Jim Hall

 In Interviste
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Un ricordo di Jim Hall

Di Enzo Capua

Intervista di Pierluigi Sassetti

 

Come hai conosciuto Jim Hall?

 Jim Hall l’ho conosciuto la prima volta che venne a Umbria Jazz Winter. Suonò in duo con Bill Frisell e fece anche qualcosa con il suo trio. Non mi ricordo esattamente che anno fosse, sarà stato circa una decina di anni fa, qualcosa del genere. Fu una bella cosa e in quella occasione gli dissi: “Sai, abito a New York, magari ti vengo a trovare, facciamo un’intervista” e lui accettò con un certo entusiasmo. Così un giorno andai a casa sua, conobbi sua moglie, abitava in una bella casa nel centro di Manhattan, insomma una zona molto carina. Parlammo a lungo, facemmo quest’intervista per la rivista Musica Jazz e mi raccontò un po’ di cose, di aneddoti sulla sua vita, sui musicisti che aveva conosciuto. Mi resi conto che si trattava di un uomo di un’umiltà incredibile e penso di non aver mai conosciuto un musicista così importante e tempo stesso così umile nel suo essere importante. Lui diceva: “Sì, suono la chitarra, mi piace”, ma non lo faceva per falsa modestia, era veramente così: una brava persona che amava molto la musica e amava molto i musicisti. Amava i chitarristi, ovviamente, essendo lui stesso un chitarrista, ma non si metteva mai prima degli altri, non diceva: “Io vengo prima di un sacco di chitarristi”. Eppure è stato un chitarrista chiave nella storia del jazz. Mi fece molto piacere parlare con lui, mi mandava gli auguri per Natale, e l’ho incontrato tante altre volte in varie situazioni, anche a Umbria Jazz, però ormai non stava più bene. Si vedeva da come camminava, non riusciva a stare dritto, insomma era difficile per lui.

Jim Hall è stato uno di quei personaggi che hanno attraversato la storia del jazz lasciando una traccia importante e profonda. Chi conosce la storia del jazz non può non essere d’accordo su questo, anche se Jim non è stato un personaggio esplosivo e carismatico. Per questo chi conosce superficialmente il jazz non sa probabilmente chi era Jim Hall, come non sa chi era Jimmy Raney, non sa chi era Renè Thomas, questi grandi chitarristi che appartengono tutti insieme al periodo d’oro, quello di Jim Hall che va dagli anni ‘50, ai primi anni ’60. Quello è anche il periodo in cui c’erano in giro musicisti come Wes Montgomery. Jim era ovviamente molto diverso da Wes Montgomery, parlava spesso di grandi maestri e considerava Wes Montgomery uno di questi, al pari di Django Reinhardt o Charlie Christian, punti capitali della storia della chitarra. Jim non si metteva mai in mezzo, si tirava sempre indietro dicendo che, sì, suonava, ma aveva quell’umiltà di non parlare troppo di sé. Una volta mi disse che aveva incontrato anche Jimi Hendrix, pensa. Jimi Hendrix ha abitato nel suo stesso palazzo per un certo periodo – Jim abitava sulla Dodicesima Strada, quasi all’angolo con la Sesta Avenue e per un periodo ha abitato lì anche Jimi Hendrix – e pare che Jimi gli abbia scritto dei biglietti di complimenti, roba del genere, è rimasta lì la cosa. Mi raccontò anche come iniziò a suonare con Sonny Rollins: Sonny gli lasciò un biglietto sulla porta perché Jim non rispondeva al telefono. Sul foglietto c’era scritto: “Voglio suonare con te. Sonny”, e il numero di telefono.

Comunque, se andavi a casa sua, ti sembrava di entrare nella casa di un impiegato delle poste, una casa normalissima. Tutto bello, carino, ordinato, belli i suoi dischi, le sue cose, tutto molto umile. Eppure è stato un grande, uno dei punti di riferimento. Mi mandava i bigliettini d’auguri a natale, non le fa nessuno queste cose. A casa sua c’era il suo studio, una piccola stanza coni suoi dischi, i suoi nastri, le sue cose, la chitarra. Jim diceva: “Sì, ho fatto certamente cose importanti, però guarda che Django Reinhardt è stato più importante di me, guarda che Wes Montgomery è stato più importante di me”. Aveva un’umiltà incredibile.

