Gianni Scalia

 In Pagine pasoliane
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Chi fa sul serio è perdente!

Conversazione su Pier Paolo Pasolini

 

Intervista a Gianni Scalia

Di Alessandro Guidi e Pierluigi Sassetti.

Con la partecipazione di Giampiero Betti.

 

Caro Gianni,

tu non sai che gioia mi ha dato la tua lettera. Solo nel vuoto – in un vuoto quasi accademico o da ospedale psichiatrico – e qualcosa che mi giunga dall’esterno è un messaggio consolante e festoso. Dunque esisto!

La tua idea di «tradurre» in termini di economia politica ciò che io dico giornalisticamente mi sembra non solo bellissima, ma da attuarsi subito. E certo, per «Nuovi Argomenti». Sarebbe una cosa fra l’altro che mi spingerebbe a rioccuparmi della rivista e a rilanciarla. Ti prendo in parola e aspetto un tuo scritto, dove (se posso darti un consiglio) tu resista al raptus di felicità linguistica che ti prende quando scrivi cosa «giuste», facendo quindi il più possibile il «dovere» del «traduttore». E’ questo che occorre, subito. Per me, per te, per tutti.

Io direi che ti prima faccia questa «traduzione» e poi io venga a Bologna, a discuterne, all’Istituto di Sociologia, anche o dove vuoi.

Ho risposto col pathos al pathos, e ti abbraccio con affetto,

Pier Paolo

 

 * * *

 

Sassetti: ecco, signor Scalia, queste sono le nostre pubblicazioni su Pasolini. Noi lavoriamo su Pasolini da circa dieci anni …

Scalia: dieci anni …. accidenti … com’è che io non conosco queste cose? Pasolini e Lacan …

Guidi: questo invece è un libro dedicato a Pier Paolo Pasolini, L’Atto Pedagogico, tratta di pedagogia…

Scalia: bene, raccontatemi voi, raccontatemi voi…

Guidi: io sono uno psicoanalista, psicoterapeuta di formazione lacaniana. Nel 1990 ho costruito assieme ad altri collaboratori un’associazione, il Centro di Ascolto e Orientamento Psicoanalitico …

Scalia: dove, a Firenze?

Guidi: a Pistoia e a Firenze, e ci occupiamo di formazione per operatori che lavorano nel sociale, quindi educatori, infermieri, maestri, insegnanti, anche psicologi, con un taglio … non scolastico, ma con un taglio più vicino al laboratorio che alla scuola.

Scalia: quindi alla pratica insomma …

Guidi: si, alla pratica, alla prassi, dove la teoria si deduce dalla prassi, più che al contrario, sempre sull’inconscio come oggetto di fondo.

Scalia: beh, per forza …

Guidi: realizziamo convegni, seminari, giornate di studio, incontri, apertura di punti d’ascolto nel sociale. In sintesi, questo è ciò che realizziamo da vent’anni. Per quanto riguarda le pubblicazioni, abbiamo una collana che dirigo personalmente, Fort-Da, per la casa editrice Clinamen, di Firenze, e questo La Pedagogia Perversa. Tra Pasolini e Lacan, è stato scritto da Pierluigi Sassetti, con la mia supervisione. Sassetti è mio allievo, diciamo meglio che è stato mio allievo. Adesso è cresciuto, e si collabora da anni; è stato in formazione da me per tanti anni, in analisi con me …

Scalia: ma questa è l’avventura, del discepolo rispetto al maestro …

Guidi: esatto, … abbiamo poi stretto questa collaborazione, in divenire, prendendo posizioni diverse, ma per questo integranti all’interno del Campo Analitico. Abbiamo ormai scritto diversi libri assieme, L’Atto Pedagogico, ad esempio, un tentativo di decostruire la pedagogia, un po’ del Padrone, diciamo, la pedagogia senza inconscio, che parte dalla deduzione teorica, ma non dalla “carne”, dal “corpo”, e ci siamo avventurati nella logica lacaniana dei cinque discorsi.

Scalia si, certo …

Guidi: ecco, e quest’altro libro, L’eredità di Pier Paolo Pasolini, è il tentativo di mostrare come Pasolini, senza saperlo, ha perfettamente rappresentato con Salò, quello che è il Discorso del Capitalista di Lacan che è il quinto discorso, come manifesto cruciale …

Scalia: si, si, è vero, si … Poi, lui, Pasolini, aveva una vocazione di maestro, ha insegnato …

Guidi: certo, tutto il progetto pedagogico che va da Gennariello a Il Merda, personaggio di Petrolio, si ritrova qui, nell’articolo di Sassetti, nel libro L’Eredità di Pier Paolo Pasolini, un volume in cui compare anche Stefano Agosti, con un contributo dal titolo La parola testamentaria. Ecco, in sintesi, Pasolini, è una di quelle figure che insieme a Lacan, Freud, chiaramente, che circolo nel centro in qualità di sapere, e li utilizziamo come strumento, come didattica, con gli allievi, gli analizzanti. Ecco, noi siamo qua, perché non abbiamo mai avuto l’occasione di poter incontrare Pier Paolo Pasolini, di persona …

Scalia: non lo avete mai incontrato?

Guidi: no, purtroppo no. Nel 1975, avevo venti anni, quindi … Però, quando lo osservavo in televisione, già allora sentivo qualcosa, un’attrazione per ciò che diceva.

Scalia: Avete visto i suoi film?

Guidi: si, certamente, Salò

Scalia: Salò è un film importantissimo per Pasolini …

Guidi: lo vidi, e mi colpì, perché ero giovane. Però colsi, intuii, che lì c’era qualcosa di straordinario, sicuramente una sorta di premonizione, un film “avanti” per quell’epoca. Addirittura, Salò, viene regolarmente proposto al Centro di Ascolto, agli allievi in formazione, commentandolo, e addirittura, ancora oggi ci sono persone che non riescono a reggerlo, si spaventano. Col tempo poi, qualcosa riescono a tirar fuori dalla personale elaborazione soggettiva. Ecco, diciamo, questo è un breve riassunto del mio personale rapporto con Pasolini.

Scalia: interessante, quantomeno diverso, particolare.

