rappresenta una delle risposte fallimentari magari, come dicevate voi, e quindi ho pensato in effetti “ma sono tutte fallimentari queste risposte? Anche le nostre, anche le tue?”. Provocatoriamente dico di si, nel senso che sono tutte fallimentari perchè sono ispirate un pochino alla collocazione topologica all’interno del soggetto del desiderio, per dirla in termini un pochino semplici. Io non sono, ma naturalmente è una mia perplessità, una perplessità anche questa in qualche modo indotta, io non sono convinto che il desiderio sia topologicamente ritrovabile all’interno del soggetto e risolvibile all’interno del soggetto, non sono convinto che esista una zona nella quale c’è un Es, un altro luogo nel quale c’è un Io, un altro luogo nel quale c’è un Super-Io; sono convinto piuttosto che queste possano essere delle comode spartizioni, delle comode frammentazioni, noi abbiamo bisogno anche di queste frammentazioni. In base a questo non sono convinto che la risposta “’astrattiva” o la risposta castrante o la risposta impoverente, nella quale l’uomo si spoglia e urla o l’altra risposta prostituente, autoprostituentesi da parte del soggetto, o l’altra risposta ancora che è quella dell’arte, dell’artista che non riesce poi ad esprimere neanche più nell’arte qualcosa nella quale confusamente credeva, ecco, non sono convinto che queste risposte siano delle risposte che rispondono a delle domande che partono dall’interno del soggetto. Un po’, se volete, mi rifaccio a Deleuze e Guattari che invece pongono all’esterno del soggetto l’autore della iniezione di desiderio e quindi il messaggio rivoluzionario. Poi ci sono anche altre eco che mi ritornano in mente: il film del ’68, precedente a Valle Giulia immagino, perché se ricordo bene è dell’aprile/maggio, comunque è stato iniziato prima di certo e quindi allude, attraverso questa contemporaneità, tra l’altro è una contemporaneità che secondo me viene sottolineata da due fattori: è sempre giorno, non è mai notte, ci sono quelle campane che continuano sempre per tutto il film a scandire un’ora, i vari elementi narrativi di questo film, quasi come se fosse sempre la stessa ora, è un’ora ferma e un’altra suggestione che mi viene, che mi è venuta guardando il film è un parallelo – siccome a me piace molto il teatro quindi l’ho letto anche come similitudine con una dimensione teatrale che voi che non siete di Napoli avete difficoltà a conoscere – con un nostro autore napoletano che si chiama Annibale Ruccello che ha fatto una piece teatrale molto importante, molto bella che si chiama Ferdinando. Si chiama Ferdinando e il nome non è un caso perché, e ricorda molto la storia, suppongo che Annibale Ruccello, anzi ne sono certo, abbia visto questo film o che a questo film si sia ispirato o che abbia letto il libro magari e che al libro si sia poi ispirato perché lì siamo nel passaggio da una dimensione borbonica alla successiva e queste due donne, che sono le protagoniste insieme al sacerdote, che sono le protagoniste di questa piece, assistono anche qui all’arrivo di un angelo, di un personaggio che si interpone all’interno della loro vita ormai stratificata e rigida e le sconvolge, analogamente al film di Pasolini. La narrazione è per qualche verso sovrapponibile, sconvolge le vite di queste tre persone inducendo a mostrare di sé delle parti assolutamente non conosciute da parte di ognuno, fino alla tragedia finale eccetera eccetera. Ma la tragedia finale sta, perciò mi ricollego al tuo “astrazione”, castrazione come giochino di parole, perché l’ultima frase di questa donna, la protagonista del dramma teatrale che si chiama Ferdinando, che è una vecchia borbonica che tarda ad inserirsi nei tempi nuovi, è una frase apparentemente senza significato perché dice “e nun se chiammava manc Ferdinand”, cioè, questo angelo, che è venuto a corrompere tutto ciò che c’era di precedente, non si chiamava neanche Ferdinando che nella tradizione borbonica è Ferdinando di Borbone.

Guidi: si chiamava Filiberto…

Intervento: si chiamava Filiberto manco a farlo apposta che naturalmente appartiene ad un’altra dinastia che è quella dei Savoia. Va bene, non so che domanda ho fatto, mi fa piacere non aver fatto nessuna domanda.

Guidi: no, no, c’è una domanda.

Intervento: C’è una domanda? Grazie.

