Presentazione libro Franco Cerri – Feltrinelli Milano
di Franco Cerri e Pierluigi Sassetti
Libreria Feltrinelli, piazza Piemonte, Milano
giovedì 14 novembre 2013
Ospiti: Alberto Gurrisi
Presentazione: buona sera a tutti, stiamo per iniziare, e io do il benvenuto a Franco Cerri per presentare il libro Sarò Franco, pubblicato per la casa editrice Arcana, con lui l’autore del libro Pierluigi Sassetti, al pianoforte Alberto Gurrisi. Vi do il benvenuto e un applauso, grazie.
Franco Cerri: buona sera, benvenuti. Sono una persona felice, perché mi stanno coccolando, trovo quest’occasione bellissima. Anche la vostra presenza è una coccola. Grazie!
Un giorno ho conosciuto Pierluigi Sassetti e sua moglie a Firenze in occasione di un concerto e ci siamo scambiati il numero di telefono. In seguito, più tardi, ho ricevuto una telefonata dove il sig. Pierluigi Sassetti mi chiede: «Mah, vorrei far quattro chiacchiere …», ed è venuto a Milano, alla scuola, e ci siamo messi in un angolino in silenzio, e da lì ha cominciato a chiedermi delle cose, sulla mia vita, sul mio vissuto, mentre stava registrando. Ha così iniziato a registrare e scrivere, registrare e scrivere, e questo è accaduto per cinque o sei volte. Ed è così che ha preso forma questo libro. Pierluigi Sassetti!
Pierluigi Sassetti: vi ringrazio, e soprattutto ringrazio la casa editrice Arcana per questa meravigliosa occasione che ci offre di poter presentare questo libro. Sono emozionato, naturalmente, perché mi trovo accanto a Franco Cerri, una persona che nella mia vita rappresenta il primo chitarrista di riferimento che ho avuto. Questo perché ho iniziato a suonare la chitarra all’età di sei anni, un’età in cui, per poter suonare non facevo i miei compiti scolastici.
Franco Cerri: solitamente, quando sento cose del genere, dico che sono il miglior chitarrista della casa dove abito, anche perché non ce ne sono altri.
Pierluigi Sassetti: tornando ai miei compiti scolastici, non facendoli quasi per niente, mio nonno mi riprendeva dicendomi: «Ma che cosa stai facendo!?». E io rispondevo: «Nonno, io voglio suonare la chitarra e suono la chitarra!». E mio nonno ribatteva: «Ma che vuoi diventare come Franco Cerri?». E io mi chiedevo chi fosse Franco Cerri. A sei anni avevo in testa altri chitarristi, tipo Jimi Hendrix, Angus Young, ascoltavo prevalentemente il rock. Non conoscevo il jazz, mi stava profondamente sulle scatole il jazz, perché lo trovavo una musica non adatta per un ragazzino perché la sentivo monotona. Comunque, però, con il passare del tempo, ho conosciuto Franco Cerri anche grazie al Corso di chitarra che tutte le settimane compravo in edicola, mi pare, se non sbaglio, al prezzo di 500 lire o cose del genere. E lì ho avuto la prima immagine visiva di Franco Cerri.