Sassetti: Le ho richiesto questo incontro, questa intervista, perché, per le nostre ricerche, noi partiamo da questo suo volume in cui lei parla di “tradurre Pasolini”.

Scali: penso questo in sostanza, perché ogni autore deve essere tradotto, insomma, poi, in modo particolare Pasolini, perché Pasolini deve essere tradotto, altrimenti non si capisce. E lui, ha pensato, secondo me, di scrivere, diciamo così, di esprimere le sue idee, i suoi sentimenti, perché fossero tradotte. Ecco, questa mi sembra una caratteristica di Pier Paolo.

Guidi: tradotte quindi, enunciate.

Scalia: Certo, tradotte quindi comunicate, fatte partecipare, incomma.

Guidi: infatti, e noi cerchiamo di farlo …

Scalia: questa non è la caratteristica di molti scrittori, o di molti intellettuali.

Guidi: anzi, al contrario …

Scalia: Si … Pasolini non pensava di essere un intellettuale, non gli piaceva la parola intellettuale per di più. Queste erano cose che ci dicevamo,

Sassetti: ma poi, secondo lei, è stato tradotto oppure questa cosa è venuta a mancare?

Scalia: Pasolini è stato molto conosciuto, conosciuto in tutto il mondo insomma, come regista. Come regista Pasolini è conosciuto ovunque, in Europa, nel mondo.

Guidi: come poeta …

Scalia: come poeta meno, e come profeta, si può dire profeta o è troppo dire profeta?

Guidi: ma, come grande interprete, certamente…

Scalia: etimologicamente, profeta, “chi parla per qualcosa”, no? Quindi anche per chi ascolta. E poi rimane sempre qualcosa di enigmatico, di questa sua morte, di questa sua uccisione,

Guidi: qui sul suo libro, Pasolini mon ami assassinè, c’è un accostamento con Karl Marx, …

Scalia: e bah, lui si diceva marxista, …

Guidi: sono due profeti, due grandi lettori ed interpreti della realtà che dovrà essere.

Scalia: non mi ricordo se abbiamo parlato di Lacan con lui. Può darsi, insomma, abbiamo parlato di tante cose, l’ho visto più volte, eravamo molto amici, soprattutto negli ultimi anni. Non mi ricordo se abbiamo parlato di Lacan, comunque, è molto probabile che Pasolini lo abbia letto, perché era un lettore formidabile.

Guidi: Io sospetto di si, che lo abbia letto. Nel libro Descrizioni di descrizioni, faceva una distinzione tra Kavafis e Lacan, o qualcosa del genere, dove scrive “Ma Kavafis non «parla la parola» (Lacan): parla, ancora, la cosa”. La parola come parola e la parola come cosa, non ricordo bene.

Scalia: das Ding

Guidi: das Ding, certo. Ma sicuramente ha letto Lacan, traspare, è troppo chiaro che nel suo impianto complessivo, come dire, applica il Discorso del Capitalista. Il passaggio dal Sacro al consumismo, al benessere, negli anni settanta, questo è qualcosa di epocale…

Scalia: si si, il benessere è il contrario, il benessere consumistico è il contrario del Sacro, certamente.

Sassetti: quando ha incontrato per la prima volta Pasolini?

Scalia: dunque, … adesso mi fate ritornare ad antichi ricordi insomma. Adesso, sul momento non direi, … ma se ci penso un po’ forse mi viene in mente … non ricordo quale è stata la prima volta, come si dice sempre. Quello che dice “Ho incontrato per la prima volta quella persona … “, insomma, no? … e dopo una grande amicizia, sembra un’occasione felice, una specie di grazia. Invece, non ho questa sensazione insomma. Mi sembra di aver conosciuto Pasolini a proposito di Officina, la rivista Officina. Non so se sapete cos’è la rivista Officina? la rivista officina è una rivista che si è fatta a Bologna, ed è fatta soprattutto da un poeta, naturalmente amico di pasolini e tutti noi che si chiama Roberto Roversi. Roberto Roversi e un suo amico Francesco Leonetti fecero una rivista. Io ero già qua a Bologna, io non sono nato a Bologna, sono nato a Padova da genitori siciliani, vissuto a Padova, a Trento, sfollato durante la guerra. Però quando si fondò Officina, quando Leonetti e Roversi fondarono la rivista Officina io ero già qui da qualche anno e insegnavo.

Guidi: in che anno?

Scalia: Quando sono venuto io a Bologna?

Betti: io penso subito dopo la guerra,

Scalia: no, forse nel 62, o nel 64…

Betti: no, no, prima , prima… io ti ho conosciuto dopo, 16. 12.

Scalia: mi sembra negli anni sessanta…

Betti: poi tu ti sei laureato tra Bologna e Firenze… tu ti sei laureato a Firenze, ma hai fatto una parte di università a Bologna. Ti sei laureato con Garin. Il bello è che non era francese, tutti lo chiamavano e lo chiamano “Garen”, ma in realtà si chiamava “Garin”, e a lui piaceva questo.

Scalia: si, certo, ho un carissimo ricordo di garin, e poi di un professore di italiano che si chiamava Chiavacci, un filosofo, che insegnava italiano. C’era anche De Robertis, ma comunque torniamo a Pasolini… Certo, Pasolini era del 22, mentre io sono del 28, Leonetti del 23, e Roversi è del 24. E quindi, ritornando al discorso, ho conosciuto Pasolini quando Roversi si mise in testa di fare una rivista e chiese a Pasolini, perché erano stati amici di infanzia, di giovinezza, insomma…

Betti: io ho parlato con persone che hanno avuto la fortuna di conoscere pasolini e tutte quante ne hanno un bellissimo ricordo.

Scalia: certo, chi ha conosciuto Pasolini ne ha un ricordo fuori del comune…

Betti: lui ha fatto l’università a Bologna, la tesi su Pascoli…

Sassetti: se non sbaglio Pasolini si riscrisse anche all’università, ma poi non la portò in fondo… meno male…

Scalia: Si, si,

Guidi: che impressione ebbe di Pasolini quando lo conobbe?

