Il mito dei godoari in Petrolio

 In Pagine pasoliane
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di Alessandro Guidi

Premessa

Mi è tornato in mente, leggendo gli Appunti sui Godoari in Petrolio di Pasolini, il soprannome che gli indigeni della giungla davano all’Uomo mascherato: l’Ombra che cammina.
Mi chiedevo a quei tempi, negli anni ’60, come faceva un’Ombra a camminare e che cosa c’entrasse questo soprannome con l’Uomo mascherato del quale mi interessavano soprattutto le gesta eroiche da Giustiziere anonimo e misterioso. Il senso di questo soprannome l’ho compreso proprio attraverso il legame esistente tra ciò che l’ha richiamato alla memoria e il personaggio a cui il soprannome è riferito: è sorto così un nuovo mito per la psicoanalisi e per la mia pratica di analista. Leggendo gli Appunti sui Godoari il termine Godoari mi è parso subito interessante per rappresentare, come significante, il soggetto presso il godimento che lo costituisce quando parla. Da qui si può costruire un vero e proprio Mito, il mito dei Godoari che può servire, come d’altronde servono i miti di Edipo e di Narciso, ad avere un punto di riferimento estetico che va nella direzione voluta da Jacques Lacan che pensa all’estetica come alla funzione del bello che, coprendo in modo più piacevole la verità, al tempo stesso la svela. Il Mito dei Godoari mi ha permesso di porre la questione del godimento nella lingua del soggetto parlante; naturalmente questo contributo si deve a Pier Paolo Pasolini che, senza essere fino in fondo consapevole di ciò che ha costruito, ha dato una dimostrazione della sua implicazione nella psicoanalisi non tanto come autore che scrive di psicoanalisi, ma come autore che, in quanto soggetto parlante e scrivente, si è posto la domanda che cosa vuol dire scrivere, vivere e morire nell’urgenza continua di dire qualcosa su queste tre funzioni: la risposta di Pasolini come soggetto scrivente consiste nell’aver scritto qualcosa che è il segno stesso del suo godimento vitale che appunto si fa scrittura; insomma la sua opera non poteva avere che quella vita e questa affermazione la porrei come esergo per dire che il testo si merita sempre la vita che gli corrisponde perché ne è il prodotto.
Come psicoanalista ho a che fare con soggetti parlanti che cercano di tradurre in parola la loro sofferenza ma che, quando la dicono e dunque la espellono, la perdono per poi inevitabilmente ritrovarsela appiccicata da qualche altra parte, in un’altra parola-significante o sul corpo: questo insistere nel soggetto della sofferenza Lacan lo ha chiamato godimento che indica anche che c’è del piacere soggettivo nel mantenerla. Ebbene Carlo, il protagonista di Petrolio, è l’ombra che cammina, è l’ombra appiccicata all’avanzare nel paesaggio deserto; Carlo è l’ombra dell’avanzare ed è paragonabile all’atto del soggetto parlante che avanza nel deserto dell’analisi. Lacan con la sua destrezza costruisce un gioco di parole per sottolineare l’omofonia tra il deserto — il deserto del paesaggio descritto nel testo — e il disetre-disessere del soggetto parlante o l’essere in perdita che avanza in mezzo ad avanzi-(are) e Godo-(ari).
Quest’ultimo termine mi è apparso subito riconducibile al termine godimento o meglio al significante del godimento che rappresenta Carlo come “ombra che cammina” ovvero la maschera del vero soggetto del testo che è l’avanzare nel paesaggio. Pasolini ha costruito con questa sezione, o per meglio dire rispetto ad ogni altra sezione di Petrolio, un marchingegno perfetto dove il godimento del soggetto-autore-(Pasolini) trabocca dal linguaggio alla scrittura intesa come la traccia della lalingua essiccata del suono e del gergalismo poetico friulano: ciò che rimane sono avanzi e scorie dell’avanzare del soggetto moderno preso negli effetti di quel discorso che Lacan nel 1972 chiamò del “capitalista” del quale Pasolini con la sua opera ha tessuto la rappresentazione scritta e la rappresentazione formale attraverso l’uso del paesaggio. Il soggetto parlante d’altronde nella clinica e nella cura non fa altro che dire di questi effetti del “discorso del capitalista” e li dice essendone sia preso come effetto di godimento della parola, sia quando si mette a scrivere lasciando tracce di questi effetti.
Mi sono chiesto chi sono i Godoari:

I Godoari (mitico popolo barbaro insediatosi nella pianura padana introno a una villa romana abbandonata) sono i protagonisti di un racconto di Anna Banti, La villa Romana.

Si può dire che Pasolini ha costruito un mito che dice una mezza verità, come ogni mito d’altronde, sulla questione del godimento e dunque sull’inconscio essendo strutturato dal godimento, essendo godimento che si ripete come bisogno del soggetto moderno, ripetizione incessante di rifiutare l’inconscio come sapere di questo godimento che lo qualifica: questo mito sono i Godoari, il popolo barbarico dei Godoari, accampati e bivaccanti intorno ai resti di una Villa romana. Immagine efficace, che Pasolini utilizza per dire e scrivere sul degrado del reale e sul suo dilagante potere sul quale è fondato il discorso del capitalista: questo reale si condensa nel potere dell’oggetto feticcio. Ecco il mito dei Godoari, con il loro bivaccare, dilagano e stando fermi creano quantità di scorie ammassate intorno alle colonne della Villa Romana, ai resti di un’Altra Civiltà:

L’avvento del reale non dipende assolutamente dall’analista. Egli ha la missione di contrastarlo. Nonostante tutto, il reale potrebbe anche prender la briglia, soprattutto da quando ha l’appoggio del discorso scientifico.