Lui come ha imparato a suonare? Ti ha detto qualcosa su questo?

Mah, credo che anche lui faccia parte di quella genia di musicisti autodidatti. Sono musicisti che hanno fatto tutto da soli. Sai, oggi si pensa sempre che un musicista importante debba avere chissà quali titoli di studio, oggi funziona così, vengono da scuole importanti del jazz oppure dal conservatorio, ma una volta non ce n’erano e non interessavano. Un tempo s’imparava strada facendo. Poi era il talento, il genio che ti permetteva di venire fuori e di emergere. Era un po’ un’avventura, una musica molto avventuriera. Ma tanti di quei musicisti che appartengono a quella genia di artisti che si è sviluppata a partire dagli anni ‘30, ‘40, ‘50 vengono tutti da situazioni di questo tipo, ovvero sono autodidatti. Una vita avventurosa anche per altri fattori, perché la vita del musicista era piena di rischi e di insidie, pensa ad esempio agli stupefacenti. Jim Hall ha avuto un passato del genere come tutti a quell’epoca, come molti altri musicisti, e personalmente non ho conosciuto un musicista di quel periodo lì che non si facesse. Però poi l’ha ha superata abilmente quella fase.

So che una grossissima influenza di Jim Hall è stata Django Reinhardt, ma è vero?

Lui lo dice, ma secondo me, se devo dirti la verità, c’è un influenza solo remota, soprattutto agli inizi della sua carriera, perché se ascolti Jim Hall, quello dei dischi importanti, con Jimmy Giuffre o con Sonny Rollins, non si può sentire quest’ eco di Django Reinhardt. Però ovviamente, sai, Django è stato un musicista fondamentale per tutti i chitarristi, tutti, perché è stato il più grande di tutti negli anni ’30. Poi dopo di lui, o quasi contemporaneamente a lui, c’è stato Charlie Christian in America. Charlie Christian è stato il primo ad utilizzare la chitarra elettrica, o più che usare la chitarra elettrica diciamo ad elettrificare la chitarra con un amplificatore. Il primo.

È stato il primo grande chitarrista jazz…

Ce ne sono stati anche altri, ma quello determinante in America è stato sicuramente Charlie Christian. Con lui in quegli anni lì la chitarra ha acquisito l’importanza che merita, questo è il fatto. La chitarra ha avuto il suo ruolo importante a partire da Charlie Christian in America e da Django Reinhardt in Europa. Però sai, Django Reinhardt arrivò anche in America…

Quindi l’escalation è questa: Django Reinhardt, Charlie Christian, Wes Montgomery?

Proprio così… Diciamo che forse, non lo so, ma Renè Thomas e Jimmy Raney avevano uno stile più vicino se vogliamo a Jim Hall.

Poi Wes Montgomery…

È chiaro, evidente, lapalissiano che Wes Montgomery abbia rivoluzionato molte cose, dal suono della chitarra, l’approccio, dandogli una preminenza che nel jazz, non si era mai vista. Una cosa che neanche Jim Hall aveva, come ruolo, come visibilità – non parliamo di stile – però come visibilità lui è stato quello più incisivo. Anche forse per la sua capacità di essere popolare se vogliamo, perché Wes è stato certamente molto più popolare di altri. Però il destino dei chitarristi è curioso. Oggi parlavo con un mio amico critico di due chitarristi che sono stati dimenticati da tutti, due chitarristi jazz importanti, contemporanei fra di loro, ma importantissimi: uno è Renè Thomas e l’altro è Jimmy Raney. Se tu nomini questi solamente chi è dentro il jazz sa chi erano..

Renè Thomas era incredibile!

Ho capito, però vai a chiedere a qualcuno chi era Renè Thomas, non lo sanno. Con Jimmy Raney è la stessa storia, anche se lui ha inciso con Stan Getz, ha fatto tante cose di pregio. Sono come spariti. Wes Montgomery, per destino particolare, invece è rimasto lì, escono ancora cose sue.

Jim Hall aveva uno stile singolare e anche per questo sarebbe interessante capire come è nato questo suo modo di produrre le note, di creare atmosfere, di creare tensioni. Wes Montgomery era molto più diretto, andava come un treno, invece Jim Hall aveva sempre questo senso della sospensione e del vuoto. In chi si può ritrovare un fraseggio così?

