Laura Storti – L’amore in gioco

 In Notes Magico 4
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«All’inizio fu l’amore».

(Jacques Lacan, Il Seminario VIII. Il Transfert)

 

Sembra proprio che il discorso analitico non abbia fatto altro che parlare d’amore. Fin dall’inizio Freud ci avverte che il soggetto nevrotico si rivolge a lui prevalentemente per parlare d’amore: di un amore insoddisfatto, di un amore che si manifesta come una mancanza irriducibile, mancanza che non trova mai il suo completamento nell’altro. Sarà ancora Freud a mettere in luce come il processo di guarigione abbia implicazioni con il risveglio della passione, sia essa amore o odio, dell’analizzante nei confronti dell’analista, ovvero del transfert[1].

Se si può ottenere una soddisfazione nel parlare a un altro di un amore insoddisfatto, è perché esiste il transfert, ovvero perché il soggetto presuppone un interesse o un sapere nell’analista sulla propria mancanza d’amore. Il transfert, come principio e motore dell’esperienza analitica, si fonda proprio su questa supposizione.

D’altra parte, tutto questo era già alla base del discorso platonico sull’amore, ben rappresentato nel dialogo de Il Convivio, dove si parla d’amore tutto il giorno. Un simposio di parole d’amore, una soddisfazione nell’uso della parola, ampiamente analizzato da Lacan ne Il Seminario VIII. Il Transfert.

Anche all’origine del discorso moderno sull’amore, origine che possiamo ritrovare nel fenomeno dell’amore cortese, troviamo lo stesso paradosso: la soddisfazione del soggetto che parla del suo amore insoddisfatto.

Gli psicoanalisti hanno ripreso il tema dell’amore e, dopo Freud, hanno tentato di risolvere questo paradosso, ovvero le ragioni di questa differenza tra la soddisfazione attesa dall’oggetto d’amore e la soddisfazione nelle parole d’amore. Hanno parlato allora, di amore primario, che ricerca l’unità perduta con l’oggetto, unità primordiale, come nel mito di Aristofane che vedeva nell’amore una ricerca da parte dell’uomo della sua altra metà perduta. Gli analisti postfreudiani hanno trovato il modello di questo amore chiamato primario nel rapporto madre-figlio.

La psicoanalisi dopo Freud ha dunque parlato quasi sempre di amore in questo senso, prendendo come modello la supposta unità originaria della madre con il bambino. Il rapporto tra l’uomo e la donna ricalcherebbe questo stesso modello con la promessa di un amore genitale, un amore che finalmente renderebbe complementare il rapporto tra i due sessi. L’amore, sempre reciproco, sarebbe la promessa dell’unità del soggetto con il suo oggetto.

Per Freud l’amore è sempre narcisistico, amare se stesso attraverso l’altro, modalità che stabilisce una somiglianza del soggetto con l’altro dell’amore, riconoscendo l’altro come se stesso. In Introduzione al narcisismo Freud spiega che la libido circola dall’Io all’oggetto e viceversa. La teoria dell’amore come narcisismo si fonda su una constatazione: l’amore tende a fare di due Uno. D’altra parte Freud descrive sempre lo stato amoroso come uno stato di dipendenza nei confronti dell’oggetto, e attraverswo ciò spiega l’ambivalenza dell’amore che può sfociare in odio.

Lacan, nel suo ritorno a Freud, metterà in luce la necessità logica di parlare dell’Altro dell’amore, con la A maiuscola. Parlando dell’amore egli non classifica infatti, insieme all’odio e all’ignoranza, tra le passioni dell’essere, ovvero ciò che costituisce l’essere stesso del soggetto nel suo rapporto all’Altro.

         Jacques-Alain Miller in un seminario tenuto in Argentina nel 1989 ripercorre i “labirinti della vita amorosa” attraverso Freud e Lacan: «Lacan semplifica Freud in quanto ci fa vedere la differenza tra l’oggetto immaginario, reciproco al soggetto, e l’Altro come funzione simbolica che garantisce l’identità stessa dell’Io»[2].