Anche Pasolini aveva come missione di contrastare il reale del degrado della civiltà che avanzava, quel reale del degrado seducente come l’oggetto feticcio elevato a Cosa dal soggetto moderno: Petrolio (oleum Petri o olio di Pietro, mare degli idrocarburi dell’Eni vera e propria Chiesa su cui si fonda per Pasolini la pietra sacra della tecnologia industriale capitalistica, ma anche età della Pietra o età della barbarie primitiva) è al tempo stesso la testimonianza di questo degrado prodotto dall’oggetto feticcio elevato a Scoria e la resa dell’autore a questo degrado, avvenuta attraverso la sua morte e indicata dalla frammentarietà dell’opera che, in quanto non conclusa ed ordinata è, proprio per questo, in quanto mancata, perfettamente riuscita. Rimane di Pasolini la sua opera ed i miti da prendere a prestito per dire la verità, quella che un mito ci consente di dire, per ritrovarla nella clinica ogni volta che il soggetto si mette al lavoro a parlare del reale che gli impedisce di vedere fino in fondo la propria verità o di sentirla con la lingua o di scriverla con la penna.
Il Mito dei Godoari ha la stessa dignità scientifica del Mito di Edipo e di Narciso: c’è del vero in ognuno, c’è del vero riguardo al soggetto che si mette a parlare in analisi e a scrivere, c’è del vero riguardo al soggetto che si mette al lavoro intorno alla propria vita… alla vita, al reale della vita… al reale della Villa (vita) romana laddove i Godoari, nel racconto di Anna Banti bivaccano: «incontestabilmente della vita, oltre a quella vaga espressione che consiste nell’enunciare il godere della vita, non sappiamo niente».
Da come Pasolini parla di Freud e lo include nel suo progetto di scrittura ci fa capire come l’unità interna, presente nell’opera dell’autore friulano, si divida tra vita e morte (pulsione di morte) tra soggetto autore e soggetto del testo:

Li ho comprati i Casi clinici, al “Portico della morte” dove da ragazzo …Sono ripassato domenica, c’era il solito gelo, l’ombra del bel giorno di autunno, (la morte) …Mai, per il Portico della Morte, il toponimo suonò più reale. Fu per questo dolore, certamente, per questo rovesciamento di situazione – in una situazione, in realtà immutata – che mi venne voglia di comprare il libro di Freud da leggere in treno al ritorno.

Ciò che attraversa l’intera opera di Pasolini è ciò che attraversa l’intera sua vita, ovvero la pulsione di morte con la particolarità che questo attraversamento non è avvenuto per celebrare la melanconia come una categoria estetica che allude ad un passato che non c’è più e che, in quanto perduto, soggettivamente non può mai più essere recuperato ma solo trattenuto nella memoria per resistere in modo mortifero alla vita, e non è avvenuto nemmeno per l’urgenza di scaricare la propria depressione e tristezza, bensì è avvenuto per l’attraversamento o avanzamento testuale della pulsione di morte (l’ombra) verso il teatro della morte dell’autore; ovvero l’attraversamento è avvenuto scrivendo continuamente quel godimento mortifero e scrivendo sul godimento condensato nel Mito dei Godoari o nei Casi clinici di Freud che per Pasolini sono la testimonianza di un grande scrittore che manipola la materia scritturale attraverso la forma stilistica per il suoi fini clinici. Il risultato è una «rassicurante e entusiasmante osmosi tra scrittore e lettore (è appunto nei risvolti del racconto, che con un colpo al cuore, il lettore si accorge che lo scrittore si rivolge direttamente a lui. E quindi in un certo modo si sente co-autore, partecipe della vitalità della creazione, o almeno suo depositario)».

I Godoari: il godimento nella lalingua.

Pasolini arriva a costruire il Mito dei Godoari a partire dal suo interesse antico per la questione della lingua, quella che Lacan chiama lalingua. Il Godoaro, oltre che essere un barbaro appartenente al mitico popolo dei Godoari, è, forzando un po’ le cose omofonicamente sulla lingua, l’unità di misura (ara) agraria del godimento rappresentato in Petrolio dal paesaggio a guisa di natura morta: lalingua corrisponde alla lingua materna o delle origini e che Pasolini utilizza in Petrolio essiccata da qualunque gergalismo o dialettalismo friulano (la madre era friulana e il paesaggio della prima infanzia più sentito da Pasolini era friulano) ma non per questo lalingua non cessa ugualmente di rappresentare proprio questo essiccamento mortifero del paesaggio pasoliniano. Per estensione gli elementi del paesaggio esterno sono anche quelli del paesaggio interno e questo doppio binario attraversa l’intera opera pasoliniana. Gli elementi di questo paesaggio sono: 1. il legame affettino che Pasolini ha con la Madre; 2. la forma stilistica o stilema del paesaggio come segno che fin dal periodo friulano era presente nelle sue poesie.
Il paesaggio pasoliniano di queste poesie friulane era l’habitat interiore che l’autore si portava con sé e si portò con sé fino alla tomba e dunque a differenza della lalingua il paesaggio in Pasolini non cessa di scriversi (se il reale del godimento per Lacan è ciò che insiste nel discorso del soggetto e torna al suo posto negli incontri della vita, il paesaggio, in quanto segno, scrive continuamente ciò che del reale è impossibile per il soggetto a dirsi). Pertanto il paesaggio in Pasolini è lalingua stessa nello sforzo di dirsi ed è contemporaneamente l’insistere del godimento mortifero espresso attraverso la natura morta, una natura dove la presenza dell’uomo è debole: «Capita che un soggetto, nel lavorare lalingua, imprima una marca e apra una via in cui si scrive un impossibile da scrivere» . Questo impossibile da scriversi della lalingua come può risultare efficace? Lacan ce lo dice: «Lalingua è efficace solo se passa allo scritto».
La scrittura, il passare allo scrivere, è, in alcuni casi clinici, dove si riscontra un congelamento del significante che viene elevato ad ideale, foss’anche all’ideale del sacrificio (pensiamo a certe forme di moralismo patogeno presente nelle patologie anoressiche o pensiamo a certe forme depressive dove il soggetto è congelato alla identificazione ad un significante perduto), un modo efficace, all’interno della direzione della cura, per elaborare quell’impossibile a dirsi, ma che insiste nel discorso del soggetto cime ripetizione del reale, e creare un segno, personale e nuovo di questo impossibile.
Pasolini ha una idea precisa di cosa sia lalingua perché non è solo un teorico ma uno scrittore della lingua, ovvero sente la lingua, la sua lingua, la lingua che parla ma dalla quale è parlato dall’Altro, dall’Altro genitoriale: «quindi la mia lingua era allora solo vocale». Per parlare di questa lingua orale c’è bisogno del segno per scriverla e Pasolini in Godoari dimostra come sia funzionale, per il significante del godimento e dunque anche per la lalingua del linguaggio, l’unità di misura agraria ara che è il segno misurabile dell’impossibile del godimento a dirsi tutto ma che, attraverso l’estetica del paesaggio, l’ara può misurare i rovinosi effetti: la ricaduta del barbaro Godoaro sugli effetti del paesaggio sta nei segni lasciati dalle sue scorribande, ma è nel momento del bivaccamento che il Mito dei Godoari nasce, ossia nasce nell’indice di ciò che questo mito ci vuol dire, ovvero che il godimento è qualcosa di statico, di puro, che il sintomo stesso è godimento, è un modo di godere del soggetto insieme al fantasma che rappresenta il suo scenario come il paesaggio desertico del testo.
Da poeta Pasolini arriva a formulare un’ipotesi strutturale che non riguarda solo la sua lingua, ma la lingua di ognuno:

