Felice Cimatti – Tra psicoanalisi e cognitivismo

 In Didattica non convenzionale, Etica, Miscellaneous debris
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Intervista di Pierluigi Sassetti

 

Nel suo libro Il senso della mente, edito da Bollati Boringhieri, lei mette in discussione l’orientamento cognitivista. Vorrei chiederle che cosa l’ha spinta ad affrontare questa questione.

L’idea è che sia possibile proporre una definizione del campo mentale, forse meglio del campo psichico, che non sia indifferente alla questione del senso. In fondo la grande scommessa, grande e quindi anche molto nobile, delle scienze cognitive è quella di riuscire a fare a meno del senso e quindi di proporre un’idea “spaziale” della mente, cioè appunto costruire un modello della mente che non abbia bisogno della nozione di “senso”. Si pensi alla teoria computazionale e rappresentazionale della mente di Jerry Fodor; le rappresentazioni mentali sono forme, e proprio per questo possono avere poteri causali, perché la forma è una cosa, e una cosa può agire su un’altra cosa. Così, ad esempio, una certa rappresentazione può agire causalmente su un braccio, facendolo sollevare. Si tratta di grande idea, un enorme progetto, anche scientificamente molto interessante che non è detto non sia la via giusta, però spesso rischia di lasciare fuori tutti quegli aspetti della nostra esperienza che attualmente in quel tipo di descrizione non trovano posto. L’idea che propongo nel mio libro è che questa dimensione del senso non sia una dimensione rintracciabile all’interno del cervello, ma nelle relazioni fra gli esseri umani e che di conseguenza ci sia qualcosa che si produce al di fuori della mente-cervello; si tratta appunto di quell’elemento di senso che rende possibile la nostra vita in quanto individui sociali. Premetto che non si tratta di una critica scientifica alle scienze cognitive, ammesso che abbiamo un’idea precisa di che cosa siano (in effetti le scienze cognitive di Fodor erano qualcosa di comprensibile; quando cognitivo vuol dire semplicemente che nella mente ci sono delle “rappresentazioni mentali”, allora è qualcosa di generico e vago), ma una cosa ben diversa. Per esemplificare è come se qualcuno dicesse: “Avete ragione! La psiche come la intendeva Freud è qualcosa di esteso, però dobbiamo anche considerare tutta questa dimensione del senso che ha a che fare con l’aspetto sociale della mente, un dato che non deve essere oltremodo trascurato”. Chiariamo poi che per “sociale” non si intende tanto il fatto che le menti stanno insieme fra di loro all’interno di un certo contesto, ma che c’è qualcosa che si produce nell’interazione fra corpi-mente e che al momento è difficile da localizzare dentro qualche particolare dispositivo cerebrale.

Nel libro mi concentro sull’idea del significato delle funzioni linguistiche e al tempo stesso su quelle particolari relazioni mediate dal linguaggio che si formano fra gli esseri umani: un suono di per sé non è un suono linguistico, lo diventa nella relazione con un altro individuo che legge quel suono e lo interpreta come significativo. Allora l’idea era proprio questa: questa dimensione significativa è un aggiunta che accade fra i corpi/menti. Quindi, se vuole, questo libro è un lavoro che cerca di dare importanza allo spazio fra i corpi più che soltanto a quello che c’è dentro la mente-cervello.

Questa cosa ad esempio ha a che fare molto con la psicoanalisi, perché credo che la psicoanalisi abbia a che fare esattamente con ciò che accade fra le menti, altrimenti, se fosse un fattore unicamente neurologico, non avremmo bisogno di ciò che oggi ci permette di sondare la psiche. Se c’è la dimensione del senso, c’è anche la psicoanalisi per comprendere tutti quei fenomeni che non sono direttamente riconducibili alla dimensione cerebrale. In questo non comprendo tutta l’eccitazione di una parte cospicua del mondo psicoanalitico per le neuroscienze. Mi sembra evidente che l’impostazione neurologica non abbia bisogno della nozione di senso per spiegare il funzionamento cerebrale. In questa prospettiva c’è solo il cervello, e non la mente. Mentre uno psicoanalista lavora solo con il senso.

Parlando di psicoanalisi, lei utilizza – anche se non in questo libro – molto Lacan. Ecco, partendo dalla sua lettura di Lacan vorrei chiederle quanto è stato importante questo apporto teorico per questa sua visione critica del cognitivismo.

