L’Epistemologia della Domanda.

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M2U00846(3)

di Alessandro Guidi

 

La domanda dell’operatore.

Pensare il counselor da un punto di vista epistemologico significa: 1): Stabilire il campo discorsivo entro cui si definisce l’oggetto epistemologico del counselor: il campo discorsivo è quello della analisi della domanda soggettiva. 2): Implica enunciare da parte del soggetto che parla il campo prassico da cui muove la necessità di promuovere l’oggetto che serve a definire i criteri epistemologici del counselor: il campo prassico è quello della psicoanalisi implicata. 3): Infine ne consegue, allora, che l’epistemologia che serve a definire l’oggetto su cui ragionare per stabilire i criteri epistemologici del counselor e il campo prassico da cui muove questa epistemologia coincidono e la coincidenza è etica. E questa coincidenza non è casuale in quanto il counselor come figura professionale non può non tenere di conto, per i propri fondamenti epistemologici, del campo prassico entro cui nasce e prende forma, in quanto ciò che lo definisce è proprio una pratica relazionale piuttosto che una teoria forte a fondarlo.

Da sottolineare che l’atto dell’enunciazione di colui che parla intorno al campo prassico da cui muove, non solo coincide con l’epistemologia che serve a definire i criteri del counselor, ma coincide anche con un atto etico, ovvero con l’atto di fondazione di un soggetto incarnato desiderante e storicizzato che, inscritto già in un campo prassico, lo enuncia come determinante, per fondare dei criteri epistemologici sul counselor a partire dall’oggetto ovvero dalla domanda che lo definisce: questo campo è quello psicoanalitico. E’ questa epistemologia prassica che fonda la pratica del counselor, ma non del counselor in quanto tale, ma del counselor ad orientamento psicoanalitico, il cui oggetto, che definisce i criteri epistemologici del counselor, è la domanda. L’epistemologia prassica della domanda si fonda sulla teoria psicoanalitica promossa da Freud alla fine dell’800 e ripensata in termini moderni da Jacques Lacan. L’esigenza di inscrivere la pratica del counselor all’interno del campo prassico psicoanalitico è nata con l’applicazione del metodo e della teoria psicoanalitica alle cosiddette professioni di aiuto il che vuol dire aver portato gli operatori sociali fino al limite soggettivo implicato nel loro desiderio di operatori e nel loro desiderio di operare sul disagio. La nozione di limite è la funzione che unifica e al tempo stesso qualifica il criterio epistemologico che definisce la domanda ad orientamento psicoanalitico. Infatti, il limite, nella sua funzione epistemologica, coincide con il campo analitico inteso come spazio definito dall’etica della soggettività che opera senza poter prescindere dall’esistenza della pulsione di morte che è una forma della limitatezza soggettiva con cui l’operatore-counselor si imbatte prima di tutto a partire dalla propria trasformazione soggettiva messa alla prova nella formazione e poi nell’ascolto della parola dell’altro. Ma come ci ricorda Heiddegger il limite “non è il punto in cui una cosa finisce, ma è ciò a partire da cui una cosa inizia la sua essenza”. Il che vuol dire che, epistemologicamente, inscriversi nel limite di un campo, significa, per il counselor, riconoscere come vera la propria domanda desiderante di operatore, una domanda messa continuamente alla prova nella formazione, ma contemporaneamente messa alla prova dal limite etico entro cui il counselor-operatore si muove. Tutto ciò significa costruire e apportare continuamente un principio di distinzione e di quadratura alla costruzione della propria professione di counselor orientato psicoanaliticamente.

Allora un campo come quello analitico, che inscrive l’atto del counselor come professione di aiuto, si costruisce epistemologicamente attraverso ciò che sta sopra (episteme) ogni criterio operativo che viene qualificato da ciò che lo fonda in quanto appartenente al campo in cui si inscrive ovvero l’atto etico dell’interrogarsi e del domandarsi sulle circostanze che hanno spinto l’operatore a fare domanda di formazione ad orientamento psicoanalitico. In questo modo l’atto etico non si annulla mai, né durante la formazione, né durante l’atto operativo con l’altro, inoltre il secondo trova nel primo una misura del proprio operare e però trova anche una costruzione creativa a partire proprio da questo limite.