Il terzo termine tra langue e parole (la cui radicale dicotomia sembra insostenibile), potrebbe essere il «momento puramente orale della lingua». Ossia: la lingua nel momento in cui essendo formata da segni individuali di tipo interiettivo e misteriosamente analogico con sentimenti reali suscitati da cose e fatti reali – riflessi condizionati – non era e non è un’astrazione arbitraria, ma un insieme solidale fisico di segni necessari.

Il vocalismo della lalangue è qualcosa di fisico, di corporeo senza essere né istinto né bios, ma un insieme enigmatico di “sentimenti reali”, di rarefazioni vocali e di vocalismi della voce dell’Altro materno, voce impastata e condensata che non comunica ma che si impone al figlio: «Siamo affetti da lalingua, anzitutto per tutto ciò che essa comporta come effetti che sono affetti».
Ciò che presiede alla lalingua è la pulsione vocale o invocante dell’Altro materno che invoca il figlio ad essere tutto per lei: questa voce invocante passa attraverso il bisogno che ha il bambino di essere nutrito e soddisfatto nella fase orale, mentre l’affetto è quel legame che si instaura tra la madre reale e il bambino e che si manifesta attraverso forme di dipendenza vitale: questo legame veicola la domanda d’amore del bambino alla madre e la forma della risposta di quest’ultima al figlio. Nel calderone enigmatico della lalingua Pasolini ci mette anche «i riflessi condizionati» ovvero quelle abitudini acquisite dal bambino attraverso le intenzioni dell’Altro materno, nascoste nelle sue cure, intenzioni induttive che creano nel bambino delle dipendenze al livello del bisogno, in attesa che in lui una certa fame di amore venga soddisfatta; pertanto l’attesa soggettiva in ogni bambino si instaurerà a poco a poco nell’immaginario e nelle fantasie che cattureranno il suo corpo e i suoi sensi. Ciò che Pasolini chiama «momento orale della lingua» si pone all’origine dello sviluppo dell’individuo ed è un momento enigmatico per il futuro adulto; per la psicoanalisi questo momento si pone nel registro del reale del soggetto, ovvero nell’inconscio inteso, questa volta, come insieme non tanto di ciò che è rimosso, ma di ciò che sfugge all’essere parlante, alla capacità della parola di dire ciò che sente il soggetto:

L’inconscio è la testimonianza di un sapere in quanto in gran parte sfugge all’esser parlante. Codesto essere offre l’occasione di accorgersi fin dove arrivano gli effetti de lalingua, per il fatto che esso presenta ogni sorta di affetti che restano enigmatici.

Ebbene il tentativo disperato e vitale di Pasolini è stato quello di aver fatto un’esperienza viva, nel sociale, all’esterno rispetto a ciò che nel suo essere si agita ovvero «ogni sorta di affetti che restano enigmatici» e che compongono lalingua privata che è incontrabile per Pasolini anche fuori dell’essere del soggetto. Questo tentativo reiterato abbraccia la storia dell’essere che è Pasolini e la abbraccia non casualmente ma con cognizione di causa dato che la dimensione storica ha per Pasolini stesso una importanza fondamentale, sia sul piano privato e personale del sentire e del vissuto soggettivo, che è ciò che Pasolini chiama “poesia”, l’atto poetico, sia sul piano politico-sociale in cui, per mettere ordine e conoscerlo, è necessario tenere conto, appunto, della genesi storica dell’oggetto sociale che si vuole ordinare; e questo metodo corrisponde per Pasolini al piano “marxista” di leggere la realtà.
Per tornare al mito dei Godoari possiamo dire che questo mito raccoglie, condensa in un sol colpo, tipico del mito letterario, la storia del soggetto-Pasolini perso da sempre nei paesaggi friulani dell’infanzia, fino alla sua resa di uomo detto e scritto dalle trasformazioni del paesaggio e abbandonato in un deserto di discariche e depositi petroliferi oppure preso nell’essiccazione del vocalismo orale friulano che è il materiale della lalingua della sua infanzia, materiale rappresentato ed infine attuato, con la morte del poeta, nello scenario anonimo e desertico di Ostia Lido:

«Il mito è il luogo in cui l’oggetto viene creato a partire da una domanda e dalla sua risposta […] Il mito è il luogo in cui, a partire dalla sua natura profonda, un oggetto diviene creazione».