Lacan è decisivo perché con questa sua attenzione alla dimensione del linguaggio sottolinea come lo specifico della psicoanalisi sia un lavorare con “la parola”, con il linguaggio. In questo senso è proprio netta la distinzione fra la psicoanalisi come la intende Jacques Lacan e qualunque altra psicoterapia. Le psicoterapie attuali, oramai, nella loro indeterminatezza, parlano di empatia, relazione, di molte, troppe cose fino a non capire più quale sia veramente il loro oggetto di riferimento, ciò di cui si occupano. Contrariamente, per un lacaniano l’oggetto fondamentale sono le produzioni verbali di un analizzante. Questo è l’oggetto della psicoanalisi e quindi è oltremodo curioso come Lacan venga criticato da certi psicanalisti, visto che è l’unico che in un certo senso li salvaguarda. Se non si mantiene questo punto, questa attenzione alla “parola”, non esisterebbe un oggetto proprio della psicoanalisi. Mettiamo che qualcuno dica: “L’oggetto della psicoanalisi è l’empatia”. Non si capisce perché non se ne possa occupare un signore qualsiasi, un massaggiatore o una persona di buon cuore. Oppure mettiamo che qualcuno dica che l’oggetto della psicoanalisi sia la relazione madre-bambino, di questo se ne può occupare qualunque etologo. Oppure, diciamo che la psicoanalisi si occupa dell’inconscio. Bene, ma che cosa è, scientificamente, l’inconscio? E quali sarebbero gli strumenti speciali dello psicoanalista per occuparsene? A che titolo è lo psicoanalista a doversene occupare e non uno psicologo, oppure un neurologo?

In sostanza, non mi pare ci sia un oggetto determinato, se non si considera il fatto che la psicoanalisi si realizza tra due esseri umani di cui uno parla e l’altro ascolta. In questo “parlare” accade qualche cosa che si può cogliere solo in quel “parlare”. Cosa ancora più interessante è che Lacan dice che in quel parlare si mostra talvolta qualcosa di inaspettato e questo qualcosa è ciò che Freud indica con il termine di inconscio – ricordiamoci come per Freud l’inconscio si mostra nel discorso di un soggetto attraverso tutti quei fenomeni linguistici, come il sogno, gli atti mancati, i lapsus, ovvero discorsi in cui appare qualche cosa di indipendentemente dalla volontà, dalla razionalità di colui che parla. Qualcosa sbuca all’improvviso e spiazza letteralmente. In quell’interruzione del tessuto cosciente c’è appunto l’inconscio, che si mostra come linguaggio da codificare, da incontrare. Questa è una buona definizione di inconscio, e su questo lo psicoanalista forse ha qualcosa di specifico da dire. Perché questa nozione di “inconscio” è interna alla pratica psicoanalitica, e non si avventura in campi (come quello dello neuroscienze) che non le competono, e che sono metodologicamente e sperimentalmente molto più attrezzate. Ecco, se ci dimentichiamo di questo aspetto, la psicoanalisi letteralmente non ha un suo oggetto, non ce l’ha, non c’è e non è un caso che la psicoanalisi sia così sulla difensiva – da un punto di vista scientifico – proprio perché gli stessi psicoanalisti non si rendono conto che abbracciando punti di vista così attuali, di moda – pensiamo a quelli che credono che la psicoanalisi possa dialogare con le neuroscienze – se avessero ragione quelli che sostengono il punto di vista delle neuroscienze, la psicoanalisi sarebbe inutile, cosa che per altro iniziano a pensare in molti, soprattutto i pazienti. Se pensiamo che l’oggetto della psicoanalisi possa essere l’empatia, allora un buon amico può andare bene quanto uno psicoanalista, senza contare che è molto più economico. Non avere un’idea del proprio lavoro, del proprio oggetto di riferimento, rende la psicoanalisi così vulnerabile agli attacchi non solo delle scienze cognitive, ma anche delle psicoterapie, quelle brevi, quelle di tipo comportamentale, tutte forme d’intervento che appunto non si occupano dell’inconscio, come lo ha definito Freud, ma di altre cose. Quindi in questo senso Jacques Lacan è proprio il pensatore che paradossalmente può salvare la psicoanalisi; mi sembra però che gli psicoanalisti, almeno la maggior parte, abbiano in antipatia Lacan per motivi misteriosi e quindi siamo destinati veramente e anche giustamente ad essere riassorbiti da altre forme di sapere che sono anche più veloci, più economiche e che non hanno come riferimento l’inconscio che è una realtà decisamente complessa da incontrare. Vado da un neurologo, da uno psichiatra che mi prescrive un farmaco e quello è efficace fin da subito, magari in un modo strano, però è efficace. Ma non ci troviamo in presenza di un lavoro soggettivo come quello che propone la psicoanalisi. Quindi Lacan è proprio lo psicanalista paradossalmente più utile se qualcuno vuole salvare la psicoanalisi.