Scalia: Bè, potrei raccontarvi degli aneddoti, degli episodi. Be, dunque, pasolini aveva per me una simpatia intellettuale, più che umana, diciamo. Bisognerebbe spiegare meglio, ma in fondo si capisce questo. Tra me, Roversi, Leonetti e Pasolini, io ero il più giovane i sostanza. Diciamo che io ho conosciuto Pasolini negli anni 50, nei primi anni cinquanta, quando avevo 22 anni. Perché Officina, la rivista, è cominciata, se non sbaglio, alla fine degli anni 40. Venendo qui a Bologna, dopo l’università, ho conosciuto Roversi, e un amico carissimo che si chiama Leonetti, Francesco Leonetti, anche lui poeta. Leonetti e Roversi, soprattutto Roversi, aveva conosciuto pasolini in gioventù, quando loro avevano vent’anni, e che avevano fatto i “pre-militari”, si diceva una volta. Si erano conosciuti in quegli anni insomma, prima della guerra, e questa amicizia era rimasta. Poi Pasolini, com’è noto, insomma, è andato a Roma e da li è iniziata la sua avventura, intellettuale, culturale, cinematografica. Lui è conosciuto in Italia come autore di cinema, prima che come poeta.

Guidi: quindi il suo rapporto iniziale è avvenuto attraverso la poesia…

Scalia: si, il rapporto è questo: io conoscevo Pasolini nel senso che lo leggevo, ma poi l’ho conosciuto di persona quando Roversi e Leonetti, che erano molto amici e che poi sono diventati anche amici miei, o meglio io ero diventato loro amico, mi dissero che volevano fondare una rivista, Intitolata Officina, questo è tipicamente “roversiano” insomma, perché Roversi ha l’idea che la cultura sia una forma di lavoro, di attività, di officina insomma, e avevano chiesto a Pasolini se voleva collaborare. Il termine Officina, piaceva a Pasolini, ma non tanto come a Roversi. Comunque Pasolini era naturalmente già una personalità nota, e lui disse subito di “si”, pensando ai suoi amici di gioventù. Ed io mi ricordo perfettamente il giorno in cui lui venne qui a Bologna, ed in una casa, qui si fondò Officina.

Guidi: anche Pasolini partecipò alla fondazione?

Scalia: certamente, e vi è rimasto fino alla fine,

Guidi: vi siete persi di vista, poi, successivamente?

Scalia: no, quando si facevano le riunioni di redazione, lui veniva sempre a Bologna. Potrei raccontare tanti episodi a tal proposito, ma ce ne sono due simpatici che vale la pena di raccontare: uno che mi riguarda, e uno che riguarda la redazione di Officina. Un ricordo che vale la pena di raccontare perché da l’idea della serietà di Pasolini, una serietà quasi religiosa, diciamo, di una religione laica naturalmente. Mi ricordo che Pasolini un giorno disse: “Io vengo molto volentieri a Bologna”, intendendo dire, non soltanto perché voi, siete dei miei vecchi amici, riferendosi a Leonetti e Roversi, soprattutto Roversi insomma. Insomma, ogni volta che c’era una riunione, noi lo chiamavamo e lui veniva direttamente da Roma, un sacco di chilometri, di tempo speso a viaggiare. E lui ci diceva di non preoccuparci, perché venire a Bologna, per lui, significava venire nella città “in cui era nato”, “stare con i suoi amici”, ma soprattutto “partecipare alla rivista Officina che mi sembra la mia porziuncola”. Cioè, di fronte alla Roma, enorme, a perdita d’occhio, Bologna è una specie di “nicchia”. Questo era Pasolini. E un’altra cosa che mi riguarda, quando partecipava alle riunioni di redazione di Officina, lui rimaneva qui, almeno una settimana, e viveva in albergo. Un giorno Roversi aveva una libreria, vendeva libri e ci vedevamo in questa libreria dove aveva il suo ufficio che è qui a Bologna nel corso centrale, in via Rizzoli, la libreria si chiamava Palmaverde. In questa via c’è un caffé, c’è ancora un caffé. Allora era un caffé molto frequentato, da intellettuali soprattutto. Noi facevamo queste riunioni di redazione, scendevamo dal palazzo, ci sedevamo al tavolo. Bene, ad un certo momento Pasolini si alzava. Diceva: “Aspettatemi!”. Usciva, attraversava via Rizzoli, andava dall’altra parte della via e si vedeva che fermava un ragazzo, un giovane e parlava con questo giovane. Dopo un po’ si congedava e tornava. Noi capivamo, insomma, no? E quindi non dicevamo nulla. Ma Roversi mi ha raccontato, questo per dire della delicatezza di Pasolini, siccome loro, Leonetti e Roversi, lo conoscevano da più tempo di me, erano coetanei, tra di loro quindi c’era una confidenza che con me, forse, non c’era. E Roversi mi ha raccontato: “Sai Gianni, ti racconto che un giorno Pasolini mi disse: “Ma quando Gianni vede che io vado dall’alta parte della strada e fermo un ragazzo, Cosa può pensare? Può essere sconcertato?” E Roversi gli rispondeva “No, no, certamente no”. Insomma, lui aveva di me, che non aveva quella confidenza che aveva con gli altri due, questa particolare delicatezza. Ecco, questo è un aspetto di Pasolini.

Guidi: delicatezza, riservatezza…

Scalia: non solo, una specie di coscienza, di un’amicizia profonda, un timore che un suo comportamento possa turbare un amico in cui crede, di cui ha l’affetto. Ci sono poche persone così…

Guidi: direi …

Scalia: è una delle cose di Pasolini che non dimentico, insomma

Guidi: ecco, qui sul suo libro, c’è una frase e mi piacerebbe che la chiarisse. Lei scrive: «Io ho scritto su Pasolini qualche mese facendo una distinzione tra gli amici di Pasolini nel senso di suoi amici e nel senso di amici di lui». Ecco, che vuol dire?