Ora, entrando nello specifico, vi dico che questo libro nasce da una necessità pratica, nel senso che essendo un chitarrista, mi occupo anche di insegnamento della chitarra e mi sono reso conto, un giorno, a quarant’anni, che il sottoscritto, della chitarra non ne sapeva un bel niente, perché nonostante avessi frequentato grandi e illustri maestri, nonostante avessi passato la vita ad andare in su e in giù per il manico delle mie chitarre, ciò che sapevo della chitarra non mi stava servendo quasi a niente, e questo ovviamente ricadeva anche sui miei allievi. E così un giorno, prendendo il coraggio a piene mani, mi sono detto: «Perché non vai a incontrare quelli che la musica la fanno veramente, quelli che hanno scritto la storia della musica a colpi di note, di melodie? Quelli che insomma non si limitano soltanto ad insegnare ma sono anche autori di pagine importanti di musica». E ho iniziato proprio qua nel 2008 al Blue Note intervistando un grande chitarrista come Pat Martino, che in una breve battuta, con poche parole, mi ha dato una visione della chitarra completamente diversa da quella che avevo sempre avuto fino a quel momento. Pat Martino ha esordito dicendomi che ancora oggi la chitarra è il suo giocattolo preferito. Un concetto che già mi suonava strano, il fatto che la chitarra possa essere un giocattolo e che il suonare sia un giocare, e ho continuato così fino a oggi intervistando nomi illustri della musica, soprattutto della chitarra jazz, fino al momento in cui mi sono reso conto come stessi intervistando e interrogando prevalentemente musicisti stranieri, americani, belgi, francesi. Mi sono chiesto: «Ma non c’è nessuno in Italia che può essermi d’aiuto per poter capire come si suona il jazz, come si vive la musica e come soprattutto si pensa, si lega la propria soggettività all’atto di suonare?». Ed è stato così che è rispuntato inaspettatamente nei miei pensieri il nome di Franco Cerri, un nome che avevo sepolto in me fin dall’infanzia. Ho così contattato Franco attraverso l’associazione Musica Oggi e ci siamo incontrati. Un incontro che devo dire è stato spettacolare, perché … Franco, non penso di farti un torto, dicendo che, con i suoi ottantasette anni, mi aspettavo un Franco Cerri diverso, un signore lento, tranquillo, pacato. E invece, dalle scale del palazzo dove mi trovavo, è venuto giù come un fringuello Franco Cerri, sgambettando con un’energia che mi ha sorpreso, scioccato letteralmente. Essendo l’energia una cosa fondamentale per chi suona, già questo trovarmi di fronte ad una vitalità così straordinaria mi ha fatto capire che mi trovavo nel posto giusto. Purtroppo, nel libro l’energia di Franco non è entrata, ma in un qualche modo, Franco ci racconta, ci confida come fa a essere così energico, vivo, come sia riuscito in tutti questi anni di lunga carriera a mantenerla così integra, intatta, fresca, in un certo senso allo stato puro.
È stato così che abbiamo iniziato a trovarci, con la scusa di un’intervista. Franco mi ha raccontato le sue esperienze, esperienze che mi hanno letteralmente affascinato per tanti motivi, al punto tale che, avrei voluto non solo realizzare l’intervista, ma andare oltre e provare a costruire un libro insieme a lui. Ovviamente è inutile ribadire che nella mia vita Franco cerri ricopre un ruolo importante, un riferimento per ogni mio movimento in ambito didattico e musicale, per cui chiedergli di realizzare un libro assieme è stato un passo quanto mai importante. Vi confesso che l’ho presa molto, ma molto alla larga. Nel frattempo ci stavamo già dando del “tu”, e gli ho chiesto se volesse, se gli interessasse, se desiderasse, se gli piacesse … realizzare un libro assieme a me dove tu racconti la tua vita. Franco, senza pensarci due volte ha risposto con un “certo” che mi ha spiazzato. Mi ha spiazzato al punto che gli ho rivolto la solita domanda per altre due volte perché stentavo a crederci, ed è stato molto emozionante per me. È così che è iniziata questa collaborazione che ha portato alla pubblicazione di un libro che sinceramente, ancora oggi, non so bene che cosa sia, perché è fresco di stampa e ogni giorno lo leggo e lo rileggo quasi come se avessi paura che possa scomparire da un momento all’altro.
È stata un’esperienza particolare perché ho capito, e Franco mi ha mostrato senza voler insegnare niente, da che mondo particolare, strano e antico proviene il suo jazz, il suo desiderio di fare musica, la sua voglia straordinaria di vivere la propria musica come un desiderio allo stato puro. Una dimensione che troppe volte vedo mancare, ad esempio, nei miei allievi. Per questo motivo considero questo lavoro soprattutto un libro didattico, nonostante Franco l’abbia farcito di aneddoti e ricordi che possono far pensare a una biografia piuttosto che a un manuale per imparare a suonare. In realtà è un metodo per ragazzi o per chiunque desideri capire come si suona, come ci si avvicina alla musica e come, soprattutto, con che stato mentale sia necessario viverla, perché la musica è un’arte complessa, difficile, che chiede tutto a un soggetto e spesso e volentieri, negli anni della formazione, è veramente difficile tener duro rispetto a tutte le difficoltà che quotidianamente un ragazzo deve affrontare per affermarsi. Mi sono reso conto che il jazz di Franco proviene dagli anni del dopoguerra dove con tutta probabilità, paradossalmente, era molto più semplice approcciarsi alla musica, era addirittura molto più facile lavorare con la musica. Ricordiamo ad esempio quel grande maestro che è stato Gorni Kramer, con il quale Franco ha iniziato la sua carriera di chitarrista, un maestro che, come Franco mi ha raccontato, andava a suonare con dei ragazzini che o non conoscevano gli accordi o i brani. Tutto questo, dal mio personale punto di vista, è un esempio pedagogico straordinario perché oggi non sarei in grado di farvi un solo nome tra le persone che conosco, tra i cosiddetti colleghi, che riesca a fare una cosa così speciale, particolare. Oggi viviamo nel mondo dell’iper-preparazione, dell’iper-formazione e tutto passa per la scuola. Dal mio punto di vista la scuola non è altro che un’enorme autostrada che toglie la possibilità di creare altre vie parallele, particolari, magari non ancora costruite, scoperte, che potrebbero essere altrettanto valide. Tante piccole strade, percorsi individuali, secondo me il jazz è appunto questo, ovvero la possibilità di darsi la propria soggettività dandole concretezza attraverso la musica. Penso, detto questo, di aver riassunto il senso di questo libro.