Forse c’è una certa paura della sintomatologia del pensiero lacaniano, dell’oscurità, del mistero…

Mah, anche questo è un po’ un equivoco perché Lacan parla della cosa più complicata e ignota che ci sia sulla terra cioè l’inconscio umano e quindi è come se lui volesse riproporla nella sua stessa scrittura questa incomprensibilità dell’inconscio. In fondo la grandezza di Freud è proprio questa, ovvero l’averci messo di fronte a qualche cosa che ci sfugge completamente. Allora l’idea di volerlo capire è un po’ contraddittoria rispetto allo stesso concetto. Se sappiamo tutto della psicoanalisi, tutto dell’inconscio, allora la psicoanalisi è inutile. Si deve avere a che fare necessariamente con qualcosa di nuovo, con qualcosa che sfugge da tutte le parti e non si capisce perché uno psicoanalista dovrebbe aver paura dell’incomprensibilità o dell’equivoco, è il suo pane quotidiano. Quindi è come se Lacan ci consigliasse un continuo allenamento nei confronti del nuovo, dell’avere a che fare con una cosa che non si capisce, non si lascia afferrare. Personalmente, io per primo non capisco Lacan, ma questa esigenza di chiarezza non mi impedisce di provare a seguire la sua strada, che è quella di capire ciò che sfugge. E sfuggente e oscuro è anche il sapere di Lacan, che molti criticano erroneamente mentre contrariamente è il suo pregio. Chi ama la psicoanalisi non può che non amare questa oscurità.

Certo, è vero … L’oscurità di Lacan che poi, per certi aspetti, è anche l’oscurità di ogni soggetto nel suo parlarsi …

Il punto è proprio questo. È quello il punto, è esattamente il punto. Se desideri capire, vuol dire che non sei uno psicanalista, bensì uno psicologo, ammesso che lo psicologo oggi abbia ancora qualcosa da dire, perché la stessa psicologia è messa decisamente male a causa dello sviluppo straordinario delle neuroscienze che veramente fanno piazza pulita di questo sapere psicologico. C’è poco da fare insomma, da opporsi: ti fanno una Tac e ti mostrano come funziona il tuo cervello, la via è questa. Contrariamente, se dici che il tuo oggetto di riferimento si costituisce nel linguaggio, attraverso il linguaggio, ed è fatto di linguaggio, e tu hai un ascolto particolare per questo oggetto, allora se sei solo tu ad avere questo oggetto, e questa è una scienza, nel senso che è una pratica sorretta da un apparato teorico che ha un oggetto specifico. Quando uno non ha un oggetto e brancola nel buio, mette insieme le neuroscienze, la letteratura, un po’ di tutto, i neuroni specchio, un po’ di qua e un po’ di là … A questo punto ti chiedono: “Scusa, ma di che ti occupi, propriamente?”. Di fronte a questa domanda semplicissima, se uno fa fuori l’inconscio, di che si occupa lo psicoanalista?

Il tentativo è quello di appianare tutto, linearizzare tutto, omettere la mancanza d’essere di hegeliana memoria …

Infatti ci sono riusciti; è l’aspetto sconfortante della psicoanalisi contemporanea. Posso capire che un neurologo ce l’abbia con uno psicanalista perché è un altro modo di vedere il mondo, ma la cosa che mi sembra davvero incomprensibile è lo psicoanalista che pensa che il neurologo sia suo alleato, è questo aspetto che è curioso e disperato insieme. In un certo senso dà l’idea di quanto sia diventata la formazione teorica dello psicoanalista. Tutto questo lo si può riscontrare più nella psicoanalisi freudiana che in quella lacaniana che ha un lato paradossalmente più scientifico. Ma nella psicoanalisi lacaniana c’è un sospetto odore di chiesa, cosa di cui per altro Lacan era sempre stato consapevole. Lacan è diverso dai lacaniani. La psicoanalisi non ha niente a che vedere con scuole o chiese, e tantomeno regolamenti. Dall’altro lato invece, ho l’impressione che la psicoanalisi freudiana attuale sia una specie di pastone in cui veramente ci si può trovare di tutto e quando c’è tutta questa roba vengono i dubbi su quale sia il vero oggetto. Infatti la sensazione è che non ci sia questo oggetto.