C’è una differenza di base fondamentale. Uno è nero, l’altro è bianco, quindi sono completamente diversi. In uno c’è l’origine del suono, del blues, delle cose, nell’altro le origini sono diverse, quindi l’approccio verso la musica è diverso. Una diversità di radici culturali, e quelle sono importanti perché il background è diverso, le esperienze di vita erano diverse. Jim Hall probabilmente non aveva problemi ad entrare e dormire in un albergo, ma per i musicisti di colore a quel tempo non era così facile.

Certo, questa è una cosa che noi non possiamo capire.

Una volta – raccontava Sarah Vaughan – era stata ingaggiata per cantare in un grande albergo, un grande albergo importante, non mi ricordo dove, e quando, arrivò e le dissero: “No, lei non può entrare dalla porta principale, lei deve entrare dalla porta di servizio”. Lei rispose: ”Forse non avete capito! Io non canto qui se devo entrare dalla porta di servizio! Sono l’artista che si esibisce qui, in questo albergo. Mi avete ingaggiato, mi volete, allora io dormo qui ed entro dalla porta principale, non dalla porta di servizio”. Capisci? Questo aneddoto me lo raccontò George Wein il grande organizzatore di festival, colui che ha inventato lo stesso concetto di festival. Lui era sposato a suo tempo con una ragazza di colore pur essendo bianco e ebreo, pensa! Era sposato con una ragazza di colore e mi raccontò un episodio pazzesco: andarono in viaggio di nozze a Washington, la sua ragazza, che era della Louisiana, si avvicinò ad un venditore di gelati e questo non le volle vendere il gelato perché era di colore. Già faceva scandalo un matrimonio fra un bianco e una nera! Pensiamo quindi a come se la passavano i musicisti di colore nell’America di quei tempi. Purtroppo queste sono le contraddizioni di quel paese che ancora oggi si vede che ci sono purtroppo, ancora oggi siamo costretti a parlare dello stesso problema anche se sembrava tutto in qualche maniera pacificato, invece no.

Tornando a Jim Hall, della sua produzione cos’è che ami, cos’è che ti piace, cos’è che secondo te ha qualcosa di straordinario?

Le sue cose più belle sono quelle fatte con Sonny Rollins. Ci sono delle raccolte che contengono tutto quello che loro hanno fatto assieme. Sono cose molto belle perché c’è un’apertura, un dialogo che non si era sentito prima fra sassofono e chitarra, era difficile sentirlo in maniera così forte e vivace. Secondo me tutta la produzione che Jim Hall ha realizzato con Sonny Rollins è assolutamente fondamentale. Poi certe cose che ha fatto ad esempio con Jimmy Giuffre, anche col suo trio. Naturalmente poi i due album chiave che ha inciso con Bill Evans.

Evans e Hall! Io li trovo meravigliosi, piano e chitarra, un approccio straordinario, ma soprattutto nuovo…

È un approccio nuovo anche perché sono due strumenti difficili da abbinare assieme. Undercurrent e Intermodulation sono due album capitali, due dischi fondamentali perché possiamo trovarci questo dialogo. Assolutamente straordinario. Se ci penso non l’ho mai più ritrovata e riascoltata nel jazz una cosa del genere, una cosa così intensa tra piano e chitarra come quella realizzata da Bill Evans e Jim Hall. Pensa ai grandi chitarristi di oggi come Bill Frisell, per esempio. Lui non suona quasi mai con un pianoforte perché è difficile una cosa del genere, ed anche per questo motivo quei due dischi sono rari. Sono quelle combinazioni umane che fanno la differenza sempre, perché come sai la musica non è fatta solo di strumenti…

Chimica umana.

Eh, chimica umana.

È quello che funziona piuttosto che il semplice mettersi assieme e suonare solo per suonare. Ma è un concetto un po’ alieno.

Sì? Dici? Dipende. Non so se hai visto ieri sera il concerto di Pat Metheny e Ron Carter. Pat Metheny è un grande chitarrista, fa parte certamente della storia del jazz, e ieri sera ha suonato con un grande contrabbassista che è Ron Carter. Un bel binomio fra contrabbasso e chitarra, non c’è che dire, e là è evidente una sintonia anche strumentale e comunque stiamo parlando di due musicisti che appartengono a due generazioni ed esperienze completamente diverse. Quindi è la musica che alla fine unisce tutto quanto.