Franco Cerri: mi ha coccolato anche lui.
Pierluigi Sassetti: penso che anche voi, come me, siete venuti qui per ascoltare Franco Cerri, e non vorrei prendere troppo tempo.
Franco Cerri: quello che Pierluigi ha raccontato, è vero. Mano a mano che ci siamo trovati per raccontargli la mia vita, le mie esperienze … questa vita che si vive, giorno dopo giorno, incontrando qualcuno, o anche rimanendo soli, è vero quando si dice che ogni età ha il suo fascino. Invecchiando, saltano fuori delle cose cui non avevo mai pensato, o riflettuto, e Pierluigi, con tutto quello che mi chiedeva, mi ha fatto rifiorire alcuni momenti che ho vissuto con Kramer ma anche con altri musicisti che ho avuto la fortuna di conoscere, fino al punto di riscoprirli. Ho capito tante cose, e lui ha messo insieme il tutto. Leggendo il libro, in un certo senso mi sono trovato un po’ a disagio, ma è vero. Tutto quello che avevo raccontato mi è apparso come una cosa nuova, perché mi ero dimenticato di certe cose. Leggendo il libro, ho rivissuto quei momenti. Ma adesso, vorremmo fare un po’ di musica.
Alberto Gurrisi: volevo aggiungere una cosa, agganciandomi a ciò che ha appena detto Pierluigi, ovvero che in Italia oggi è veramente difficile trovare qualcuno che si prenda veramente cura dei giovani, e io sono stato uno di questi fortunati perché Franco mi ha preso a suonare con lui qualche anno fa, quando ero molto più giovane di adesso e comunque, anche alla sua scuola, che io ho frequentato, ho potuto vedere un Franco Cerri molto legato e disponibile verso gli allievi, i giovani. Mi ha insegnato tantissimo, e io, Franco, ti ringrazio per questo.
Franco Cerri: ti ringrazio, sei molto gentile.
My funny Valentine
Franco Cerri: Grazie, avrete riconosciuto questo brano, My funny Valentine, di Richard Rogers. Adesso volevo offrirvi un brano stupendo, bellissimo di Ennio Morricone, Deborah. Grazie.
Deborah
Franco Cerri: ormai sono quasi sette anni che suono insieme ad Alberto, ed è molto bello suonare con lui, perché è molto musicale. E poi, nel jazz, la cosa più importante è l’improvvisazione. Alle volte si è in forma, a volte pensiamo ad altre cose, quindi molto spesso rischiamo di far confusione. Molto spesso, mentre suono, mi viene in mente che avrei dovuto chiamare qualcuno al telefono, o che avrei dovuto fare quella cosa. Capitano queste cose, no? Però si va avanti. Quindi per me l’improvvisazione è qualcosa di fortunoso, ci sono sere in cui tutto riesce bene, e invece delle sere dove qualcosa va storto. Con Alberto questo non accade, perché lui è uno molto attento, e le mie distrazioni le sa riconoscere, e allora ci mette un accordo sopra e “tac”, sono nuovamente a posto. È stato un bell’incontro, che mi auguro di portare avanti ancora per un po’, di continuare a suonare con Alberto Gurrisi. Adesso vi salutiamo, da un punto di vista musicale con un brano che si chiama One more twelve bar, ancora dodici battute.
One more twelve bar
Pierluigi Sassetti: ecco, il libro suona così, come la musica che abbiamo appena ascoltato. È un libro che trasuda jazz, cola jazz.