Scalia: carina questa distinzione. Gli amici di Pasolini, gli amici suoi insomma, siamo stati noi. Gli amici di lui sono gli amici che si considerano amici per convenzione, per necessità, per lavoro comune, no? Ma Pasolini intendeva l’amicizia come qualcosa che non fosse convenzionale. Questa, è una sua caratteristica, tanto è vero che, mi dimenticavo di dire, mi raccontò Roversi, anni dopo, non so se dopo la morte di Pasolini, “Sai, Pasolini aveva molta stima di te”. Io certamente lo capivo, si vedeva, me ne accorgevo, ed io, ovviamente di lui, eccome.

Guidi: ecco, quest’immagine, questa cosa di Pasolini che si alza, come preso da una impulso, era qualcosa più forte di lui …

Scalia: certamente, certamente, ragazzi adolescenti, giovani, ragazzi di vita …

Betti. Lo scrive anche in Supplica a mia madre, ne era consapevole, era chiarissima questa cosa. Poi ne parla anche con Musatti, in Comizi d’amore, dell’omosessualità.

Guidi: ecco, qui, tornando al suo libro, scrive che «L’inconscio è anche ideologia». Sono molto d’accordo.

Scalia: ma è li l’incontro tra psicoanalisi e marxismo. Pasolini parlava di Marx, intendeva che il comunismo fosse legato ad una concezione del mondo filosofica o politica che si chiama comunismo. Però, la cosa essenziale è … … … che fosse una consapevolezza della realtà. Conoscere la realtà lo può fare uno storico, uno scienziato, ma la consapevolezza della realtà, che diventa vita, ecco, questo era Pasolini. Pasolini intendeva la realtà come vita. Allora, intenderla così significa che la realtà è storica, politica, scientifica, sociale eccetera, la vita invece è individuale, non collettiva. Invece lui intendeva uniti i due aspetti, non disgiunti.

Guidi: una disperata vitalità?

Scalia: una disperata vitalità … ?! No, in una Disperata vitalità c’è un’altra faccia del suo infinito amore per la vita …

Guidi: tensione …

Scalia: si, che in qualche modo è doloroso. E’ doloroso perché diventa una consacrazione alla vita.

Guidi: questo è molto vicino a Lacan, perché in Lacan il concetto di vita è la realtà…

Scalia: è un po’ lacaniano, certamente. Comunque, pasolini è … non una personalità, non mio piace dirlo, è piuttosto una persona rara, una persona rara.

Sassetti: questa è l’opinione comune di chi lo ha conosciuto.

Scalia: si, li capisco. Che poi, c’è una lettera in cui lui parla di me, che mi dice quello che mi ha toccato profondamente quando l’ho letta.

Sassetti: si riferisce alla lettera pubblicata nell’Epistolario?

Scalia: si, scritta poco prima di morire.

Sassetti: ecco, infatti, lei qui scrive che incontra nuovamente Pasolini dopo tanto tempo,

Guidi: quindi c’è stato un distacco?

Scalia: si, si, perché ad un certo momento Officina finì. Lui non veniva più a Bologna. La rivista finì perché non c’erano più soldi per continuare, perché i soldi ce li metteva Roversi insomma. Comunque con Pasolini ci sentivamo …

Betti: lui ha girato una parte di Salò qui a Bologna, in una villa napoleonica dell’epoca, qui sulle coline bolognesi, una zona molto bella.

Sassetti: non è Salò quindi la villa in cui viene girato il film?

Betti: no, anche il finale dell’Edipo re è girato in piazza Maggiore a Bologna.

Scalia: e io l’ho rivisto, forse per l’ultima volta, quando lui mi telefonò dicendo “Sono a Bologna, per girare un film. Allora, ci vogliamo vedere?”. Io gli dico “Quando vuoi, dimmi tu”. Lui mi risponde “Ah, guarda, questa sera non posso, anche domani sera, ma dopo domani ti telefono e ci vediamo” e così ha fatto. E allora mi ha detto, adesso vi racconto un particolare che mi ricordo di aver detto, mi telefonò dicendo:

“Gianni sono qui a Bologna, perché non vieni a prendermi?”

“Benissimo, dove devo venire?”

“Vieni a prendermi sul set”.

“Dimmi dov’è questo set?”.

“Questo set è una villa, villa Aldini che sta … adesso non ti saprei dire dove…”.

“No, guarda – gli rispondo – io non sono mai stato si un set e quindi non verrò”.

“Va bene, allora vengo io, ma vengo io sul tardi quando abbiamo finito le riprese perché stiamo facendo un film eccetera”.

Guidi: quindi dal 50 al 75 non vi siete più sentiti?

Scalia: no, no, non l’ho più visto.

Scalia: no, ci siamo scritti, c’è un piccolo carteggio tra me e lui. E allora, tornando alla cosa, è venuto a prendermi e si leggeva sui giornali che lui, per adescare i ragazzi aveva comprato un’Alfetta metallizzata, che io non capivo bene cosa volesse dire. Alfetta forse voleva dire una macchina. Comunque, è venuto, mi ha suonato, sono sceso, eccetera. E lui mi chiedeva “Non sei mai stato su un set?”. “No – gli rispondevo – non sono mai stato su un set, o forse il set me lo faccio con certi amici, da solo” e allora lui si è messo a ridere. “Sei sempre il solito” mi diceva. E poi continuava “Adesso è sera, sono le nove, adesso andiamo a mangiare dove andavamo ai vecchi tempi”. E passammo due ore a cercare quei luoghi da lui desiderati perché erano la sua giovinezza, che erano diventati … che non erano più trattorie. E poi mi chiese: “Ma hanno messo il coprifuoco qui?” perché in giro non c’era nessuno. Mi ricordo tante frasi di quello che mi disse quella sera, perché quella sera è stata indimenticabile, perché è stata l’ultima volta che l’ho visto.

Betti: erano anni, nel 75 in cui girare di sera per Bologna era una cosa diversa. Invece prima si girava benissimo.

Scalia: era stupito che non ci fosse più gente, di sera, per Bologna. Così mi diceva di Roma, che era “una città in cui non si può più vivere”.

Sassetti: già a quei tempi.

Scalia: si, si, certo. Poi mi diceva che il comunismo era finito, che non c’erano più speranze, tute queste cose qui.

Sassetti: e quella è stata l’ultima volta che lo ha visto.