         Nella teoria dell’identificazione Lacan distingue l’immaginario dal simbolico in modo da mettere in evidenza che la relazione immaginaria è ordinata a partire da un significante padrone che pacifica la relazione immaginaria stessa, sempre instabile e aggressiva.

         In Psicologia delle masse e analisi dell’Io, già Freud metteva in luce come nei gruppi sia il significante amore o significante padrone, al posto dell’Ideale dell’Io, a creare un ambiente omogeneo e unificante per tutti: «La prima è che la massa vien evidentemente tenuta insieme da qualche forza. A quale forza potremmo attribuire meglio questa funzione se non a Eros che tiene unite tutte le cose del mondo? La seconda è che […] egli si comporta così “per amore loro”»[3].

         Nella sua analisi Freud prende in esame gruppi come le Forze Armate e la Chiesa. Si tratta certamente di gruppi umani particolari nei quali l’incidenza tranquillizzante del significante padrone si attenua. Successivamente in Disagio della civiltà Freud dovrà ammettere il fallimento dell’amore fondato sull’identificazione simbolica. Appare a questo punto una figura meno tranquillizzante dell’Ideale dell’Io, ovvero il Super-io. Non si può fermare la teoria delle masse a livello del significante, dell’Ideale dell’Io; è necessario far intervenire la problematica del godimento.

         Nel Seminario VII. L’etica della psicoanalisi Lacan riprende l’elaborazione freudiana ed esamina l’intollerabilità dell’amore per il prossimo: «E’ forse questo senso dell’amore del prossimo che potrebbe ridarmi la direzione autentica. Perciò, bisognerebbe saper affrontare un fatto, che il godimento del mio prossimo, il suo godimento nocivo, il suo godimento maligno, è quel che si presenta come il vero problema per il mio amore»[4]. Quando un simile si fa prossimo, mette in guardia Lacan, allora incontriamo il razzismo e l’amore può diventare l’odio più radicale: dall’amore alla morte il passo è breve. Tutto questo è quanto più visibile nel disagio della attuale civiltà, che si sviluppa all’insegna della globalizzazione, dove la massima circolarità delle idee e delle persone, fa sì che ogni soggetto sia massicciamente messo a confronto con i propri prossimi.

         Che ne è allora dell’amore? Cosa la psicoanalisi può dire ancora sull’amore?

         Lacan tornerà sul tema dell’amore nel Seminario XX. Ancora: «Ciò che supplisce al rapporto sessuale, è precisamente l’amore»[5]. Laddove i postfreudiani promettono una complementarità dei sessi in un raggiungimento di un amore gentile e maturo, Lacan afferma: «E’ vero, che ci volete fare, se il rapporto sessuale non esiste, non ci sono dame … Forse così arriverò a far venir fuori qualcosa di nuovo sulla sessualità femminile»[6].

         Sembrerebbe allora che la psicoanalisi getti del ridicolo sull’amore; in effetti, a volte lo fa, ad esempio quando mette in luce l’automatismo e la ripetizione nella scelta dell’oggetto d’amore, ovvero l’incidenza del significante nella vita amorosa. C’è una parte vasta dell’interpretazione che mira a mettere in evidenza come un soggetto si innamori sempre di un oggetto “x” a patto che somigli all’Io stesso: è la scelta dell’oggetto narcisistica; oppure che il soggetto si innamoridi un “x” che ha con lei o con lui la stessa relazione che sua madre o suo padre avevano con lei o con lui, o che un personaggio della famiglia aveva con lei o con lui.

         In primo luogo l’amore è definito come metonimico, ovvero tra l’oggetto “x” e l’oggetto fondamentale c’è una connessione di ordine metonimico, dal momento che l’oggetto “x” prende a prestito alcuni tratti dell’oggetto fondamentale. In secondo luogo, questo amore metonimico è fondamentalmente una ripetizione, da qui la centralità della teoria freudiana del periodo di latenza che separa l’amore primordiale dall’amore di ripetizione. In terzo luogo questo amore traduce un’inerzia psichica, cioè, anche sotto forma di novità assoluta, l’amore è la testimonianza che il soggetto è inglobato in un amore che è sempre lo stesso. Infine, questa inerzia psichica costituisce un modo costante di determinazione dell’oggetto investito dal soggetto; è in questo senso che l’amore può essere incluso nell’asse a-a’ della relazione immaginaria, secondo lo schema a L[7].