Giustissimo. Il motivo che mi ha spinto a porle queste domande è che tutto ciò che lei ha detto finora, mi trovo a viverlo personalmente in ambito pedagogico, e quindi mi ritrovo ad avere a che fare con soggetti adolescenti che non riesco a conoscere attraverso gli strumenti cognitivisti, ma riesco perfettamente ad incontrare, nella misura in cui si può incontrare e conoscere un soggetto, con gli strumenti della psicoanalisi.

Ma guardi… è una domanda a cui io posso rispondere solo in parte… sono stato insegnante di scuola media per un po’ di anni, ma poi ho smesso tanti anni fa. Certo che qui torniamo un po’ al discorso di prima, cioè se si ammette che un essere umano è abitato dall’inconscio e l’inconscio per definizione sfugge alle mie descrizioni, ai miei tentativi di osservarlo, qualunque prospettiva che punti a far stare insieme pedagogia e psicoanalisi, che abbia come obbiettivo, fra virgolette, “normalizzare” la differenza fra gli esseri umani, non è più psicoanalisi. La psicoanalisi è al servizio di quell’inconscio. Il compito della psicoanalisi non è farne piazza pulita, per quello basta un preside, una volta un prete o una buona dose di psicofarmaci (che peraltro sono sempre più efficaci, a dimostrazione di quanto le neuroscienze abbiano compreso il funzionamento della macchina cerebrale). Il problema della psicoanalisi è trovare un buon modo per far vivere nel mondo quell’inconscio e quella persona che è attraversata da quell’inconscio. Da un punto di vista pedagogico il problema è doppio: da un lato è necessario salvaguardare questo aspetto, che poi è anche la differenza in ciascuno di noi, il grumo di verità misterioso presente in ciascuno di noi, e per di più trovare una via per permettere a quel grumo di sapere che è l’inconscio di esserci – altrimenti, ancora una volta la psicologia, la psicoanalisi ritornano, possiamo dirlo in modo semplice semplice, al servizio del padrone. Il padrone – in tutti i sensi di questa antica parola, sempre attuale anche se non piace più – vuole dei bambini bravi che se ne stanno lì obbedienti, fanno quello che devono fare comprando e godendo secondo il volere del momento, se il comando è quello. In questo senso c’è anche un aspetto politico intrinseco nella psicoanalisi: la psicoanalisi è al servizio dell’inconscio, nell’inconscio per definizione non puoi mettere ordine, l’inconscio è disordine. Quindi o trovi il modo per farlo stare al mondo oppure sei una specie di poliziotto, che è un lavoro giustissimo e indispensabile, però forse quello del pedagogista, dello psicoanalista sono tutt’altro mestiere, hanno un altro obbiettivo, un’altra etica. Ancora una volta un tema lacaniano: l’etica della psicoanalisi ha a che fare con il desiderio, quel desiderio lì che è incomprimibile. Se tu lavori per comprimerlo …

È ineducabile … certo, certo, infatti la nostra teoria, mia e di Alessandro Guidi, che è uno psicoanalista di formazione lacaniana, è che se nel discorso del padrone, ovvero in Freud, l’educazione era un mestiere impossibile, nel discorso del capitalista diviene doppiamente impossibile e questo è un po’ l’ambito in cui ci muoviamo perché viene fuori appunto tutto quello che è il taglio che rappresenta l’inconscio: il taglio in atto, la sua imprevedibilità, che si vede anche in ambito pedagogico che è una risorsa secondo me.