Scalia: si, quella è stata l’ultima volta che l’ho visto.

Guidi: ecco, ma a posteriori, di questo ultimo incontro, ripensandoci, lo vedeva una persona tranquilla, oppure…

Scali: no, no, lui non era mai tranquillo. Lui era sempre teso, teso, teso.

Sassetti: concentrato….

Scalia: si…

Guidi: si, infatti…..

Scalia: nell’Epistolario c’è una lettera. Quando lo vedevamo a Bologna non ci scrivevamo, certamente. Però, quando lui non veniva più…

Betti: ma c’era una proposta di collaborare assieme agli Scritti Corsari?

Scalia: si, lui mi chiese, mi disse “sto facendo degli scritti che voglio chiamare corsari… dovresti collaborare, mandarmi qualche scritto, eccetera”, e quindi, il mio ricordo che mi rattrista ancora, in una memoria così lontana e affettiva, ma tutto sommato mi rattrista di meno. Perché sono felice di averlo conosciuto, di aver parlato con lui, di essere stato suo amico. E mi ricordo, tornando a quella notte in cui mi diceva “Ma qui hanno messo il coprifuoco”, mi chiedeva: “Ma qui non c’era un’osteria dove andavamo a mangiare?”. Ed io gli rispondevo: “Si, ma adesso c’è un negozio di jeans, insomma”. Poi mi parlava della crisi del partito comunista; e lui non diceva “sinistra”, lui diceva comunismo, giustamente, perché sinistra non vuol dire nulla, già adesso poi … non ha senso insomma.

Guidi: quindi luoghi pasoliniani che non esistono più.

Scalia: si, una cosa molto triste. Tant’è vero che nel film

Sassetti: a proposito della scomparsa dei luoghi pasoliniani. Una volta sono venuto qua a Bologna e ho chiesto dove fosse il “Portico della morte”, e nessuno ha saputo rispondermi a questa domanda, non lo conosceva nessuno.

Scali: ma non sanno più nulla! I bolognesi non sanno più nulla. E’ qui vicino.

Sassetti: è dove c’è una famosa libreria…

Betti: la Libreria Nanni, c’è ancora…

Scalia: lui ha comprato dei libri di Freud, a metà prezzo, proprio in quella libreria, in questo Portico della morte, i Casi Clinici di Freud.

Sassetti: ma lo sa che c’è qualche nobile intellettuale che asserisce che Pasolini non può aver letto Freud, perché Pasolini diceva di aver letto Freud durante il periodo dell’università, perché a quel tempo Freud, non era stato ancora tradotto in italiano.

Scalia: no, questa è una stupidaggine. Freud è astato tradotto in italiano negli anni trenta.

Betti: Qualcosa c’era già durante gli anni del fascismo, Bianchini lo aveva tradotto per primo…

Scalia: no, negli anni quaranta’ Freud era stato già tradotto in italiano.

Sassetti: a tal proposito Pasolini scrive: “Non si legge più come quando si ha quindici anni”.

Scalia: questa frase, “Non si legge più come quando si ha quindici anni” è proprio Pasolini, perché leggere vuol dire scoprire qualcosa di nuovo. Quindi lo stupore, la bellezza, la meraviglia, la bellezza dell’imparare. Lui di fatti, era un maestro. Diciamo un Petit Maitre. E aveva proprio la vocazione del maestro. Difatti ha fatto anche il maestro elementare.

Guidi: ecco, un altro aspetto importante che lei sottolinea è la “crudeltà”, il concetto di crudeltà che nessun intellettuale ha mai proposto.

Svaria: la crudeltà di Pasolini è il pensiero che l’amore è crudeltà. L’amore è crudeltà perché l’amore vero è crudele. Sono gli amori non veri che non sono crudeli, sono ipocriti, falsi, superficiali.

Guidi: quindi l’amore per la verità è crudele?

Scalia: certamente.

Guidi: nessuno ce l’ha oggi, quindi nessuno è crudele.

Scalia: il dolore che fa la conoscenza in sé… che è una cosa stupenda, meravigliosa: la conoscenza è dolore e il dolore è conoscenza.

Guidi: certo… l’avventura analitica che è la scoperta dolorosa del proprio inconscio…

Betti: certamente.

Guidi: però, al tempo stesso, gioiosa in qualche modo: dolorosa e gioiosa.

Sassetti: quindi, Comizi d’amore, come comizi crudeli…

Scalia: Comizi d’amore è una parte importante del cinema di Pasolini.

Sassetti: misconosciuta…

Scalia: si. Quando lo danno la sera tardi, e niente di più…

Betti: ultimamente l’ho rivisto, proprio nel punto in cui Pasolini chiede a Moravia e Musatti: “Si possono fare questi comizi d’amore?”. Moravia risponde subito di “si”, mentre Musatti specifica “devi vedere se dicono la verità”.

Scalia: Comizi d’amore è molto interessante, molto interessante. Si capisce proprio come Pasolini era, … un vero intellettuale, se per intellettuale si intende un indagatore, conoscitore, con l’amore per la conoscenza. Non un professionista…

Betti: non un filosofo…

Scalia: no, un pensatore…

Guidi: secondo me, in Pasolini, prima del pensiero c’era la vita…

Scalia: si, ma Socrate è Socrate.

Guidi: si, ma per me, Pasolini era superiore a Socrate, forse un personaggio costruito da Platone.

Scalia: forse che si, forse che no…

Guidi: Pasolini invece, non era costruito da nessuno…

Scalia: ognuno conosce il suo Socrate, ogni essere pensate. Adesso i pensanti non ci sono più … sono pochissimi i pensanti …

Sassetti: Per questo noi siamo venuti qui da lei, per cercare tracce e spunti. Il suo libro è un libro importantissimo. Noi li abbiamo comprati tutti i libri di critica su Pasolini, li abbiamo letti, ma una sintesi così vera … non se ne trova.

Scalia: quello è un pezzetto di un libro.

Sassetti: un suo articolo appare sul libro di Laura Betti Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione e morte, assieme ad altri importanti, ma già li c’era l’aspetto della crudeltà, che secondo me è una aspetto che non traspare, che non passa oggi.