         Si apre a questo punto un capitolo nuovo della teoria dell’amore: un’analisi più raffinata, che mette in valore l’asimmetria dei fatti dell’amore. Per fare ciò dobbiamo distinguere tra amare ed essere amati, io amo equivale a dire io manco di: dal lato dell’amante dobbiamo apporre il segno (-) della mancanza, dal lato dell’amato invece bisogna apporre il segno (+). C’è tutta una letteratura analitica che gira intorno a questo (-) e a questo (+). In tal senso Freud può dire che il modellodi ogni amore è qiello dell’amore materno per il figlio. Egli introduce così la castrazione nella teoria dell’amore: la castrazione è dal lato dell’amante, ovvero colui che ama è castrato, e il fallo è dal lato dell’amato. Ciò ha fatto sì che si sviluppasse uno sciocco malinteso che voleva che l’amore fosse appannaggio delle donne. Per le donne si costituisce il registro dell’amore, per gli uomini quello del desiderio, che all’occasione è completamente separato da quello dell’amore.

         Lacan in Ancora conierà un nuovo termine “sessuazione”, diverso da sesso o gender, per spiegare come ciascun soggetto, sia esso uomo o donna, possa posizionarsi dal lato maschile o femminile nello schema della sessuazione[8]. «Un uomo non è niente altro che un significante. Una donna cerca un uomo a titolo di sifnificante. Un uomo cerca una donna a titolo – ciò vi sembrerà curioso – di ciò che si pone solo via il discorso, perché, se quel che affermo è vero, cioè che la donna n’est pas-tout, c’è sempre qualcosa di lei che sfugge al discorso»[9].

         Ciò che sfugge di più nel linguaggio è la causa propria dell’amore, ciò che la parola d’amore non può arrivare a dire, ovvero la causa del desiderio del soggetto, un desiderio che non sarà mai in armonia con il suo oggetto.

         Possiamo allora affermare, in questo senso, che la psicoanalisi è una scommessa, la scommessa per ciascun soggetto di giungere a sapere quale sia questa causa che sfugge al linguaggio, quale sia la causa particolare del suo desiderio. Di questo oggetto causa Lacan dirà che è un resto, un residuo.

         Intorno a questo resto si muove tutta l’esperienza dell’amore in transfert in una psicoanalisi, una esperienza che porta il soggetto verso la disgiunzione tra amore e godimento di cui abbiamo parlato. Soltanto con l’amore di transfert si può portare il soggetto a questo punto. Si scopre allora che la causa dell’amore è tutt’altro che amabile. La scommessa della psicoanalisi suppone l’invenzione di un nuovo amore, un amore inedito, dirà Lacan, un amore che si indirizza al sapere: è un amore per sapere ciò che non è amabile, ovvero un amore che mira al Reale.

         A proposito di sapere e di amore, sempre più nella nostra pratica clinica ci troviamo di fronte a una domanda da parte delle coppie in crisi.

L’espressione «psicodramma di coppia»[10] è ciò che siamo riusciti a coniare per dire qualcosa di una pratica che si è sviluppata nell’ultimo decennio, quello che ci preme chiarire in questa sede sono i fondamenti e gli obiettivi.

Sempre più negli ultimi anni riceviamo domande di trattamenti da parte di soggetti che soffrono nella propria condizione di coppia e che intendono rivolgersi a noi in quanto coppia. La nostra formazione psicoanalitica ci colloca in una posizione diversa rispetto a chi considera la coppia come un gruppo, nel senso che riconosce l’esistenza di un “ente coppia” che non si identifica con la somma dei suoi membri, ma ha una sua vita specifica. Per quanto argomentato finora il nostro ascolto è rivolto al soggetto dell’inconscio.

