Carlo Pasi
DI ANDREA CARNESECCHI E FRANCESCO PRATELLI
Crede che sia per malafede o per incapacità di comprenderlo che Bataille viene così scarsamente considerato dalla filosofia e dal pensiero contemporaneo?
Questo è interessante… No, malafede non credo. Perniola ad esempio, nel suo libro Sex appeal dell’inorganico, ha cercato di recuperare questa dimensione della sessualità inserendola però nella riflessione sulla cibernetica. La cosa importante, però, è che a livello linguistico, Perniola non rifiuti il coinvolgimento del desiderio carnale, il coinvolgimento carnale nello scrivere. L’oscillazione che si crea, dunque, è tra il lato della sessualità che va nella direzione dell’oggettività, del raffreddamento oggettivo, dell’inorganico e il lato linguistico in cui invece è ancora preso dalla sessualità carnale. Si tratta di un libro molto intelligente, credo che non sia da sottovalutare.
Un’altra cosa che non sono mai riuscito a capire è perché venga così tanto criticata l’idea di erotismo di Bataille…
È sempre il solito problema: la riflessione sulla pornografia e sull’erotismo è importantissima, ma in questa nostra epoca il porno, che pur sotterraneamente domina il visivo, è un argomento che viene sottaciuto per ipocrisia, è inutile che ci giriamo intorno. L’aspetto pornografico di Bataille fa paura ai filosofi, perché sporca la purezza del pensiero. Questo lo dovrei dire, non l’ho mai scritto…
Nel suo libro La comunicazione crudele scrive che, affinché possa darsi comunicazione, è sempre necessaria una lacerazione che la renda possibile. Dal punto di vista pratico, quindi didattico, come riusciva da professore a realizzare questa operazione con i suoi studenti? Dove stava la “ferita” tra la cattedra e il banco di scuola?
In quel contesto la ferita si trova già nella scelta dei temi da trattare in aula. Con i miei studenti la mia dimensione di docente ha funzionato proprio perché li spiazzavo nella scelta degli argomenti dei corsi. Quando sono venuto ad insegnare a Pisa, il primo corso che ho tenuto è stato su Les Crimes de l’amour di Sade ed esordire così, pur trattandosi della parte meno oscena della sua opera, credo abbia colpito i miei studenti. Secondo me è così che bisogna stimolarli, con delle scosse, per questo proiettare in aula dei film in cui era presente Artaud – quanti corsi su Artaud ho sviscerato, Artaud, il mio doppio, illuminante – vederlo, sentire la sua voce in alcune trasmissioni radiofoniche, è stata un’esperienza così straordinaria… non lo conosceva nessuno al tempo ed ebbe sugli studenti un effetto destabilizzante. Serve un coinvolgimento forte, serve parlare di problemi forti, solo così diventa possibile anche questo tipo di comunicazione.
Nella mail di risposta alla nostra richiesta di intervista lei parla appunto di una “trasmissione emotiva del sapere”, è questo che intende?
Sì, è proprio questo. Intendo dire che quando il docente è coinvolto in ciò che spiega, lo studente se ne accorge subito. Il docente si deve implicare, deve sentire ciò che dice, deve porsi all’interno di una ricerca che lo appassioni. Ho fatto sempre così nelle mie lezioni ed è proprio per questo motivo che erano piuttosto sperimentali. Oltre a spiegare, e attraverso la stessa spiegazione, elaboravo un mio stato d’animo, un mio pensiero, e quindi ero totalmente coinvolto in ciò che dicevo e questo gli studenti lo percepivano, sentivano che c’era qualcosa di diverso rispetto alla consueta freddezza dei docenti, almeno di quelli che non sono preparati al rapporto emotivo.
Vi faccio un altro esempio: Eugenio Borgna, che considero un grande pensatore, un poeta della psichiatria con cui, come ho accennato, ho anche avuto una corrispondenza appassionante, insiste molto proprio sul rapporto emotivo, su questa empatia che non dovrebbe mai mancare nei rapporti umani. Il suo punto di vista, ovviamente, è quello di uno psichiatra umanissimo, dunque si riferisce al rapporto medico-paziente che è molto più complesso del rapporto professore-alunno, anche se, secondo me, la base dei rapporti umani rimane sempre la stessa. Borgna cita per esempio questo verso di Hölderlin: «Noi siamo un colloquio» e trovo che si tratti di un’idea a cui dovremmo ritornare, proprio perché nel colloquio ci si mette in gioco, ci si apre, si esplicano le nostre potenzialità emotive. Questo purtroppo in Italia manca fin dalla formazione stessa del docente, formazione che esaspera il nozionismo e per la quale bisogna sapere sempre di più, col rischio di perdersi in questa ricerca.
Sapete poi qual è un altro grande problema che ci condiziona? Il bisogno dell’immagine, il bisogno di distinguersi, di farsi conoscere, la vanità spietata con cui si cerca a tutti i costi di imporre sé stessi. Si sprecano tantissime energie per entrare nei “canali giusti”, quelli che ti danno un po’ di successo, mentre invece le energie dovrebbero essere dedicate di più al rapporto umano. Il rapporto che ho avuto con gli studenti è stato per me fonte di grande ricchezza, è stato, in un certo senso, un rapporto erotico. Qualcuno potrebbe dirmi: «Ma tu sei matto!», ma dovete pensare che quando ho iniziato ad insegnare ero giovanissimo, avevo più o meno la vostra età e Macchia, nonostante il ’68, le contestazioni e soprattutto la mia timidezza, mi ha come spinto nell’ “agorà”. Era un momento storico molto caldo in cui gli studenti si ribellavano e devo dire che in quel contesto mi sono molto rafforzato, ho acquisito delle energie che non sospettavo di avere. Inoltre, mi sono formato in un ambiente quasi totalmente femminile, perché in quella facoltà erano quasi tutte studentesse e, pur senza mai aver avuto storie con nessuna di loro, si è trattato di un rapporto erotico fulminante. Devo dire che, in quei momenti, ho fatto esperienza di come il sapere si trasmetta attraverso il desiderio.
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Intervista realizzata il 05/09/17
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