Guidi: in queste sue pagine, ha veramente colto nel senso Pasolini.

Scalia: no, ma era così: l’amore è crudele. La crudeltà dell’amore. Non è che l’amore è crudele, l’amore è autenticamente amore, per questo è crudele.

Sassetti: può essere un’importante chiave di lettura per leggere Salò…

Scalia: si, certamente … Salò è un grandissimo film, un grandissimo film.

Guidi: un testamento …

Sassetti: cosa ne pensa di Salò?

Scalia: è il più grande film di Pasolini. E poi è il suo testamento.

Betti: adesso si collega la sua uccisione a questo film.

Scalia: ma no, come si dice: amo troppo la vita per non essere ucciso, amo troppo gli uomini.

Sassetti: cambiando discorso, le vorrei chiedere, come vede il modo in cui viene trattata oggi l’opera di Pasolini?

Scalia: non si parla di Pasolini.

Guidi: viene usato insomma.

Scalia: usato male, Pasolini è un poeta italiano, su cui on si scrive più di tanto, all’estero ne hanno una gran considerazione, ma qui in Italia no.

Sassetti: specialmente in Germania.

Scalia: certo, in Germania, ed in Russia. Adesso faremo un numero della rivista In forma di parole, una rivista che ha più di trent’anni di vita, con testimonianze russe su Pasolini. Grandi studiosi oltre che critici cinematografici, studiosi di letteratura.

Guidi: si trova in libreria?

Scalia: no, non si trova in libreria, solo per abbonamento, perché le riviste di alta cultura, in libreria ne si vendono ne si tengono, testuali parole dei Feltrinelli, Mondadori. Cest’ l’Italie, cest’ l’Italie

Betti: i libri di Moccia, magari vanno benissimo, sempre li in prima fila …

Scalia: altro film importante è Uccellacci Uccellini, e la voce del corvo, è di Leonetti, perchè Pasolini capiva che Leonetti era sulla sua solita linea.

Betti: anche nel Vangelo lo ha messo, e poi nell’Edipo Re, il pastore che trova Edipo.

Sassetti: senta, nell’occasione del vostro ultimo incontro, Pasolini, le parlò si Salò, di che tipo di film stesse facendo?

Scalia: mi disse che cosa era Salò. Mi sembra di ricordare che mi dicesse … Vedi, lui non parlava ma di sé: In realtà parlava di se, ma non diceva: “Sono Io!”, e questa di una tale eleganza intellettuale, una specie di riserbo insomma. Per lui Salò non è la fine del comunismo, forse, anche, ma soprattutto Salò è la non comprensione che la storia è orrore. La storia, che è fatta dagli uomini, ma che è fatta male dagli uomini, quella storia li, quella che noi chiamiamo storia, non è la storia: è la storia fatta dagli uomini, fatta dagli uomini nel peggiore dei modi. Vuol dire tirannia, odio, crudeltà, guerra.

Guidi: crudeltà dell’odio, non crudeltà dell’amore.

Scalia: certamente, la crudeltà dell’amore è un’altra cosa.

Guidi: crudeltà come olio liquido, come diceva Lacan, che si spande come aggressività, come petrolio insomma.

Sassetti: Salò, dal mio punto di vista rimane un punto di partenza, non di fine.

Scalia: si, Salò è un grande film.

Guidi: anche Teorema.

Scalia: Teorema è un film molto intelligente.

Sassetti. in alcuni film è come se mancasse la chiave di lettura, la chiave per entrare dentro il senso del film. Sono necessari, dal mio punto di vista, anni e anni per arrivare ad una comprensione autentica di questi film.

Scalia: certo, poi in Teorema c’è la psicoanalisi. La psicoanalisi c’è sempre, c’è sempre in Pasolini.

Sassetti: la cosa strana è che ho personalmente visitato la libreria di Pasolini, e non ho trovato alcun libro di psicoanalisi.

Scalia: li avranno eliminati, fatti fuori.

Guidi: anche lei è di questa teoria?

Scalia: certamente … c’è troppa gente che non ha rinnegato Pasolini, ma semplicemente che non lo capiscono fino in fondo, il che è peggio, sotto certi aspetti. Non ci arrivano.

Sassetti: ma perché togliere proprio Freud? Addirittura, nel libro di Dario Bellezza, c’è un punto in cui accenna come spesso si trovassero con Pasolini a parlare di Freud, Lacan, assieme a Moravia, Dacia Maraini.

Scalia: perché sono degli sciocchini, o degli sciocconi!

Guidi: con la psicoanalisi, d’altra parte, si punta alla verità delle cose, per cui, Pasolini, attraverso la psicoanalisi, va ancora più affondo nella direzione della verità.

Sassetti: nell’intervista di Gideon Bachmann, che ho potuto vedere nel film di Giuseppe Bertolucci Pasolini Prossimo nostro, Pasolini dice una cosa molto importante: “avendoli molto amati – riferendosi alla gioventù – li ho sempre seguiti. Quindi adesso per me questa è una catastrofe. E‘ tutta una dichiarazione d’amore, tutti i miei libri, tutte le mie opere narrative parlano di giovanotti. Li amavo, e li rappresentavo. Adesso non potrei fare un film su questi imbecilli che ci circondano”. E la domanda che pongo, in questo nostro libro L’eredità di Pier Paolo Pasolini, è: Pasolini ha specificato: “li amavo”, quindi questo amore che dura dai primi scritti di Pasolini, quelli Friulani si interrompe. Come sarebbe cambiata l’opera di Pasolini al di fuori di questo amore? Cosa avrebbe rappresentato e scritto dal 1975 in poi sulla scia di questo stravolgimento. Mi pare un’affermazione grossa. Dal nostro punto di vista, Pasolini era già morto prima di essere ucciso.

Scalia: si, si, certamente. Si possono dire diverse cose, ma una intanto è questa: lui è morto nel momento in cui i giovani che amava non erano più quelli di sempre, di una volta. Da un certo punto in poi non li ha più riconosciuti.

Sassetti: che esistenza sarebbe stata la sua?

Scalia: a beh, certo!

Sassetti: un’esistenza disgraziata …

Scalia: disgraziata, dolorosa, lui aveva già tutto intuito.