Molti di quelli che si presentano a noi hanno sentito parlare di terapia di coppia ed è questo ciò che vengono a chiedere più o meno esplicitamente: che la coppia indivisibile sia curata. Quanto a noi, è chiaro che non ci proponiamo di curare la coppia in quanto tale. Quello di cui ci occupiamo è un genere di lavoro che si svolge in un setting che si può definire finalizzato a impostare e a “gestire” la fase dei colloqui preliminari, offrendo ai singoli lo spazio per elaborare una possibile domanda di analisi. Al termine di questo lavoro ognuno potrà decidere indipendentemente dal partner se intraprendere o no un’analisi.

È importante sottolineare come in questo genere di lavorosi corrano rischi: prima di ogni cosa rimanere impigliati nell’asse a-a’ proprio dell’immaginario che, come sappiamo, è quello dell’amore, ma non del transfert che Lacan colloca nell’asse simbolico S A[11], e ciò tanto più a causa della particolare concentrazione di investimenti transferali presenti nel setting. In questo senso il lavoro che si propone è a termine, non superiore alle 10-12 sedute, con cadenza settimanale: le sedute inoltre si svolgono con due psicoterapeuti, che si alternano al posto di animatore e di osservatore. Nei “giochi”[12] che emergono dai discorsi di ciascuno e coinvolgono entrambi i membri della coppia, il ruolo del partner non viene mai interpretato dallo stesso, ma da uno dei due terapeuti, in funzione di ego ausiliario. E questo per sottolineare che non ci interessa riprodurre la realtà, tanto meno ricercare una verità assoluta.

In sosotanza il lavoro terapeutico di questa fase consiste nel non rafforzare la funzionalità della coppia, ma nel restituire, per quanto possibile, a ciascuno quello che gli spetta: desideri, limiti, responsabilità. In poche parole si tende a “scoppiare la coppia”, attraverso brevi sottolineature si riporta ciascuno al proprio discorso.

È innegabile come la situazione di coppia rappresenti di solito un luogo privilegiato attraverso il quale emergono produzioni fantasmatiche. La brevità del lavoro e la particolarità del setting non prevedono da parte dei componenti la coppia né la possibilità della costruzione del proprio fantasma, né tanto meno quella di isolare l’oggetto causa del desiderio; ciò non di meno si può arrivare a sciogliere alcuni legami che impediscono a ciascuno l’accesso a una domanda di cura e quindi alla soggettivazione del proprio sintomo.

Circa sei anni fa arrivano nel mio studio Maria e Giuseppe, così li chiameremo. Maria ha circa 50 anni, casalinga, dice di essere venuta perché spera che qualcuno faccia capire a suo marito che non può ostinarsi a mantenere una relazione extraconiugale, senza per questo pensare di lasciare lei, i figli e la casa coniugale. Giuseppe di tre anni più grande di lei, affermato dirigente d’azienda, all’apice della carriera, raggiunta precocemente, afferma di essersi ammalato, circa cinque anni fa, di meningite virale e di essersi miracolosamente salvato. Da quel momento ha deciso di “vivere al meglio la propria vita, senza più privarsi di nulla”. Hanno due figli, il maggiore di 24 e la seconda di 22, entrambi impegnati in studi all’estero.

Dopo il primo incontro che avviene con entrambi, propongo loro se desiderano vedermi separatamente. Entrambi dichiarano di preferire che io li incontri insieme, visto che l’unico problema che entrambi sentono è quello legato alla loro coppia. Da subito ciò che appare evidente è l’impossibilità per Maria e Giuseppe di parlare separatamente.