Guidi: Si, c’è una domanda ed è questa…

Intervento: bene, mi togli dall’imbarazzo…

Guidi: sono d’accordo con lei, il desiderio non è nel soggetto, è nell’Altro. Infatti il desiderio è sempre desiderio dell’Altro, il desiderio non ha oggetto e qui abbiamo cinque soluzioni dove il desiderio fallisce, ognuno costruisce un proprio sintomo, magari si difende; però appunto il progetto desiderante fallisce proprio perché c’è…il desiderio è una tensione, una tendenza, una freccia verso l’orizzonte che si rinnova sempre e attraversa però un sapere, il sapere. Il desiderio che appartiene all’Altro non ha un oggetto, ma ha una causa. Ecco, questo è ciò che manca appunto in ciascuno, è la causa del desiderio. Quindi, questo film dimostra proprio come il desiderio possa essere anche pericoloso, se non sostenuto da qualcuno che lo sappia leggere e che comunque costruisca un percorso. Ecco, è pericoloso perché non bisogna chiudere prima del tempo un’operazione chirurgica, altrimenti invece si lascia aperta una ferita e può essere appunto pericoloso perché sviluppa un sintomo precedente come dice la ragazza, Odetta, nel film: “senza di te che cosa sarò, tornerò a quella malattia precedente da cui sono guarita appena”. Ecco, questo volevo dire. Quindi la domanda è giusta: il desiderio non è nel soggetto, è nell’Altro, è giusto, su questo sono d’accordo.

Intervento: io intendevo sottolineare un aspetto induttivo da parte della società, perciò ho collocato, cioè non l’ho collocato io nel ’68, ho ricordato questa collocazione e quindi ho ricordato il gioco del potere, il gioco del desiderio e il gioco della verità e lì andremmo lontani.

Guidi: Certo, certo, come no.

Sorge: andremmo o andremo?

Intervento: tutti e due.

Sorge: Vorrei invitare qualche studente, qualche fanciullo di primo pelo…o di secondo, anche di terzo… Mi sono appena ricordato che questo film io l’ho visto per la prima volta quarantadue anni fa, poi l’ho rivisto non so dove …

Allora pongo io una domanda proprio inerente al testo del film ma anche al discorso sul desiderio. In fondo, quello che è in gioco qui è che nella dimensione edipica si passa attraverso questa figura immaginaria, diciamo così della castrazione che poi rilancia la mancanza, mentre invece nell’anti-edipo c’è una visione più ottimistica dell’Altro, vale a dire l’Altro non è mancante, o comunque nell’Altro si può trovare quell’oggetto che ci manca. Sono in gioco le relazioni umane. Interessante che questo discorso parta proprio certamente da una relazione analitica, quindi con delle regole, ma fondamentalmente anche da una relazione umana, perché in fondo c’è stato un incontro. Io penso che sia una domanda aperta e una domanda alla quale non si può rispondere, pur essendo per scuola necessariamente convinto, teorematicamente convinto che l’Altro è comunque mancante e non ha soprattutto le cose che io desidero e quindi non mi può accompagnare se non appunto in questo modo surrettizio, però… bisogna saperci fare come dice Alessandro Guidi. Allora la domanda è questa, ma la figlia, Odetta, che noi vediamo poi catatonizzata dall’incontro con il proprio desiderio ecc., non ha un destino diciamo così diverso perché riesce a mettere tra sé e l’angelo il diaframma della macchina fotografica e della storia? Soprattutto quando sfoglia le fotografie, e riesce a fotografare poi insieme il perturbante e il padre, l’uno e l’altro. Questa scansione non si può pensare nei termini di una risorsa?

Guidi: cioè di una risorsa?

Sorge: di una risorsa verso questa traversata selvaggia, come il desiderio che va poi sul crinale della morte sostanzialmente.

Guidi: si, a me ha colpito la mano vuota, il pugno dove non c’è niente, il niente; c’è il vuoto, il niente. Probabilmente lì sta il segreto, se lo tiene strettamente per sé questo segreto soggettivo e…non so, una risorsa per chi?

Sorge: una risorsa per lei in quanto soggetto.

Guidi: per lei, una soluzione…

Sorge: ecco, visto che abbiamo parlato di castrazione, introduciamo quest’altro termine che penso sia comprensibile, come velo, come schermo, ecco, voglio dire forse questo risponde anche all’intervento precedente, in parte, nel quadro dei riferimenti analitici c’è una parte di cui si può designare il posto, il luogo, non tanto… non di più: è appunto il godimento, il godimento è quello su cui nel film Pasolini taglia. Questo è un film luterano, assolutamente casto, io non vedo assolutamente cosa ci sia di scandaloso…anzi è un film sacro.