La domanda e la risposta che il mito dei Godoari mete in gioco è l’avanzata del godimento insieme al dire del soggetto: il soggetto non può uscire da questa dimensione mortifera e con l’analisi ne fa esperienza; l’analisi è l’esperienza dell’avanzare del soggetto all’interno del godimento che lo porta nel suo dire e che lo ha portato a chiedere aiuto presentando un sintomo.
In questo scritto non interessa prendere la vita di Pasolini come studio di un significante che si fa scritto e che attraversa l’intera sua opera per condensarsi in un mito; sarebbe un esercizio senz’altro interessante, ma non è questo l’obiettivo; invece immergiamoci a capofitto negli appunti sui Godoari per rilevarne l’unità misurale agraria (ara) di quella funzione essenziale per il soggetto che riguarda il reale del godimento anche se è un godimento inutile, come ci dice Lacan, inutile ma assolutamente fondante la struttura del soggetto, che abita ciò che viene detto uomo, e che l’analisi fa parlare tra la perdita (castrazione) e l’eccesso di godimento. Ci possiamo chiedere che cosa degli Appunti sui Godoari interessa il campo psicoanalitico.
Tenendo fermo il termine Godoaro come unità di misura agraria del godimento implicito nella lalingua del soggetto parlante, è possibile recuperare alcune caratteristiche di questo godimento agrario – paesaggistico presente in Petrolio di Pasolini, caratteristiche che servono ulteriormente a far capire come il reale del godimento possa essere rappresentato come partecipante alla vita del soggetto, ovvero come reagente alla vita in qualità di pulsione di morte.

1. Una prima caratteristica del godimento riguarda il significante bruciare, che indica l’atto del bruciare energia libidica raggrumata in quel significante del linguaggio che costituisce anche il limite che il significante pone al godimento stesso – «il linguaggio è quel che si cerca di sapere circa la funzione della lalingua» .
Con Petrolio Pasolini ha raggiunto la massima rappresentazione del significante “bruciare” e in Godoari (IX) troviamo:

Finalmente comparve, prima, una distesa, immensa di rifiuti, in una specie di grande affossamento del terreno, dall’odore [acido, irrespirabile], coi luccichii dei barattoli e quelli più (opachi) della plastica; molta parte dei rifiuti era bruciata, e ne restava una desolata distesa di cenere; altra parte stava bruciano. I fuochi crepitavano, languivano o avevano improvvise riaccensioni, alimentati dal vento infetto nella più assoluta solitudine.

L’avanzare come significante del soggetto che fa esperienza del proprio godimento s’illumina comparendo finalmente sulla scena, su quella scena che più di ogni altra rappresenta il significante “bruciare” ovvero la discarica come insieme di materiali residuali che bruciano e che si accumulano continuamente. Il soggetto fa oggi esperienza degli effetti prodotti dalla riduzione della lalingua materna a codici di comunicazione standard e quel soggetto che lo dimostra maggiormente è l’adolescente in quanto la sua lingua madre finisce per porsi e coincidere con gli elementi del linguaggio corrente, come i neologismi, i cliché e gli stereotipi; questi codici di comunicazione del linguaggio corrispondono al cortocircuito avvenuto al livello della pulsione orale, della lalingua appunto, cortocircuito che ci dice come la domanda d’amore fatta dal bambino alla madre è interrotta e spodestata dalla sua risposta che ha una connotazione nutritiva e contiene la pulsione invocante dell’Altro che dice “voglio che tu sia tutto per me”. Tale risposta è sostenuta dal significante “nutrire” che soddisfa illusoriamente la domanda del bambino attraverso i bocconi del cibo come se quest’ultimo fosse un insieme di parole d’amore ingoiate dal bambino fino al punto da dipendere dalla stessa sostanza-cibo che, in tal modo, come accade in questi casi, verrà elevata simbolicamente, in età adolescenziale, al livello del riflesso condizionato presente nel comportamento compulsivo, o in altri termini, verrà elevata al bisogno di ripetizione o di godimento appunto. Le montagne di stereotipi, di cliché e neologismi corrispondono dunque ai barattoli, alla plastica, ai rifiuti bruciati nella discarica e fanno parte di un paesaggio desolato, deserto il cui «colore era un colore di morte, ma ripeto, di una [morte vera], priva di ogni forma».
Prima di arrivare a rappresentare questo atto finale con la discarica in Petrolio, il significante “bruciare” ha una lunga storia nell’opera di Pasolini. Farò qualche esempio di questa lunga frequentazione:

«La libertà sporca e sudata sbanda nei silenzi crudi della mia stanza: un sepolcreto che brucia nei miei piedi nudi».

E ancora nella stessa poesia del titolo Haikai dei rimorsi:

«I fanciulli sono visioni atroci di morti; dov’è la loro innocenza? / Dove sono le loro seduzioni? / Hanno gli occhi pieni di cenere».

I fanciulli hanno perso la loro capacità vitale di sedurre innocentemente, capacità che deriva dall’edipicizzazione con l’Altro genitoriale: ebbene si vede solo cenere nel loro sguardo morto, ovvero l’anima del fanciullo è spenta, già bruciata in anticipo rispetto all’impiego che un pubere (fanciullo) può fare della sua libido o energia sessuale-corporea; e ciò brucia Pasolini. Ancora:

«Inutili cantano il silenzio le cicale nella mesta penombra incendiata».