Durante le prime sedute si ripetono le reciproche lagnanze: Maria, piange molto, si lamenta che Giuseppe l’ha sempre tradita: “almeno prima facevi in modo che io non lo sapessi, ora pretende che io accetti questo menage a tre”. “A tre?”, sottolinea l’animatore. A quel punto Maria parla dei figli, in particolare del primogenito con il quale lei ha un rapporto “particolare”. Con lui si confida, gli racconta quanto soffre e ha sofferto per tutti i tradimenti subiti. Giuseppe interviene per raccontare di aver ascoltato uno dei tanti colloqui tra sua moglie e il figlio e di aver sentito quest’ultimo chiedere alla madre con tono di scherno: “Come va con Don Giovanni?”. Giuseppe dice di essersi sentito molto umiliato. Inizia a parlare del rapporto difficile con suo padre. I suoi genitori si sono separati quando lui aveva 11 anni, da allora non lo ha mai più visto. Dopo la sua malattia ha tentato di rintracciarlo ma ha saputo che era già morto da due anni. L’animatore chiede a Giuseppe di giocare il momento in cui ascolta, non visto, il dialogo tra moglie e il figlio. Giuseppe sceglie la moglie per fare il figlio e la terapeuta per fare la moglie. Nel cambio del ruolo, al posto del figlio, Giuseppe non si limita alla frase proniìunciata ma si lancia in una inventiva contro il padre. Alla fine del gioco visibilmente turbato Giuseppe dice che l’unica cosa che desiderava nella sua vita era di costruire una famiglia unita e felice, essere un buon padre, quello che suo padre non è stato per lui. Alcoolista, lo ricorda spesso ubriaco, sente ancora l’odore dell’alcool.

Dopo alcune sedute Maria è visibilmente arrabbiata e racconta di un episodio che l’ha fatta molto soffrire, si tratta di un tradimento di Giuseppe, di alcuni anni fa, con una sua amica. Della donna dirà che è molto bella e femminile, spigliata e spiritosa e soprattutto “è una vera donna”. L’animatore le chiede cosa vuol dire essere una vera donna, Maria alza gli occhi al cielo e inizia a muovere il busto ondeggiandosi seduta sulla seggiola e per la prima volta, dall’inizio delle sedute, abbozza un sorriso. A quel punto si ricorda del suo primo ciclo mestruale e delle parole pronunciate in quel momento dalla madre: “Ora sei una donna, devi stare attenta perché se vai con un uomo rimani incinta”. Si gioca la scena e Maria chiama a fare la madre Giuseppe. Nel cambio dei ruoli, nel posto della madre Maria scoppia a piangere e non riesce a dire la frase. Quando riesce a parlare dice di essere molto arrabbiata con la madre perché non le ha mai detto “come si fa con gli uomini”, sottomessa al marito burbero e tiranno “le ha insegnato a sopportare e a essere una madre che si sacrifica per i propri figli”.

Alla fine degli incontri Giuseppe farà una domanda di analisi mentre Maria, anche se profondamente scossa, dichiare di voler vedere se ce la farà da sola.

Giuseppe continua ancora oggi il suo percorso che lo sta portando alla costruzione del fantasma e ad affrontare il suo rapporto al desiderio che in lui prende la via dell’impossibile. Attraverso i racconti di Giuseppe sappiamo che ancora oggi sono insieme, e che lui ha smesso di avere storie parallele. Maria, da parte sua, ha iniziato a uscire con le amiche e ha trasformato un suo hobby in un lavoro che le consente anche dei piccoli guadagni. Tra di loro i rapporti sono meno tesi.

Ci sembra di poter dire che qualcosa si sia messo in gioco.

NOTE.

[1] S. Freud, Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di Wilhelm Jensen, in Opere, Torino Boringhieri, 1989, vol.V, pp.331-332.

[2] J.-A. Miller, Logiche della vita amorosa, Roma, Astrolabio 1997, p.44.

[3] S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, in Opere, Torino, Boringhieri 1989, vol.IX, p.282.

[4] L. Lacan, Il Seminario VII. L’etica della psicoanalisi, Torino, Einaudi 1986, p.237.

[5] J.Lacan, Il Seminario XX. Ancora, Torino, Einaudi 1983, p.45.

[6] Ivi, p.57.

[7] J. Lacan, Scritti. La lettera rubata, Torino, Einaudi 1974, vol.I, p.50.

[8] J. Lacan, Il Seminario XX. Ancora, cit., p.77.

[9] Ivi, p.92.

[10] E.B.Croce, La realtà in gioco, Roma, Borla 2001, p.217.

[11] J. Lacan, Scritti. La lettera rubata, cit., p.50.

[12] E.B.Croce, Il volo della farfalla, Roma, Borla 1990, p.107.

 

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