Guidi: infatti, infatti.

Sorge: un film che tocca la dimensione del Sacro. I pornomani sono quelli che l’hanno censurato, tanto per fare una citazione che credo che sia proprio…

Intervento: come i vittoriani che coprivano anche le gambe dei tavoli.

Sorge: si, ma lì…voglio dire, quello che fa scandalo è proprio….adesso non lo so ma nel ’68 saranno usciti tanti altri film molto più pecorecci, per dire. Ma qui c’è proprio un taglio, ma perchè questo taglio, è ovvio che lo leggo in maniera deformata per questa mia formazione analitica, è un taglio sull’irrappresentabile, l’irrappresentabile dell’incontro, l’irrappresentabile e anche l’insopportabile, perché poi lo diventa per i cinque personaggi: il desiderio si sposta sul versante della morte. Ognuno poi fa la sua scelta mistica: follia, arte.

Guidi: il pugno, che cosa c’è dentro, non si vede il luogo del lacrimare, la pozza di lacrime e la tela azzurra dove urina il fratello di Odetta. Ecco, ognuno ha questo luogo, vi depone un resto. È una risorsa, certo, da questo punto di vista si.

Sorge: io non ricordavo che c’era questa citazione di Francis Bacon … in epoche assolutamente … adesso è diventato un oggetto di consumo, ma allora era qualcosa di assolutamente al di là. Allora a questo punto, mi spiegate che c’entra la pedagogia?

Sassetti: che c’entra la pedagogia …

Sorge: e l’Atto Pedagogico, soprattutto. Sennò parliamo solo di Pasolini e ce ne dimentichiamo.

Sassetti: noi abbiamo fatto una ricerca per rintracciare quelle che dal nostro punto di vista sono le tracce della soggettività, per coltivarla, per rintracciarla, per scoprirla, per stuzzicarla laddove è statica, è ferma. Tutto il discorso dell’Atto Pedagogico è inscritto su un concetto di soggettività. Ricordiamoci che Pasolini, l’ultimo Pasolini, ha scritto anche Gennariello. Gennariello è un trattatello pedagogico in cui sposta l’attenzione da un vetusto e inservibile Rousseau ad un più appropriato De Sade, e quindi una lezione pedagogica all’ombra di una perversione che è intrinseca nel Discorso del Capitalista. Come io ho scritto in questo articolo che compare in questo libro su Pasolini, ho spostato l’attenzione da Gennariello a Il Merda. Il Merda è un adolescente protagonista dell’ultimo Pasolini, ovvero di Petrolio. Cos’è Il Merda? È l’adolescente consumato, è l’inservibile, è il grado zero della corporeità e dell’assenza di qualsiasi sostanza. Tutto è stato digerito, e la domanda fondamentale è, Lacan la chiama spoliazione, da chi è stata realizzata questa spoliazione? La spoliazione è stata realizzata da se stesso, dall’Altro istituzionale, dall’Altro genitoriale, dall’Altro del consumismo. In Pasolini ritroviamo questo magma micidiale che si sintetizza in un legame tra la corporeità pulsionale dei soggetti, sempre presi dall’eros, dalla fisicità delle pulsioni e il capitalismo nascente, che distrugge qualsiasi realtà arcaica, naturale, primordiale, singolare, che era appunto la naturalità dei luoghi da cui lui proveniva.

Sorge: quindi in Pasolini c’è sotto questa forma di assoluta purezza e primarietà. Nell’intervento precedente è stato ricordato appunto l’antiedipo, adesso non ricordo l’anno di edizione, ma siamo lì, no?.

Intervento: qualche anno dopo…

Sorge: qualche anno dopo, insomma in quegli anni Sergio Piro scriveva Tecniche della Liberazione, tanto per fare un po’ di cronologia retrò, ma Marcuse scriveva L’uomo ha una dimensione. La risposta di Marcuse è che c’è ancora un fantasma della libertà, in qualche modo, no? C’è una primarietà, c’è un luogo di origine che accoglie, mi sembrerebbe che anche in Pasolini sussista questo … o meglio, probabilmente sono paralleli i discorsi, diciamo, non si incontrano, cioè, come si può appunto vivere in un mondo popolato da Il Merda e rilanciare la dimensione del desiderio, la dimensione erotica che è poi quella che muove in fondo tutte le azioni degli esseri umani; un amore per se stesso nel narcisismo e un amore dell’altro. Ecco, mi sembrerebbe un po’ questo…e come c’entra la pedagogia poi?