Il significante bruciare è qui preso per il suo atto incendiario come nella precedente poesia era preso nel prodotto dell’atto, la cenere, ma in questo caso il godimento è presentato con l’aggettivo che gli è più proprio, ovvero “inutile” come è inutile il canto delle cicale che fanno sentire la loro voce e che permane rispetto a ciò che si sta dissolvendo silenziosamente. Questo è un modo per mostrare come lalingua originaria di cui parla Pasolini, la sua lalingua orale impetuosa, curiosa, travolgente, a poco a poco sia stata elisa, resa inoperante e posta al livello delle scorie che formano la discarica, ovvero sia stata privata della carica pulsionale positiva e trasformata in negativo come lo sono, appunto, le scorie radioattive di certi apparecchi elettronici o magnetici in disuso. Il linguaggio dominante a poco a poco l’ha corrosa, rimane solo il canto inutile delle cicale sullo sfondo della discarica.
Lo stesso tema lo ritroviamo in un altro gruppo di poesie:

«Restano a cantare il silenzio le cicale. / Le cicale che scandiscono il deserto / Resta una sfibrata elitra a stordire la mesta penombra incendiata. / In una pozza di rovente sereno affonda con i suoi grigi mutamenti la giornata. Un’inutile giornata».

L’inutile, la penombra incendiata sono elementi inclusi in ciò che l’inconscio pone come godimento mortifero della lalingua, come esequie nel soggetto scrittore Pasolini che rappresenta la morte bruciante della lalingua. A cosa servono il cliché, lo stereotipo ed il neologismo? Servono a comunicare, sono parti di un linguaggio che ha del tutto fatto morire lalingua che «serve a tutt’altre cose che alla comunicazione».
Pasolini scrive in una poesia breve: «Bisogna bruciare per arrivare consumati all’ultimo fuoco» . All’ultimo fuoco per bruciare un’ultima volta, quello definitivo – quello delle discariche e delle scorie, quello del discorso del capitalista che fa della discarica e delle scorie il luogo dove l’oggetto feticcio riempie il corpo di abbagliante pienezza momentanea, quello appunto di Petrolio dove i Godoari fanno da mito al godimento inutile ma insistente dell’inconscio del soggetto parlante che nel tentativo di comunicare eccessivo attraverso la tecnologia degli apparecchi ha rinunciato a coltivare ciò che della lalingua il linguaggio può mantenere come equivoco, enigma e impossibile a dirsi, mentre il paesaggio, che consegue da questa operazione di essiccamento del linguaggio sulla lalingua, diviene un paesaggio mortifero, desertico:

«Il silenzio – se silenzio si poteva chiamare, con quello stridio di cicale che straniva, non meno, però, di quello delle rondini, o del cinguettio degli altri uccelletti – era assoluto. Non c’era segno di vita umana».

E laddove non c’è uomo non c’è soggetto parlante e dunque nemmeno inconscio, ma l’inconscio può essere rappresentato nella sua forma proprio per mettere in rilievo come il paesaggio che lo rappresenta fagociti l’uomo e lo riduce ad essere un puro godimento inutile senza desiderio; in altri termini, un linguaggio che ha fatto fuori lalingua è un linguaggio che ha rinunciato a sentirne gli echi e il paesaggio, che è lalingua stessa, dunque coincide, in quanto deserto, con la solitudine del soggetto poeta di fronte al foglio da scrivere, solo con la sua carne: Pasolini si è fatto carico, con la sua solitudine, degli effetti provocati sul soggetto umano contemporaneo della desertificazione (disessere) del desiderio che nasce invece necessariamente nel rispetto della lalingua.
Il tentativo di Pasolini è consistito nell’oggettivare la condizione dell’uomo con la scrittura-segno dei Godoari, ma è anche consistito nel soggettivare la sua condizione interiore che corrisponde all’essiccamento interno della lalingua che si stava spegnendo proprio come le scorie-avanzi nelle discariche in Petrolio: oggettivare e soggettivare si incrociano e si intrecciano come il foglio e la carne del poeta – così come il foglio del paziente, che comincia a scrivere durante l’analisi si incrocia e si intreccia con la propria carne goduta nel sintomo che esibisce. Si incrocia anche lalingua materna con la sua perdita nel corpo-carne del soggetto all’interno del discorso del capitalista e tutto confluisce nella Cosa, das Ding, la Madre come significante elevato alla dignità dell’Ideale del capitalismo oleoso, degradante petrolifero … ma infinitamente produttivo e sempre ricco di promesse:

“Io non posso morire per il mio amore! Come farei a goderlo? Noi due ci mettiamo d’accordo … Morirò un poco alla volta. Figlio, mia mania, ti amo tanto da non dover vergognarmi? Figlio, amore di tua madre, eleganza entrata nel mondo senza fatica il vento di fuoco che mi trascina contro la tua immagine spiata milioni di volte è il mio unico dio”.

La madre si preoccupa di essere immortale o di sopravanzare il figlio per goderlo tutto, ma il figlio interpretando il desiderio della Madre fa tutt’uno con essa e con il suo godimento, si fa complice e sostiene la Cosa non potendo fare a meno di farlo:

«Ebbene, il passo fatto, al livello del principio di piacere, da Freud è di mostrarci che non c’è Sommo Bene, che è das Ding, che è la madre, l’oggetto dell’incesto, è un bene interdetto e che non c’è altro bene. Questo è il fondamento rovesciato in Freud, della legge morale».