Franco Cerri: ecco, il nostro incontro, la nostra frequentazione, ha come aperto una strada nuova, diversa. Io e Pierluigi non ci conoscevamo, non ci frequentavamo, e il libro è stata come una partenza per un’amicizia e una collaborazione e vorrei farvi capire la mia felicità per questa cosa, per questo incontro.
Pierluigi Sassetti: diciamo questo, conoscendo Franco, penso di aver fatto esperienza di una persona che in assoluto non ha paura dell’incontro, che è completamente aperto nei confronti dell’incontro. L’incontro, per chi proviene dal mio particolare ambito di studi, e adesso non vorrei assolutamente tediarvi entrando nei particolari della mia formazione, l’incontro è sempre qualcosa che regala dei rischi, delle nuove problematiche, ma anche delle vere e proprie esperienze nuove, delle soddisfazioni. Andare verso un incontro, buttarcisi a capofitto, come fa Franco, significa andare verso l’ignoto. Spesso e volentieri si ha paura di conoscere qualcosa di nuovo, e questo è il motivo principale per cui così difficilmente nel nostro quotidiano siamo disposti ad incontrare. In realtà, quando io e Franco ci siamo trovati per la prima volta abbiamo subito realizzato un’intesa che ci ha permesso non solo di realizzare questo libro, ma anche di affermare che nessuno dei due, in realtà, abbia lavorato un solo momento a questo libro. È stato come un gioco, in cui ho incontrato una persona con un desiderio di fare molto simile al mio, una lunghezza d’onda molto vicina, e presumo la cosa possa valere anche per Franco. Quindi le cose sono venute da sé. In un primo momento, vi voglio confidare, mi sarei aspettato molte più difficoltà nell’avvicinare un personaggio come Franco Cerri; in realtà, se posso utilizzare una metafora, è come se avessi trovato un compagno di giochi, quei compagni di giochi che si incontrano da bambini, quando ci ritroviamo in un campetto di calcio con una palla da prendere a calci. La filosofia è questa, e tutto ciò che contiene questo libro ha questa semplicità, è nato in questo gioco. Però, è bene sottolineare che la semplicità contiene una parte complessa che riguarda il modo in cui Franco Cerri ha realizzato nella sua vita tutto ciò che è riuscito a costruire. Quindi, anche se durante la lettura possiamo imbatterci in certi concetti che potremmo considerare come semplici, forse leggeri, in realtà si tratta di una semplicità che nasconde una sua complessità. Una complessità che in me ha prodotto dal primo momento una domanda: “Come ha fatto Franco Cerri a realizzare tutto questo?”. “Come ha fatto Franco Cerri a realizzare, a costruire questo particolare strumento che è il suo pensiero per riuscire a suonare per una vita?”. Una carriera straordinaria come quella di Franco Cerri non è naturalmente frutto di un caso, ma è un insieme di pensieri e di alchimie che lui stesso ha costruito. Un aforisma, un ricordo scritto, non deve finire con la sua lettura. Vorrei contrariamente invitare il lettore ad andare oltre ciò che ha letto per comprendere quale sia il giusto approccio, la giusta mentalità per poter realizzare questo tipo di esperienza e questo tipo di avventura perché, ricordiamolo sempre, trattandosi di improvvisazione, il jazz è un’avventura continua. Maestro, non so se mi sbaglio …
Franco Cerri: è vero …
Pierluigi Sassetti: un’avventura che ci offre ogni volta dei rischi incredibili.
Franco Cerri: viene ad aggiungersi a tutta la situazione della vita, invecchiando, nella testa si realizzano spazi incredibili di cose che un anno prima, o sei mesi prima, non conoscevamo. È vero, anche da vecchi succede questo. Qualcuno potrebbe dirmi: “E’ vecchio, non capisce più niente …”. Per il momento no…, e per di più il pensiero ci regala delle cose che ci permettono di andare avanti, ci permettono di capire, e talvolta, si può anche essere felici, magari per poco, però …
In conclusione, noi vi ringraziamo per questa vostra presenza, ci avete fatto molto piacere. Alberto Gurrisi e io, vorremmo ancora offrirvi un brano per dirvi grazie, e grazie ai signori dell’Arcana, questa bella casa editrice che si è premurata di realizzare questo libro, anche questa è una coccola. Evviva le coccole!
Un brano di un grande compositore che io ho sempre amato, Antonio Carlos Jobim, il brano è Corcovado.
Corcovado
Franco Cerri: grazie ancora, Alberto Gurrisi e Pierluigi Sassetti. Un grazie anche a mio figlio Nicola che si è dato un gran daffare. Grazie e buona lettura.
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