Guidi: Volevo spostare un attimo il discorso. C’entra almeno con questo testo, L’Atto Pedagogico. Questo testo l’abbiamo dedicato a Pasolini, però qui Pasolini non c’entra già più. Qui c’entra soltanto lui, Pierluigi Sassetti che è un pedagogista che è venuto a chiedermi: “ma è possibile coniugare la psicoanalisi con la pedagogia?”. E lì è cominciato un lungo pensiero, una discussione eccetera per vedere se era possibile, e quindi alla fine abbiamo costruito un testo su questa inscrizione della pedagogia dentro il Campo Analitico a partire dai tre mestieri impossibili “educare, psicoanalizzare e governare”. Il punto era questo.

Sorge: governare sembra che sia invece un mestiere molto diffuso.

Guidi: di questi tempi si … ma tornando alla questione dell’impossibilità nell’educare, troviamo, il concetto di impossibile. Siamo partiti da qui, siamo partiti dal fatto che la simpatia di Freud per la scuola non era un gran che. Freud aveva simpatia soltanto per Aichhorn, che entrò in analisi con lui; e Freud scrisse la prefazione a un suo libro. Questo è il motivo per cui l’Atto Pedagogico è Pierluigi Sassetti e la sua pedagogia e quello che fa, non più Pasolini o un discorso generale sulla pedagogia. L’Atto Pedagogico, è un atto concreto, è un atto che cerca di trasmettere sapere al ragazzo, all’adolescente, attraverso una posizione soggettiva del pedagogista che ha fatto analisi con l’analista. Quindi nella dimensione del transfert c’è questo passaggio tra l’oggetto a e l’agalma. Ovvero: l’oggetto a come l’oggetto causa del desiderio che il pedagogista-analizzante ritrova come proprio nella sua analisi. Con questo oggetto prezioso diciamo comincia il suo lavoro, l’Atto Pedagogico, mediante il quale cerca di trovare nell’adolescente quell’agalma, cioè quell’oggetto prezioso, che è il riflesso dell’oggetto a. Ed è il mettersi in una posizione di ascolto della parola dell’altro che causa tutto questo. Quindi c’è questo passaggio da dentro l’analisi a fuori l’analisi, nella relazione tra l’analista e l’analizzante e successivamente tra il pedagogista e il suo allievo. Questo è l’impianto del libro L’Atto Pedagogico. 

Sorge: quindi l’Atto Pedagogico non è nella dimensione dell’universale, ma del particolare?

Guidi: del particolare, certamente.

Sorge: è nella dimensione della relazione del soggetto per l’oggetto. Non solo, ma poi a patto che chi si trova, proprio come luogo, nella posizione di docente, per le vicende del proprio desiderio, per una serie di circostanze, dovrebbe avere dentro questo vuoto e quindi questo desiderio, ma, in fondo, nella trasmissione non lo sa. Lo sa, ma non lo sa.

Guidi: infatti, si tratta di attivare il Discorso dell’analista, in tutti coloro che si inscrivono nel Campo Analitico, a qualunque titolo, come allievi non necessariamente formati per essere analisti, ma per esempio un operatore, un educatore, infermiere, insegnante, eccetera, inscrivendosi dentro il Campo Analitico e quindi in un corso di formazione, dove c’è un analista. Si tratta di insegnare facendo funzionare non il Discorso dell’Università, ma il Discorso dell’Analista. inevitabilmente viene fuori una sorta di grande laboratorio. Poi, chi si è inscritto nel Campo Analitico, in formazione, deve in qualche modo successivamente applicare la propria posizione soggettiva di allievo che apprende come analizzante, ma anche e soprattutto all’interno della propria professione specifica. Per esempio: un insegnante fa ruotare il suo essere insegnante, il sapere e l’allievo. Il pedagogista, all’interno di questa triangolazione, fa funzionare oltre all’allievo (al soggetto), oltre al sapere saputo, un sapere sul soggetto. In tutto questo c’è un insegnante, c’è appunto un operatore, che si smarca dalla conoscenza specifica di una materia, tentando di mettere in collegamento il sapere sul soggetto del ragazzo, al di là dell’essere allievo. Quindi questo è l’Atto Pedagogico, tutto questo passaggio si applica alle varie discipline, per cui l’analizzante-operatore-allievo è inscritto doppiamente: da una parte sa di essere inscritto nel Campo Analitico e quindi prende, esporta qualcosa della trasmissione con l’analista all’interno dell’analisi, all’interno della formazione. Dall’altra, quello che porta fuori si relaziona con qualcuno che non sa e che non è dentro il Campo Analitico. Sta appunto all’operatore in qualche modo individuare quell’oggetto prezioso, agalmatico di cui l’allievo ignora l’esistenza e mantenerlo vivo in tutto l’asse della relazione. Ecco, questo è l’impianto del libro.