2. Il secondo elemento interessante per la psicoanalisi che appartiene al godimento del soggetto è la morte che in Petrolio, negli Appunti sui Godoari, è rappresentata sia come il risultato di ciò che brucia, sia come deserto paesaggistico, sia come groviglio sinistro di piante, di certe piante che svolgono un’azione di soffocamento sul paesaggio circostante. Il soffocamento nel soggetto parlante si costituisce per intasamento e deposito dei detriti nella lalingua che implica la presenza, nel soggetto parlante, della invasività dell’Altro materno posto al livello delle cose da dire; ma il deposito si forma anche sul corpo del soggetto come se fosse una zona morta, essiccata, bruciata che sta ad indicare la velenosità stantia della vegetalità presente nel soggetto dotato di parola. Lacan pone la questione tra godimento e parola in questo modo:

Lalingua dove il godimento fa deposito, come ho detto, non senza mortificarla, non senza che essa si presenti come legna secca, testimonia davvero che la vita, di cui un linguaggio fa rigetto, di dà proprio l’idea di essere qualcosa dell’ordine del vegetale.

Pasolini avvertiva, come soggetto parlante, la questione del soffocamento prodotto da elementi venefici della lalingua e questa contaminazione paesaggistico-vegetale la si può ritrovare in questa strofa:

«La pianura padana alita dentro il cuore del fanciullo sedotto la verde tinta insana».

In questo caso la pianura padana è per estensione lo spazio massimo dove le piante e la vegetazione sono un tutt’uno con il barbaro Godoaro invasore della pianura ma anche del cuore del poeta, che è un cuore-fanciullo catturato dalla verde malefica «ombra parlata» della madre, della quale, però, non può fare a meno. Pasolini riprende il tema della vastità della pianura in Godoari. Appunto 119, con la forma onomatopeica «piano-piano» (pianura ovvero una piana che si estende in piano) o anche come in Eliot in The waste land:

Piano, piano tuttavia, quella “waste land”, che dapprincipio aveva una forma, finì per diventare informe. Non era più nulla. Era mera presenza, materia, estensione .

Il barbaro Godoaro ha invaso la pianura istallandosi e bivaccando, scorribando (scorrazzando) e riducendola a mera estensione, a così facendo riduce questa terra ad esercizio sul godimento misurato attraverso l’unità di misura che è l’ara. Il piano-piano, dunque, richiama l’avanzare (significante) del soggetto nella pianura desolata ridotta a pura estensione: il corpo del soggetto oltre ad avere una estensione, ci dice Lacan, gode, ovvero condensa nel proprio fantasma di essere Corpo senza ferite, gli effetti della devastazione del discorso del capitalista in cui è incluso. La rappresentazione di questa estensione ci indica la morte ovvero l’azzeramento di ogni vita umana e il prevalere della dimensione vegetale: «Non c’era segno di vita umana» .
Lacan, come abbiamo visto, ci dice come lalingua faccia deposito, ovvero si condensi nel fantasma del soggetto parlante al livello della morte (la clinica della depressione ce lo conferma) e si situi al livello vegetale che Pasolini chiama «Il trionfo delle piante»:

Le piante che per tanti secoli gli uomini avevano vittoriosamente combattuto, relegandole, negli angoli inutili, dove esse perpetuavano, in stretta alleanza con il sole polveroso, o la tenebra e il fango, la loro invincibile vitalità, ora piano, piano avevano ripreso la loro vita vera, erano dilagate su tutto, in una specie di maligno trionfo, che solo l’immensità e il silenzio arginavano in una specie di contenutezza solenne.

Il trionfo delle piante in una specie di «maligno trionfo» dà l’idea di che cosa sia il godimento mortifero condensato nel fantasma, ovvero nelle abitudini, pensieri, azioni che segnano la vita di un soggetto in relazione agli altri e al mondo: il male per Pasolini corrisponde al godimento che soffoca il corpo di erbacce e vegetali invasivi:

Ortiche e gramigne, xxx e xxx, si stendevano a perdita d’occhio, soffocando quelle che un tempo erano state piante da frutto o da giardino: esse avevano la stessa grandezza del mattino e della sua luce bianca.

La morte soffoca ed invade il corpo del soggetto e così i frutti che se ne godono sono ortiche e graminacee, appunto piante invasive come l’ombra parlata della madre che invade il corpo del bambino scatenando fenomeni psicosomatici alla superficie, sulla pelle. Se nella lalingua materna è contenuto un potenziale di morte, dipende dall’operazione del linguaggio renderla positiva, vantaggiosa per il soggetto parlante e la sua libido; il linguaggio può includere lalingua facendola espandere, come le ortiche, secondo malignità, malvagità corrosiva e venefica: «Il linguaggio presta allalingua i tratti che la riportano verso la compatibilità e l’appartenenza ad una classe; d’un tratto la inserisce nel tutto delle realtà in cui si colloca e si distingue» .
L’inconscio è strutturato come un linguaggio, ci dice Lacan, ma un linguaggio che include la potenzialità pulsionale negativa-mortifera o positivo-creativa della lalingua, include anche la capacità ed efficacia del godimento a circolare nel linguaggio del soggetto parlante-parlato dal linguaggio con il suo gradiente di godimento misurato in ara e rappresentato dal Mito dei Godoari che recita: quante ortiche orticanti e gramigne appiccicose si estendono nel mio paesaggio, nella mia pianura (corpo-paesaggio e corpo-scrittura) di soggetto parlante?
Il Mito dei Godoari ci dice, dunque, della circolazione immobile del godimento, vero e proprio Dio aristotelico, “motore immobile”: questo motore immobile all’interno del linguaggio è appunto lalingua, è il nome del Dio godimento circolante all’interno della grammatica del linguaggio dell’essere parlante:

«Lalingua è ciò per cui un essere può essere detto parlante».

L’essiccamento della lalingua, la mortiferità del godimento circolante nel linguaggio è rappresentato da Pasolini in questo passo e se lalingua è ciò che permette ad un essere di essere detto parlante, il suo essiccamento introduce nell’essere parlante il silenzio, ovvero la nientificazione della parola:

La foresta senza vita fatta tutta di vecchia vegetazione padana si apriva verso i non lontani confini di un fiume o di una catena di colline: ma si sentiva – come nel cuore dell’Africa – che tutto continuava uguale nella stessa agghiacciante e perfetta solitudine, anche oltre la linea dell’orizzonte.

