Due fotografie di Franco Cerri ci guardano sulla copertina di Sarò Franco. Davanti, c’è il Cerri di oggi: magro, elegante, con in mano il fodero della fedele chitarra, sorride guardando l’obiettivo con gli occhi leggermente socchiusi, con il pudore e l’affabilità che sempre lo contraddistinguono. Sul retro, c’è un Cerri a malapena adolescente, ugualmente magro ed elegante, che imbraccia una chitarra; l’espressione è la stessa, forse solo più incerta e timida. Fra queste due foto è racchiuso il percorso che Sarò Franco racconta. In realtà “raccontare” è un termine impreciso, perché le pagine di questo libro non sono, né vogliono essere, una biografia di Franco Cerri. Piuttosto, i centotrentatré capitoletti che lo compongono (brevi, a volte brevissimi) mettono in fila, in ordine rigorosamente sparso, ricordi, aneddoti, a volte veri e propri fulminanti aforismi (uno fra tanti: «L’accompagnatore non esiste. È un modo diverso di essere protagonista»). Insomma, l’impressione è quella di poter cogliere i frammenti di una conversazione privata, recitati dalla stessa voce di Cerri, con la sua onestà, il suo candore e la sua inconfondibile ironia. E, in effetti, è proprio così, come confessa lo stesso Cerri: «Pierluigi Sassetti è un amico. Un giorno mi ha detto che voleva venire a Milano per parlarmi. Poi mi ha chiesto di raccontare la mia vita e ha registrato tutto. È venuto sei o sette volte e, un annetto dopo, mi ha rivelato di volerne fare un libro. Mi è piaciuto perché non è un romanzo: sono momenti della mia vita, riflessioni, scritti così come sono venuti fuori».
Sergio Pasquandrea