Intervento: quindi la materia insegnata, nel caso di Pierluigi Sassetti la musica, è strategicamente usata per dare parola al soggetto allievo?

Guidi: certo, ma su questo bisogna sentire Sassetti.

Sassetti: si, è l’oggetto a, per cui io ho gran cura.

Sorge: diciamo anche che cosa sono l’oggetto piccolo a e l’oggetto agalmatico….

Guidi: l’oggetto piccolo a è l’oggetto che durante l’operazione analitica della destrutturazione del fantasma si fa da oggetto del desiderio a oggetto causa del desiderio ed è quindi, come dire, quell’oggetto minimale che esprime il godimento del soggetto positivo, non un più di jouir, un più di godimento, ma quel minimo di godimento che sostiene il desiderio all’interno del sapere e della sua ricerca. L’oggetto agalmatico invece è l’oggetto riflesso fisico di un oggetto piccolo a che si può trovare in qualunque soggetto, non inscritto nel Campo Analitico, che non abbia fatto analisi, per esempio appunto un adolescente, che si rivolge a Sassetti per imparare lo strumento e in realtà Sassetti, da pedagogista, avverte che in questa relazione c’è una domanda al di là dell’insegnamento e del sapere. Su questo aldilà, su questo talento “oltre”, ascoltato appunto dal pedagogista, il pedagogista, utilizzando in modo strategico il fatto di essere lì per insegnare uno strumento invece si sposta, si smarca e cerca di valorizzare quest’Altro, questo resto che è l’oggetto agalmatico, che è molto più prezioso del fatto di essere lì a imparare uno strumento solo per una moda, o non per un proprio desiderio intimo. Quindi questo sta appunto nell’abilità dell’operatore ascoltare questo “oltre” che va al di là dell’immaginario; l’immaginario diciamo dello studente, dell’adolescente che è lì per imparare appunto la musica, per imparare la chitarra e invece l’altro, l’operatore, si rende conto che c’è un agalma, che non riguarda l’immaginario, perché questo riguarda la moda. L’esser lì a imparare uno strumento, la moda sociale, quindi l’Altro sociale, che impone, induce un adolescente ad essere lì per imparare la chitarra per aggregarsi ai gruppi, per essere omologati. In realtà però, quell’adolescente ha un altro talento, ha un’altra risorsa e il pedagogista è lì per ascoltarlo e scoprirlo. Ecco, la sua operazione è quella di indirizzare lo studente verso questo.

Sorge: verso la particolarità del suo desiderio.

Guidi: si, che è appunto ciò che designamo come oggetto agalmatico. Ecco, questa particolarità si chiama appunto agalma, oggetto prezioso per il soggetto senza che lui lo sappia pienamente. Si tratta di valorizzarlo.

Sorge: quindi diciamo che l’oggetto agalmatico, tanto per fare un riferimento filosofico comprensibile, è quello che…

Intervento: Socrate?