Pasolini fa della foresta, il cuore dell’Africa, il centro paesaggistico della morte o il “senza vita della parola” di fronte alla quale anche la poesia muore, la poesia del soggetto parlante che si interrompe alle soglie della foresta, celebrando il suo mutismo, celebra il lutto che lalingua porta nel cuore del soggetto umano: il lutto della lalingua stessa come ciò che non comunica:

«La poesia non ha conclusione, s’interrompe sulla foresta perduta nel suo triste, fastoso sole-viva».

Pasolini porta l’Africa nelle terre romane a ridosso delle periferie dove:

«i resti delle antiche piante domestiche, inselvatichite, formano una foresta inestricabile».

I Godoari bivaccano intorno a dei resti di una villa romana e non riconoscono quei resti come tali mentre ammassano cose nelle discariche alla periferia laddove la foresta africana si propone: lalingua non solo è essiccata, bruciata nella sua funzione di risorsa allusiva ed enigmatica per il soggetto parlante, ma come ci indica Pasolini ammassata e pietrificata nelle scorie delle discariche oppure aggrovigliata nelle foreste di piante africane delle periferie.
Questo scenario di morte della lalingua riguarda ciò che appartiene alla grammatica del linguaggio dominante, che è bruciante, essiccante e petrolifero, cioè oleoso e dunque espansivo a macchia d’olio, contagioso come il degrado che avanza.

Conclusione clinica.