Sassetti: quindi, sotto certi aspetti si può dire: meno male che è morto?

Scalia: certamente…

Betti: anche la Trilogia della vita è una specie di illusione, di distacco.

Guidi: la copertina del nostro libro L’eredità di Pier Paolo Pasolini è veramente bella, interessante quantomeno, che mostra un Pasolini che scrive a macchina con questa disperazione, quasi agonizzante.

Scalia: lui, diciamo, la disperazione d’amore di Pasolini, non è la comune disperazione d’amore, dove uno dice “ti amo e tu non mi ami”. Cioè, non è che chiedeva il contraccambio dell’amore insomma, ma era qualcosa di più profondo, cioè: la vita, questa vita di oggi, è priva di amore. Quindi, non resta che la morte! Per lui, la vita senza amore, era impossibile.

Guidi: se la vita è mangiata dalla morte è finita. La pulsione di morte diviene una pulsione predominante.

Scalia: anche Salò è così. Ma l’ultima scena di Salò che cos’è? Sono questi due ragazzi che ballano e fuori si materializza un assassinio, la tortura. Quella è l’ultima parola di Pasolini, il Salò-Sade. Tutto lo schema è Sade. La vita senza amore è morte.

Betti: anche Kafka diceva che Sade era un profeta.

Scalia: certamente, la cosa è anche kafkiana.

Guidi: e senta, quando parla di Pasolini come intellettuale “disorganico”,

Scalia: no, lo facevo in polemica con l’intellettuale organico del PCI. Ma poi lui rimaneva comunista, ma dolorosamente, questo me lo ricordo bene. Perché io scrivevo già delle critiche, scrivevo delle cose, e lui mi diceva: “ Si, si, è vero, ma senza il comunismo, come s fa?”

Betti: negli Scritti Corsari ricordo anche una polemica con Napolitano.

Scalia: si, certamente, ma infondo, alla fine dei conti, chi fa sul serio è perdente, insomma. Lui ha continuamente perso.

Sassetti: e colpibile, perché si espone.

Scalia: certamente perché si espone. Perché chi si espone è autentico, sincero.

Guidi: oggi, chi fa sul serio, viene emarginato, fatto fuori,

Scalia, certamente, fatto fuori.

Sassetti: comunque, tornando a Zigaina, quando lo abbiamo conosciuto, abbiamo incontrato un uomo molto amico di Pasolini, sincero, schietto. Zigaina è contro il modo di utilizzare pasolini, come se fosse una bandiera, tolto di tutta quella sostanza che l’opera di Pasolini ha.

Scalia: certamente, lui era molto amico di Pasolini, ma la tesi è errata, come quella di Naldini. Per me è inaccettabile la tesi che si sia lasciato uccidere. Non è accettabile umanamente, storiograficamente.

Sassetti: ma forse è a tal proposito che Pasolini si definisce come il “più moderno di ogni moderno”, perché arriva, secondo la tesi di Zigaina, a concepire proprio questo: beve cicuta per inventare l’uomo moderno.

Scalia: secondo me, non voleva bere cicuta, perché Pasolini amava la vita. Cioè: dire che Pasolini si è immolato, come dice Zigaina, e anche come dice Nico Naldini, secondo me non è così.

Guidi: ma anche Pasolini, nella sua ultima intervista a Furio Colombo, dava proprio l’idea di essere stanco, coma voler dire: “Non ho più niente da dire, quello che ho detto l’ho detto. Cosa altro potrei dire ora?”.

Scalia: questa è la matrice della persona seria, della persona seria che ha combattuto e ha perduto. Ha perduto non il riconoscimento insomma, ma ha perduto il dialogo. Quella è la peggiore delle nostre condizioni. Quale è la peggiore delle condizioni? Quella di non avere amici? Gli amici, tutto sommato ci sono, gli amici della professioni, gli amici della confessione, amici di partito, amici di società. Lui non frequentava la società, quello che si chiama la società.

Guidi: gli amici con cui si dialoga sono pochi.

Scalia: gli amici con cui si dialoga sono pochi o nessuno. La morte è il non più comunicare. Non è così?

Sassetti: anche nel mondo del cinema, a parte Citti, chi altri amici poteva avere? Bolognini, e poi? Secondo noi anche in quel mondo, nel mondo del cinema finiva per essere emarginato.

Scalia: certamente, ma perché lui era diverso da tutti, è questo il punto. Era una persona rara. E lui non è mai stato riconosciuto perché era irriconoscibile. Irriconoscibile significa che era capito soltanto dalle poche persone che capiscono che è una persona da conoscere. Una persona da conoscere vuol dire una cosa: simpatia, che etimologicamente parlando vuol dire “patire assieme”.

Sassetti: quindi: non mi sei simpatico, ha il valore di “non voler condividere nessun dolore assieme a te”

Scalia: certamente. Condividere il dolore, mica la gioia, i successi, la gloria. Ecco, Pasolini teneva moltissimo al riconoscimento letterario, letterario nel senso artistico. Ma non nel senso personale, questo lo posso assicurare io. Non avrebbe mai detto una cosa del tipo: “Io sono Pasolini, lei sa chi è Pasolini?”.

Nell’Epistolario, dove è presente una delle lettere che ci siamo scritti, mi dice: “Gianni, ricordati che le cose che mi dici sono giuste, le devi scrivere, le devi dire, ti devi battere per questo. E’ inutile che tu le scrivi a me! Io lo so. Però guarda, per te stesso, per noi tutti, devi farlo!”.

Sassetti: Poi lei lo ha fatto?

Scalia: io ho scritto su Pasolini, adesso uscirà un libro. Ho scritto delle cose, tante cose, piano piano le metterò insieme.

Sassetti: personalmente, trovo che all’interno del libro di Laura Betti, Pier Paolo Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione e morte, il suo articolo sia uno tra i migliori, all’interno di tutto quel magma di contributi offerto da grandi personalità.