Sorge: in me fa desiderare, ma perché l’altro mi desidera non si sa, c’è qualcosa di prezioso dentro che neanche io conosco. Invece questo famigerato oggetto piccolo a che Lacan lavora si può dire per tutta la sua opera è … come dire … diciamo che da una parte è quel particolare sguardo di mia madre, che io cercherò in tutte le donne che incontro. Dall’altra parte, però, può diventare per così dire “che cosa mi ha fatto, che cosa ha causato questo mio desiderio?”. Quindi da essere oggetto del desiderio divento l’oggetto causa del desiderio. Questo, naturalmente dicono gli analisti perché in questo modo propagandano il loro verbo, questo passaggio si può fare all’interno di un’analisi che Lacan chiama in modo così fantasioso, ma non troppo, Traversata del Fantasma. Quindi passare da questa inconsapevolezza che lega poi i destini umani negli incontri, nella ricerca di quel qualcosa che muove per l’appunto l’amore, a qualche cosa che invece è stato diciamo all’inizio il motivo, la causa di questa mia ricerca in fondo interminabile sostanzialmente, poi senza arrivare ad ulteriori complicazioni. Però, appunto, l’Atto Pedagogico è un Atto che pertiene, che appartiene ad una relazione particolare di chi si mette in questa posizione, si autorizza ad essere appunto docente, con chi è il suo interlocutore, quindi è diverso uno per uno, e questo è fondamentale, questo è l’aspetto analitico.

Intervento: dicevo, i rischi appunto in parallelo, mettendo in parallelo i destini dei personaggi del film con questo difficile ruolo del pedagogista è quello appunto che questa liberazione dell’oggetto che, ricordiamoci, è sempre dalla parte del soggetto, anche se lo cerca nel Campo dell’Altro, è che crei una serie di derive; mi sembra che quella della figlia sia quella della catatonia perché legata all’immagine non più animata dall’oggetto che non possiede, infatti indica il vuoto e rimane irrigidita nella sua ricerca sull’immaginario che aveva prima ben coltivato. Il rischio del pedagogista è quello di mettersi nella relazione speculare e quindi creare dei modelli identificatori di un Io ideale, e qua mi viene un altro film che è L’Attimo fuggente in cui non c’è padronanza di tutto questo processo e non c’è lo spiazzamento da questa posizione, diciamo, di Io ideale che invece deve rimanere vuota per far posto a quel desiderio vuoto e trainante dell’operatore-pedagogista per far si che la Traversata del Fantasma abbia un tempo. Nel film, ma chiaramente nella relazione pedagogica c’è un tempo di accompagnamento lungo, in cui queste pause, questi tempi non siano precipitati, non siano velocizzati che non facciano quelle uscite, insomma.

Sassetti: Lei ha tirato in ballo un film che io reputo esemplare per capire come la bella pedagogia possa essere una cattiva pedagogia. Ne L’Attimo fuggente c’è troppo del docente, il docente non è assolutamente opaco; chi vive la propria analisi fino in fondo, questa opacizzazione di se stessi la reputa quasi indispensabile, naturale, salvifica sotto certi aspetti, perché è stato per me uno dei primi motivi che mi hanno indotto a chiedere ad Alessandro Guidi in che posizione io stessi, nel momento in cui io mi trovo ad educare, perché noi abbiamo realizzato ne L’Atto Pedagogico quanto segue attraverso Lacan: ovvero la pedagogia è sempre stata in mano o al Padrone, o all’Università o al Capitalista e io mi rendevo conto di non occupare nessuna di queste tre posizioni; quella del Padrone nel momento in cui mi veniva richiesto un sapere…non so, “come si fa a far questo?” e io lo mostravo. Però era un padrone sempre molto affievolito. Mi sono ritrovato a certi livelli a immedesimarmi nella posizione dell’Analista, non essendo analista, non avendo motivo di essere analista, semplicemente facendo silenzio, lasciando che il ragazzo si parlasse, trovasse coraggio, esponesse i suoi concetti … e questo dare coraggio è ciò che, dal punto di vista del disagio e della pedagogia dell’incontro col sapere, è più importante, perché il soggetto acquista forza, acquista anche una consapevolezza di sé in aula che a scuola non ha, in famiglia neppure. Per questo siamo arrivati alla produzione di ciò che abbiamo definito un “Sesto Discorso” dopo Lacan, ovvero, un Discorso dell’Atto Pedagogico, dove un pedagogista inscritto nel Campo Analitico non ha più funzione di padrone, non ha più funzione di universitario e nemmeno quello di capitalista, ma si inscrive appunto in quello che è il Discorso dell’Analista, ma non fa analisi. Anche questa è una cosa a cui noi teniamo molto perché, a sentir parlare certi miei colleghi insegnanti, vedono nella psicoanalisi quel sapere importante, al di sopra di tutto, a cui ambire per essere importanti nella vita e fare qualcosa di più dignitoso che insegnare, perché molti insegnanti vedono la pratica dell’insegnamento come qualcosa di banale. Noi invece che non vediamo l’insegnamento come qualcosa da minimizzare, teniamo moltissimo a circoscrivere il Campo della pedagogia all’interno del Campo Analitico, proprio perché abbiamo colto in dieci anni, se non di più, di accumulo di casi o esperienze pedagogiche, di ascolto fatto con adolescenti, l’importanza di un segmento fondamentale in Campo Pedagogico, in cui un adolescente possa parlarsi, possa dirsi, possa esprimersi, per prendere coraggio, per acquistare consapevolezza di sé. L’adolescente sta sempre zitto, a scuola non è tenuto a parlare, anzi rompe le scatole se lo fa.