Per fare un esempio di limite reiterato con cui il counselor deve fare i conti iscrivendosi dentro il campo analitico ovvero nella tradizione, nell’etica e nel sapere tracciato da Freud, si può pensare alla compatibilità di questa inscrizione laddove è fondamentale che ciascun soggetto operatore si ponga via via questa domanda:

Sono compatibile, ovvero riesco ancora a patire insieme a ciò che il campo analitico, già tracciato da Freud e rinnovato da Lacan, mi propone di affrontare ogni volta e in ogni atto operativo in qualità di counselor all’ascolto ad orientamento psicoanalitico? Patisco insieme cioè al sapere che ogni volta scelgo a partire da ciò che sento come familiare anche se ogni volta corro il rischio di incontrare qualcosa di inquietante che mi riguarda ma che voglio vedere, e di cui voglio fare un fondamento nel mio operare e che infine voglio interrogare in me ed ascoltare nell’altro?”.

Abitare il campo psicoanalitico come operatore-counselor significa mantenere viva la scelta iniziale ovvero la domanda di appartenenza al campo psicoanalitico percorrendo un solco da arare volta per volta secondo gli strumenti che la formazione costruisce; questa domanda iniziale tiene conto di ciò che il campo analitico ha accolto come presupposto teorico ed etico promosso negli anni ‘30 da Rollo May che recita: “Il counseling è un “riconoscimento professionale a tutti coloro che, pur, non avendo, né volendo il titolo accademico di psicoterapeuta o di psicologo, svolgono o intendono svolgere una attività che esige una buona conoscenza della personalità umana”.

La domanda di appartenenza al campo analitico può avere nel soggetto un interesse formativo e un interesse personale, rivolto al sapere psicoanalitico, che può prescindere dall’interesse per il counseling, come d’altronde succede nella realtà, ma la domanda può, come accade spesso oggi, essere doppia, può riguardare sempre di più anche l’acquisizione di una specifica formazione con lo scopo di un riconoscimento professionale ovvero di un’inscrizione in un’area comune, in una comune casella, di tutti coloro che già svolgono una professione che implica una relazione con la personalità dell’altro, personalità intesa come requisito che entra in gioco in ogni professione di aiuto: e forse un insegnante, un operatore-educatore, un operatore domiciliare, un fisioterapista della rabilitazione, un pedagogista, un animatore di comunità, un infermiere, un operatore che lavora con i malati terminali o con le dipendenze, forse tutte queste professioni non implicano una buona conoscenza della personalità a partire dalla propria, della personalità cioè intesa come l’insieme dei segni e delle maschere che lo scolaro, il disagiato mentale, il demente, il malato terminale e via dicendo portano con sé e su di sé?

Allora questa trasversalità va posta come presupposto per una accoglienza iniziale della domanda all’entrata del campo psicoanalitico e va a coincidere insieme all’altra domanda fondamentale e primaria che riguarda il senso di appartenenza e l’abitare il desiderio analitico da parte dell’operatore con la specificità e i limiti che, come ho già detto sopra, esso include. Quando questa coincidenza tra il domandare per sapere (domanda quesitiva) e il domandare per ottenere (domanda petitiva) si scinde nel soggetto e prevale la domanda per ottenere la domanda petitiva, per ottenere per esempio un posto nella casella del counselor anche dopo essersi sottoposto alla formazione e alle sue regole, allora l’etica che coincide con il campo analitico stesso pone al soggetto, che dà le prove di scissione, una interrogazione sul proprio desiderio di appartenere ancora al campo fondato sulla domanda quesitiva e sulla domanda interrogante la trasformazione della propria soggettività inconscia e allora il disagio non è più solo dell’utente ma è anche dell’operatore counselor. Teniamo presente però che la crisi conflittuale, oppure lo scivolamento subdolo dal primo versante della domanda al secondo versante della domanda, cioè dal querere al petere, il campo analitico non lo demonizza o giudica ma lo interroga. Infatti la psicoanalisi ritiene che sia un occasione per interrogare la soggettività inconscia dell’operatore all’interno della formazione messa alla prova dall’Altro sociale e dalle sue offerte: il risultato di questa interrogazione può essere, come spesso accade, un accorgersi soggettivo della incompatibilità alla formazione iniziale fondata non sulla domanda per ottenere ma sulla domanda per sapere.

Allora in questo modo, si chiarisce il punto iniziale da cui sono partito: il criterio epistemologico ha come oggetto di riflessione la domanda dell’operatore all’entrata del campo analitico, campo che coincide con il modello da applicare fondato appunto sulla domanda aperta ed interrogante il desiderio del soggetto di appartenere al campo analitico medesimo. Domanda in definitiva quesitiva che si impone ed entra nella relazione di aiuto medesima tra l’operatore counselor e l’utente qualunque esso sia.