Scalia: ma, certo, è vero. Ma vedi, Pasolini, quando amava, amava veramente. E’ l’unica persona che ho conosciuto, famoso, intellettuale, noto, riconosciuto, una persona sociale, anche se è terribile dire una persona sociale, perché una persona deve essere sempre personale e non sociale, che non aveva nessuna superbia. La sua superbia era la superbia della sua innocenza. La sua innocenza nel senso di non nuocere, nella sua bontà.

Guidi: Pasolini aveva questa straordinaria passione per la Cosa, e questo è garanzia di come non fosse un intellettuale, che è sempre per tale motivo più freddo e distaccato.

Scalia: ma sogno di una cosa che cosa vuol dire? Sogno di che cosa? Dimmi, di che cosa? Ma se io ti dico la Cosa, non è più un sogno! No?

Guidi: certo.

Scalia: Pasolini era uno dei più grandi intellettuali italiani, sicuramente, come forse non ce ne saranno mai più. Semplice, umile, consapevole però di un compito, il suo compito. Ma più che altro ne aveva la caratura. Ad esempio, qui nel mio studio, appena si entra, c’è quella grande foto di Pasolini, una foto che mi ha regalato Nico. Lui aveva questo particolare atteggiamento, una mossa sua, quando ascoltava, non è in posa, è proprio così. Quando ascoltava gli altri, metteva la mano vicino alla bocca in quella particolare posa: guardava negli occhi e ascoltava. Era uno che sapeva ascoltare, cosa quasi impossibile, molto rara.

Guidi: non esistono, dal nostro punto di vista, attualmente, intellettuali in Italia che siano consapevoli di avere un compito, sono tutti un po’ miseri, scarni, senza stile.

Sassetti: la nostra teoria, mia e di Alessandro Guidi, è appunto questa, quella di tradurre Pasolini come ad esempio è stato tradotto Freud, cioè costruendo dei congegni, intellettuali, del sapere, validi da un punto di vista culturale e scientifico che possano essere poi utilizzati. Come ho scritto nell’Eredità di Pier Paolo Pasolini, non è che quando è morto Freud tutti si sono limitati ad elogiarne la bravura e tutto il suo sapere è rimasto là, inutilizzato. Con Pasolini invece sta accadendo proprio questo: non solo la sua opera non viene tradotta, ma viene utilizzata, come diceva Caproni “come un fiore all’occhiello” e niente di più. Per cui, la nostra tesi è la seguente: o essere con Pasolini, o essere contro Pasolini è la solita cosa.

Scalia: certo, di fatto è dimenticato. E poi la situazione adesso è allucinante. Cosa avrebbe detto ad esempio Pasolini sulle cose allucinanti che dice il ministro Gelmini? Cose allucinanti! Meno male che Pasolini è morto prima e non ha potuto assistere a questo scempio.

Sassetti: comunque, in conclusione, vorremmo farle ancora i complimenti per le sue idee, per ciò che scrive e per come tratta personalmente l’eredità di Pier Paolo Pasolini. Il suo libro, Pasolini mon assasin è, dal nostro punto di vista, un vero capolavoro.

Scalia: ma questo non è un libro … diamoci tranquillamente del tu. Questo non l’ho pubblicato io, degli amici lo hanno pubblicato senza dirmelo,

Guidi: è essenziale e dice tutto.

Sassetti: per lo meno è un saggio che ha una sua direzione: non si perde nella critica, nella cerimoniosità, nella chiacchiera del “Io ho consociuto Pasolini…”

Scalia: trovo veramente importante questa frasetta che è di apertura al libro, non è male: “Pasolini è un intellettuale disorganico, perché non è, e non è mai stato un intellettuale organico. Ha sempre portato nell’ideologia la contraddizione dello scandalo, nel senso non di essere scandaloso, ma di scandalizzarsi. Ha sempre lasciato aperta la contraddizione nella forma della diversità, della consapevolezza del negativo, e della necessità, alla fine, del dissenso”. Come vediamo in Pasolini non ci sono le caratteristiche dell’intellettuale organico.

Guidi: d’altra parte l’inconscio non è organico.

Scalia: no, l’inconscio non è per nulla organico.

Guidi: è imperfetto, disorganico, per cui…

Fine

 

Caro Pier Paolo,

non posso proprio farne a meno, ora (volevo farlo anche prima): devo scriverti. I tuoi ultimi scritti (dopo quella nostra conversazione di quella sera) mi persuadono sempre di più. Il tuo ultimo, la lettera al presidente, mi ti rende tanto «simpatico» (secondo etimologia) che, appunto, ti scrivo. (E vorrei abbracciarti, se non fosse «patetico» – prendilo sempre secondo etimologia). Quando leggo «economia politica», «modo di produzione», produzione non solo di merci ma «di umanità» (scilicet: di rapporti sociali. Esattamente: «produzione di rapporti sociali di produzione»: è la mia, che dico, marxiana scoperta dell’«arcano della forma-valore»), quando leggo questo, mi viene voglia di parlare, di discutere con te, di «tradurti». (Sullo sviluppo, c’è ancora, hai ancora da chiarire!

Insomma, mi ha fatto piacere leggerti, disperato come ero di un dibattito, al Festival dell’«Unità», con Tortorella, Zangheri e tanti professori universitari (lo sono anch’io, da un anno, ma perdio, sono «diverso»). Che amarezza, e che rabbia. (Rispondendo, nel mio discorso c’eri anche tu, notevolmente «tabù»: sai, al solito, irrazionalismo, vitalismo, arcaismo eccetera eccetera. Io

Pensavo, anche, ai «francofortesi»!!)

Ti ripeto, ho voglia di parlarti, di discutere con te, di darti ragione, di «tradurre» in termini teorici, se permetti, la tua perfetta «immaginazione» politica. Le cose che dici, e che dico anch’io, qua e là, a parole o scrivendo di «altro». Ho voglia di cominciare; se vieni, come si diceva quest’estate, al seminario di Sociologia di Bologna, se ne parla, si comincia. O si comincia, se vuoi, pensando qualcosa insieme: che so, degli appunti, delle lettere, delle note per un discorso (più lungo), dei «dialoghi», avvisi, istruzioni, su «Nuovi Argomenti», che so, o altrove. Bon.

                     A presto. Se mi rispondi, ne sono contento.

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