Guidi: quindi l’oggetto piccolo a in questo caso è proprio l’ascolto.

Sorge: (a Sassetti) io ti voglio fare una domanda proprio come dire, non a caso vorrei dire propriamente soggettiva e personale, ma il fatto che io non sapessi che tu sei un musicista, ovviamente questa mia mancanza rilancia il desiderio, fondamentalmente, questo è il discorso…allora, nel film c’è Mozart, c’è Morricone, ad un certo punto si coglie Morricone, quando c’è quel coretto, è il Morricone di Sergio Leone insomma, naturalmente molto prestato alle atmosfere, ma c’è anche un accenno ad una musica che io nella mia ignoranza definisco quasi dodecafonica. Ci puoi dire qualcosa in proposito?

Sassetti: sulla musica di Pasolini?

Sorge: si, sulla musica e Pasolini e quest’uso della musica, perché rispetto alla compattezza e alla coralità anche delle scene e dei loro tagli, a me, ma sarà una suggestione del momento, questo piccolo brano fa dissonanza.

Sassetti: Morricone diceva chiaramente che Pasolini aveva una grande sensibilità musicale. C’è un bellissimo libro Pasolini e la musica, dove si legge come la musica non sia mai un elemento casuale in Pasolini; non per niente in Accattone e Il vangelo secondo Matteo tutta la sacralità che Pasolini ha messo in gioco con l’immagine diretta, fissa sulla fisicità frontale delle ragazze e dei ragazzi di borgata la sottolinea con Bach. Ne La ricotta questa sacralità si alterna fra dischi pop di musica diciamo così blasfema e dischi di musica sacra, di Scarlatti. In Teorema la musica ha un altro fondamento, è mortifera, non per niente pone il Requiem di Mozart, perché come asseriscono molti studiosi, anche amici e colleghi nostri, ritornando alla duplicità di Teorema, quando Pasolini morì all’Idroscalo di Ostia, fra il primo e il due novembre del 1975 era già morto. Per cui è vero che le cinque risposte non portano a nulla? Io non ne sarei del tutto sicuro. La risposta mistica sembra quella più propria a Pasolini, in quanto in Porcile lui pone se stesso in una poesia e dice «Mai, oggetto di passione amorosa è stato così infimo (per dir poco)»[‡]. Dobbiamo sempre ribadirlo troppo, ma ciò che Pasolini amava era la morte, e ha fatto di tutto per incontrarla. C’è anche chi parla di un omicidio su commissione. Comunque, amare la morte non significa per forza di cose essere poco vitali nella vita, essere comunemente depressi, spenti. E’ proprio l’esatto contrario.

Guidi: la soluzione in questo caso, ritornando alla doppiezza del film Teorema, però è soggettiva.

Sassetti: si.

Guidi: la sceglie Pasolini.

Sorge: certo che c’è questo fotogramma estremamente vivido e impressionante che è lo sguardo di Laura Betti, come dire, è veramente lì. Ma io penso che anche su un piano suggestivo si abbia quello che Lacan chiama l’oggetto sguardo, perché è uno sguardo al di fuori della presenza stessa del soggetto, il soggetto è cancellato, sono solo gli occhi. Ecco, questo secondo Lacan, io ve lo fornisco così, è l’oggetto causa, … è una versione dello sguardo della madre, se così lo possiamo definire, ma questa definizione è già impropria e immaginaria perché lo dice.

Guidi: però è strano, perché nella morte appunto di Laura Betti, dove compaiono gli occhi, lì Pasolini si ritrova, cioè è quell’oggetto, mentre la madre reale di Pasolini seppellisce il figlio.

Sorge: certo.