Ti è piaciuto?

Lo premetto, personalmente non sono un grande fan di Pat Metheny. Lo dico con tutto il rispetto, e ritengo il Ron Carter di oggi non così interessante come fu certamente un tempo. Comunque sono due grandi musicisti, e devo dare accredito a Pat Metheny di essere sempre aperto e curioso verso le novità. Per esempio ieri è voluto venir a vedere Jacob Collier a teatro, e questo giusto per capire da dove viene fuori questo fenomeno. È rimasto lì tutto il concerto, ad ascoltare. Questo dà il segno di un’apertura, di una curiosità.

E del binomio fra Jim Hall e Bill Frisell che te ne pare?

Mi sembra una cosa splendida l’idea che due musicisti così distanti nel tempo ma così simili nell’approccio verso il senso della musica, non nello stile, intendo proprio il senso della musica si siano messi assieme e suonare. È qualcosa di difficile da spiegare, ma è la sensibilità, mettiamola così, che secondo me li accomuna molto. Hanno suonato e hanno inciso insieme e ci sono alcuni dischi fatti da loro che consiglio caldamente, perché li ritengo fra le cose più belle della chitarra di oggi. Si sono ritrovati e hanno inciso una cosa straordinaria e stiamo parlando di un uomo, Jim Hall, che a quel tempo aveva quasi ottant’anni e di un altro, Bill Frisell, che ne aveva circa cinquanta. Insomma, ci sono trent’anni di differenza tra di loro. Bill Frisell poteva essere suo figlio, eppure questa differenza non si sente. Devo comunque precisare che possiamo considerare Bill Frisell uno dei più grandi chitarristi di sempre, non c’è dubbio su questo, io per lo meno non ne ho. Certamente potrà realizzare progetti che possono non piacere, particolari, diversi. Ma è uno che macina, macina, suona, cambia idee, sempre curioso, interessante, piacevole. Ci sono delle cose sue molto belle, altre possono essere discutibili, ma è un grande artista.

Io amo molto il cd realizzato con Vinicius Cantuaria.

Quello è un lavoro che invece a me piace meno, gliel’ho anche criticato. Ma sai, io e Bill ci conosciamo bene. Adesso mi ha detto che ha preso un periodo sabbatico, si è voluto distaccare da tutto, perché ha suonato talmente tanto e con talmente tanta gente che evidentemente ha voluto allontanarsi per comporre. Quindi adesso è fuori da tutto, perché veramente è uno che suona, suona, suona, suona. Tant’è vero che è sempre stato per me più interessante ascoltarlo dal vivo che sentirlo sul disco.

Certo, per me il trio è stato meraviglioso, nel 2008.

Del trio non ne parliamo, è il top. Ma i suoi progetti recenti, come per esempio la cosa su John Lennon, vista dal vivo è semplicemente straordinaria. Il disco ti lascia un po’ così, perplesso, ma se lo vedi dal vivo cambi idea. Alle volte i musicisti fanno l’errore d’incidere troppo presto il materiale prima di praticarlo dal vivo, invece dovrebbe essere il contrario. La stessa identica cosa è accaduta con Guitar in the space age: dal vivo meraviglioso, in studio un pochettino di meno.

E tu sei dell’idea che Bill Frisell e Jim Hall siano molto distanti come stile?

Sì, secondo me sì. In Bill Frisell puoi ascoltare gli echi di tante cose, per esempio il Folk, il Rock americano, una cosa che non senti in Jim Hall. Si sente che Bill Frisell ha amato molto il blues, il Folk, la tradizione americana, popolare e il rock. Ci sono dei dischi suoi che sono molto vicini al rock, ad esempio Gone, just like a train, quello è un disco rock, tiratissimo..

Mamma mia..

Forse uno dei dischi rock più belli, però molto … è quasi un trio rock.

Ti lascia senza parole quella roba là. Sai che ho avuto la fortuna di ascoltare Jim Hall con Enrico Pierannunzi, a Monteroduni?

Enrico, è un pianista bravissimo, molto stimato e conosciuto in America. Molto stimato dai musicisti anche perché è un pianista enciclopedico: è uno che può suonarti Scarlatti e Bach o fare del jazz. Enrico fa veramente impressione.

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Intervista realizzata a Umbria Jazz Festival 2016

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