Allora se vogliamo dare una risposta a che cosa sia essere counselor ad orientamento psicoanalitico possiamo rispondere che significa essere un operatore della domanda quesitiva: 1) quella del proprio inizio all’entrata del campo psicoanalitico; 2) quella della trasformazione e della interrogazione etica permanente; 3) quella della domanda quesitiva che riguarda l’utente nella sua specificità soggettiva e nella sua difficoltà a domandarsi qualcosa che lo implica come soggetto portatore di un disagio inerente proprio ad una domanda che non si pone più, ma anche ad una domanda che gli viene posta e che rimuove, perché il sentirsi domandato implica una crisi soggettiva che non vuole riconoscere e che maschera con i problemi che riguardano sempre qualcun altro (etica della responsabilità).

              

2) La domanda dell’utente.

 La prima domanda implicata nella relazione di aiuto, di cui il counselor ad orientamento psicoanalitico si occupa, riguarda la natura stessa del domandare dell’utente che si rivolge ad un counselor per chiedere aiuto: che cosa chiede l’utente nel suo atto di domandare un aiuto? Chiede aiuto in relazione ad un problema, ma in realtà questa domanda raccolta da un counselor ad orientamento psicoanalitico scivola, strategicamente, sotto la barra della crisi che sta, che aderisce al contenuto del problema facendo di quest’ultimo la vera questione in gioco: in realtà dietro questo enunciato del problema la vera questione riguarda l’enunciazione in forma di lamentela o lamentazione. Di che cosa si lamenta l’utente? Generalmente si lamenta di tutto, si lamenta per niente, si lamenta del suo stesso lamentarsi, ma non sa come uscirne, in quanto è invischiato nel suo lamentarsi. Il problema portato dall’utente esige una soluzione, l’utente lo sa e suppone che qualcuno, come il counselor, gliene possa dare una a buon mercato e senza troppa fatica. Il counselor ad orientamento psicoanalitico, in definitiva, si occupa proprio di questo, ovvero di questa richiesta implicita dell’utente che non vuol fare troppa fatica nell’impegnarsi a trovare una soluzione per il proprio problema. Che cosa c’è dietro questa aspettativa a buon mercato dell’utente, che cosa c’è in gioco dietro una richiesta di disimpegno rispetto alla quale il soggetto vuole defilarsi? Il counselor ad orientamento psicoanalitico si occupa di far emergere, fino al limite consentito da ogni singolo caso, questa consapevolezza, questa coscienza intenzionale dell’utente volta all’evitamento della crisi portata dal domandare per sapere, tipo di domanda che, nella cultura contemporanea, abbiamo visto è negata, ovvero cancellata.

La cultura contemporanea è segnata, infatti, dalla cultura del silenzio, proprio il silenzio sulla domanda di sapere. La domanda di sapere, che sta dalla parte dell’utente, implica l’accoglienza della domanda da parte del counselor, il quale però ha il dovere etico di interrogare questa accoglienza: ed è questo movimento dialettico di interrogazione e di accoglienza che costituisce il fondamento della domanda di aiuto in quanto domandare significa manum-dare ovvero dare una mano accogliente ed interrogante, ovvero il manum-dare significa non solo dare un mano accogliente, ma anche “mettere nella mano dell’utente un mandato” che impegni l’utente stesso a dare una risposta alla domanda che egli porta al counselor.

Dunque, la domanda dell’utente è sostenuta da un enunciato del tipo “Ho bisogno di …”, oppure “Non sono io che ho bisogno…ma è lui (figlio, marito, moglie ecc…) ed è sostenuta dall’enunciazione della lamentazione. L’operazione del counselor ad orientamento psicoanalitico sostiene l’atto operativo sulla propria risposta preliminare fondata sul significante della domanda: “Che cosa vuoi da me? Tu cerchi una risposta al tuo problema ebbene io ti do mandato, metto nelle tue mani il mandato della risposta cercata da te; io ti aiuto ad arrivare alla risposta a partire dal materiale che tu mi porti”. Il passaggio è compiuto: dalla domanda petitiva transitiva della comunicazione utente-counselor alla domanda quesitiva intransitiva della interlocuzione utente con il proprio Altro.

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