Certo, è complicato avere a che fare con queste cose, ma la sfida è questa, altrimenti uno fa un altro lavoro. Se il problema che ci poniamo è soltanto un modo per arginarlo, è chiaro che la soluzione migliore allora è una bella bomba di psicofarmaci …

Certo. Avrei tante altre domande da farle, voglio fargliene una simbolica, finale: nel cognitivismo viene prodotta una valanga di burocrazia a partire anche da come viene gestita l’educazione a scuola, ecco, quello non è forse un prendere sul serio una cosa che poi alla fine è discutibile? Pensiamo anche a tutto il discorso del sostegno scolastico …

Ha ragione, io ricordo tutti gli anni della scuola eravamo sommersi da, diciamo così, da una marea di scartoffie ed era più il tempo che dovevamo passare a scrivere su pezzi di carta che stare in classe con i ragazzi. Questo non è soltanto un problema del cognitivismo (anzi, francamente non c’entra nulla, il “cognitivismo” burocratizzato non ha più nulla a che fare con le scienze cognitive), questo è il problema di una società. È una società che non sa che farsene del desiderio. L’oggetto feticcio è il contentino che ti danno perché tu possa più o meno continuare a stare in piedi in una società che è fatta in questo modo. Allora tutta questa carta, tutta questa burocrazia è proprio il trionfo dell’immaginario e se uno psicanalista non è per primo uno che ti dice: “Guarda, non credere a tutta questa roba” – lo psicologo non ne ha proprio i mezzi, non è stato educato a diffidare di ciò che gli sta attorno. Lo psicologo crede di sapere qualche cosa, crede che quelle cose che gli hanno insegnato siano dei fatti concreti. Crede di essere uno scienziato, crede di avere un sapere tecnico, ma tutto questo è immaginario. Uno psicoanalista, invece, non è mai stato questo: non crede, sicuramente è il primo a non crederci di essere detentore di un sapere speciale. In questo senso, certo, la pedagogia, la scuola, tutta questa roba qui ormai deborda: è chiacchiera autentica, ma non solo nelle scuole medie o superiori, pensiamo all’università. Il professore universitario passa una buona parte della sua esistenza a compilare progetti di ricerca che non potrà mai intraprendere, che non avrà mai il tempo di realizzare e seguire, non avrà la voglia di farlo. Questo è il discorso su cui deve concentrarsi la psicoanalisi che ha a che fare ancora una volta con l’eccedenza costitutiva dell’inconscio rispetto all’ordinamento sociale, cioè l’inconscio è veramente caos, disordine, confusione, è … se tu non tieni conto di questo, finisci per credere a tutte le cosette che ti raccontano, le varie teorie, le varie posizioni psicologiche, tutta questa roba qui, utilissima in un certo senso, ma da un altro punto di vista è solo chiacchiera.

Il trionfo dell’immaginario.

Affatto sì, il trionfo dell’immaginario. Poi se uno psicanalista ci crede allora che psicanalista è? Di che stai parlando? Credi di avere un sapere? Allora hai smesso di essere uno psicanalista.

Questa posizione è illuminante. Sì, è vero, certo, come no? Nel trionfo dell’immaginario io, per formazione, ci metto anche il feticcio perché vedo gli adolescenti che sono pieni di oggetti senza avere un oggetto agalma, un oggetto causa del desiderio. È questo il mio orientamento pedagogico…

Ma guardi non so, è troppo complicato e poi non sono un clinico… Penso che sarà vero, quelli che parlano dei “nuovi sintomi”, “i nuovi modi di…”; non lo so, non è il lavoro mio e non lo so insisto, penso in generale che sento una gran puzza di moralismo in questo discorso, non dico nel suo, però si sente da tutte le parti la critica ai giovani che perdono troppo tempo con i telefonini, al cinema non stanno attenti e non leggono, cioè mi sembra di sentire da tutte le parti lamentele nei confronti delle nuove generazioni. Non appena sento questa lagna penso che mi puzza e c’è qualcosa che non mi convince, allora da questo punto di vista, magari sarà pure giusto, non lo so, però sono sempre dalla parte di quelli che vengono criticati, sono dalla parte di quelli che vengono descritti male, se è così sono dalla tua parte.

Pienamente condivisibile…

Pinocchio, ecco sarebbe il Pinocchio di oggi, noi da che parte dovremmo stare?

Pinocchio va sempre sostenuto, certo, poveretto!

Capito? Passa tutto il tempo col telefonino? Vediamo un po’… pensi a tutti quelli che si lamentano che i giovani non leggono, questa lagna infinita di quelli che non leggono. E non leggeranno! Faranno altre cose, troveranno altri modi per passare il tempo… non vanno al cinema? Non … che ti devo dire? Il mondo è così, prende un’altra direzione e vediamo, non è possibile stare sempre qui a dirti come quello che non fai, no?

 

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