Guidi: è come poi è accaduto nella realtà, Pasolini è morto prima, sei anni prima circa della madre, e la madre ha seppellito il figlio. Fra l’altro, siamo andati a vedere la tomba di Pasolini a Casarsa …

Sorge: Casarsa che è la sua città …

Guidi: si, c’è un’unica tomba con Maria Grazia Colussi e Pier Paolo Pasolini.

Sorge: finalmente insieme…

Guidi: finalmente insieme…

Sassetti: poi la risposta nella mistica è quella dove Pasolini ha posto i personaggi più vicini a lui, Laura Betti che è stata…

Sorge: Laura Betti che vinse la Coppa Volpi in Teorema? E poi, insomma, una che ne ha tenuto in vita la memoria.

Guidi: beh, certo.

Intervento: ma sbaglio o in un film che non mi ricordo più quale, perché io Pasolini l’ho visto tantissimi anni fa, c’è una scena della sua nascita e l’attore che fa lo sguardo del padre è il padre vero di Pasolini? Forse ho un ricordo sicuramente molto confuso, però mi ricordo adesso che mi avete riportato a questa storia degli sguardi della madre, lo sguardo di Laura Betti

Sassetti: c’è in Edipo re, ma non è il padre però…

Intervento: io so che è il padre…l’attore che interpreta lo sguardo allucinato della nascita di Edipo.

Sassetti: il film di Edipo è del 1966

Intervento: e inoltre un’altra annotazione che ricorda la morte è qui, vi chiedo scusa se eventualmente sbaglio, mi pare che Mozart abbia scritto il Requiem per sé…quindi tutto gira…

Sassetti: mah, io so che il padre di Pasolini morì molto tempo prima. Edipo re è del’66. Io non penso che sia il padre, perché è molto giovane, sicuramente è molto simile …

Intervento: io non so perché ho questo ricordo….

Sassetti: perché il padre di Pasolini era un militare e lui pone il padre di Edipo in divisa.

Intervento: allora forse è questo il richiamo.

Guidi: esatto, quest’analogia, quest’immagine in divisa.

Sorge: a me, come dire, sempre suggestivamente, ma non per il film con Monica Vitti, è venuto in mente Antonioni, ma mi è venuto in mente Antonioni di Professione reporter, con Jack Nicolson. Blow up, ad esempio, rivisita la sessualità in una chiave pop, non in una chiave sacrale come Pasolini. Però, ecco questi sono dei film che hanno fatto storia e io credo che veramente sono passati quarantadue anni ma non è passato nessuno, come dire, veramente non…

Guidi: non li dimostrano…

Sorge: si, sono ancora ricchi, nel senso che si può ancora rilanciare l’immaginario su tutta una serie di particolari … io per esempio questa funzione del taglio che immagino di aver capito, l’ho capita adesso, mi mancava insomma … Ci sono altre domande, altre curiosità? Io, come dire, prima di tutto vi ringrazio, prima di tutto personalmente e poi per la vostra generosità….

Guidi: grazie a te per l’invito…

Sorge: e penso che sia stato un bell’incontro e speriamo di poterlo replicare continuando a parlare e che questa fruizione del film possa diventare uno stimolo per continuare a parlare di psicoanalisi. Ma che, più precisamente, il discorso sull’uomo e sul suo destino continui in questa scuola di specializzazione, perché io tengo a sottolineare che … sono ancora animato da un desiderio, per fortuna, e anche sul piano della mancanza che poi, per una serie di motivi veramente legati, insomma, lo dico chiaramente, al Discorso del Capitalista o al Discorso del Padrone, molti degli specializzandi sono mancati, perché è un Discorso, come dire, irresistibile e quindi in ragione anche delle mie antichissime militanze, bisogna dire che questi sono dei luoghi di resistenza umana, non so se siete d’accordo…

Guidi: certo…

Sorge: … resistenza umana. Quindi grazie a tutti, grazie a voi per essere stati qui.

* * *

Note:

[*] Tratto dal libro di Pierluigi Sassetti, La Pedagogia Perversa. Tra Pasolini e Lacan, Editrice Clinamen, Firenze, 2004.

[†] Murri S., P.P. Pasolini, Editrice Il Castoro, Milano, 1995, p. 97.

[‡] P.P.Pasolini, Porcile, in Teatro, Garzanti, Milano, 1995 p.473.

Download PDF
Recent Posts
Contact Us

We're not around right now. But you can send us an email and we'll get back to you, asap.

Not readable? Change text. captcha txt

Start typing and press Enter to search