Ci possiamo chiedere a che cosa serva il Mito dei Godoari. Posso rispondere a partire dalla mia pratica quando nei colloqui preliminari cero di stanare ed isolare il nucleo di godimento presente nel sintomo del soggetto (il sintomo è godimento).
Se l’Edipo, da Freud in poi, serve all’analista a collocare il sintomo in relazione alla scena familiare attraverso la rete dei significanti che rappresentano il soggetto, il Mito dei Godoari serve a individuare quella parte del sintomo he riguarda il godimento in relazione alla sua perdita (castrazione). Serve all’analista ad orientarsi nella direzione della cura, nei colloqui preliminari dove si costruisce il sintomo e lo si completa con la presenza dell’analista a partire dalla domanda del paziente. Perché questo Mito è così efficace? Perché riguarda immediatamente il godimento non solo come sostantivo del sintomo in tutte le forme nevrotiche ma soprattutto come soggetto della cura e in questo senso si può dire che il godimento è sintomo. In questo caso il godimento è il vero e proprio soggetto del discorso in cui l’essere parlante che viene a chiedere aiuto è implicato, e questo discorso come sappiamo è il discorso del capitalista. Ora il discorso implica un soggetto senza parola ma un discorso che, però, indica quale è la posizione del soggetto rispetto al proprio godimento; ebbene nel discorso del capitalista il soggetto si trova in una posizione perversa in quanto da un lato si trova sottomesso all’Altro del sapere, che è la scienza, il sapere scientifico, mentre dall’altro lato lo stesso soggetto si avvale della tecnologia, emanazione del sapere scientifico, come strumento per il proprio godimento.
Che fa infatti il sapere scientifico nel discorso del capitalista? Ha trovato il modo per rendere possibile ciò che per il soggetto non lo può essere: infatti attraverso la tecnologia, il sapere scientifico ha trasformato il reale del godimento impossibile e solo immaginato dal soggetto, in un reale possibile da ottenersi e concretizzarsi stipulando forme agevolate di assicurazione sulla vita e sul corpo. Per esempio pensiamo a tutte le trasformazioni del corpo da parte della chirurgia estetica, oppure pensiamo alla forzosità delle tecniche in vitro, oppure pensiamo agli eccessi di controllo della comunicazione virtuale ecc.
Il sapere scientifico ha eliminato il soggetto e la sua particolarità a vantaggio del sapere stesso posto come Altro a cui guardare per trasformare il godimento immaginario del soggetto (un godimento che fa dell’impossibile ad ottenersi l’oggetto immaginario del godimento del soggetto stesso) in un godimento possibile del tipo “chiedi e avrai” dove i bisogni sono soddisfatti in eccesso, anzi sono soddisfatti solo perché eccedono la normalità. Da un godimento discorsivo ed immaginario ad un godimento attuato ed agito che ha come oggetto elettivo il feticcio dell’oggetto elevato a Cosa. Allora in questo senso si può parlare del godimento come il vero soggetto del discorso del capitalista in quanto è l’interlocutore dell’Altro del sapere, del sapere scientifico e tecnologico che sostiene e persegue l’idea di un godimento pieno.
La rettificazione del soggetto con il reale nei colloqui preliminari va sempre più nella direzione di trasformare il godimento come sintomo nel sintomo è godimento. Il godimento come sintomo va nella direzione del segno più che del significante, nel segno di Zorro o dell’Uomo mascherato, cioè del marchio, del tatuaggio, o della cicatrice lasciata sul corpo dal ferro dell’aggeggio che serve a tatuare, o dal bisturi che serve a tagliare per trasformare il corpo; oppure il segno acido lasciato sul pavimento dal vomito della bulimica, ma anche la cicatrice lasciata sul corpo come segno di un trauma che non si può dimenticare. Ma ciò che segna più di tutti il corpo è la presenza e la potenza seducente ed abbagliante dell’oggetto-feticcio che Lacan ha isolato come un oggetto che ha un valore assoluto, cioè sciolto dal legame con la catena significante della parola, segno visibile, splendente come lo è un fenomeno che si staglia per tutti nel cielo tanto da abbagliare il soggetto; il valore assoluto dell’oggetto feticcio è una costruzione caricata di un eccesso di immaginario da parte del soggetto preso nel discorso del capitalista e l’oggetto che fa segno si può ricondurre alla merce nel senso che l’oggetto-merce assolutizzato dal soggetto serve a ridurre il soggetto stesso all’oggetto merce e ad identificarsi con esso, a mangiarlo (sostanza o cibo) e ciò è segno di un’operazione perversa che caratterizza l’abolizione, cancellazione o denegazione del sintomo è godimento – il che aprirebbe per il soggetto la divisione soggettiva nella parola detta ed indirizzata all’Altro ad un analista, per esempio come terminale di una domanda di aiuto. È sempre più facile trovare nella pratica clinica domande di aiuto senza un vero e proprio sintomo riconosciuto dal soggetto come ciò che lo implica; si vedono invece azioni soggettive tese a supplire il sintomo del proprio disagio attraverso due movimenti: il primo movimento riguarda appunto l’oggetto feticcio della merce che con il suo abbaglio luccicante fa del godimento del soggetto un godimento pieno (questo è l’obiettivo del soggetto a tendenza perversa, ovvero perseguire un godimento pieno con un oggetto feticcio accecante e abbagliante elevato a valore assoluto; e la società attuale ne produce una quantità industriale) e in questo senso e direzione si può parlare di un quadro generale a cui nessuno può sfuggire; tutti portiamo i segni di un eccesso e di un abbaglio da parte dell’oggetto merce, qualunque esso sia, allo scopo di tamponare un disagio oppure per costruire un legame sociale fondato però sull’abitudine, sull’adattamento, sulla convenzione, sul contagio e sulla chiacchiera; il secondo movimento riguarda la debolezza del soggetto affetto da patologia da sostanza. Questo soggetto (anoressie-bulimie, depressioni e dipendenze le più varie che vanno dalle sostanze stupefacenti e psicotrope al gioco e ai mezzi informatici e mediali) è debole, in quanto rinuncia ad essere soggetto per farsi forza sull’oggetto da godere e sfuggire così al desiderio e alla mancanza d’oggetto che esso implica. Questo meccanismo dimostra un eccesso estremo di una tendenza alla perversione che si configura come “normalità”: la normalità ha tendenza perversa e dunque il quadro nevrotico che implica i segni portati dal soggetto sul corpo che di fatto produce con il suo fare e la sua complicità il bisogno e la domanda di oggetto-feticcio. La normalità dunque, in questo senso, indica un segno di un “tratto” di perversione nel soggetto attuale e all’interno del quadro nevrotico a tendenza e tratto perverso, si muove il soggetto debole patologizzato il cui godimento è sintomo, cioè segno della normalità a tendenza perversa, è dunque un eccesso di una tendenza perversa.
Il Mito dei Godoari tratta il soggetto attuale come colui che è in preda agli effetti di una assolutizzazione dell’oggetto feticcio (le scorie), effetti che la clinica registra appunto come un’assenza di sintomo o sintomo mascherato come indica l’Uomo mascherato con la sua ombra che avanza: l’Uomo mascherato porta il segno (la maschera) di ciò che vuole coprire e la maschera è sia segno che oggetto della sua cecità, oggetto elevato al valore assoluto del feticcio, ma l’ombra del degrado del reale avanza – ricordo che il registro del reale è per il soggetto dell’ordine dell’impossibile a dirsi e a prendersi, come l’ombra appunto, ma accompagna l’uomo nel suo fare e nel suo avanzare come una legge fisica che l’uomo vuole cancellare. Il Mito dei Godoari ci dice dunque di una tendenza e di una prevalenza nel disagio e nella sofferenza del soggetto attuale a godere, ovvero ad eccedere con l’oggetto il sintomo di cui è preda; il che implica l’Altro, l’Altra scena e avere a che fare con l’Altro, mentre il sintomo è godimento implica che c’è una condensazione immaginaria di godimento nel discorso del soggetto ma che quest’ultimo è disposto ad occuparsene, che è disposto a pensarsi implicato nella propria divisione soggettiva, al di qua della condensazione immaginaria presente nel sintomo, che lo condurrà verso il desiderio, il desir … il disessere … il desetre … il deserto.
Il Mito dei Godoari ci indica il deserto e l’avanzare del degrado, ma in Pasolini si trova anche un altro modo di pensare il deserto che consiste nella soluzione che l’autore friulano presenta nel finale del film Teorema dove il deserto è paragonato all’essenzialità acquisita strada facendo, via via, un poco per volta nella esperienza analitica che serve per ridurre il contenzioso di godimento che impedisce la strada verso il desiderio di sapere: riappropriarsi del sapere, di un sapere proprio, di un sapere del soggetto e di ciò che lo particolarizza.

Ah, i miei piedi nudi, che camminate / sopra la sabbia del deserto / Miei piedi nudi che mi portate / là dove c’è un’unica presenza / e dove non c’è nulla che mi ripari da nessuno sguardo!
Come già per il popolo d’Israele o l’apostolo Paolo, / il deserto mi si presenta come ciò / che, della realtà, è solo indispensabile. / O meglio ancora, come la realtà / di tutto spogliata fuori che della sua essenza / cos’ come se la rappresenta chi vive, e, qualche volta, / la pensa, pur senza essere un filosofo.
Bene. E cosa dire di me? / Di me, che sono dove ero, e ero dove sono, / automa di una persona reale / mandato nel deserto a camminare per essa? / IO SONO PIENO DI UNA DOMANDA A CUI NON SO RISPONDERE.

Queste parole di Pasolini richiamano ciò che Lacan ha detto nel Seminario I sull’esperienza analitica come esperienza etica per contrastare il reale che avanza. E Lacan lo dice riportando le parole di Angelus Silesius:

«Uomo fatti essenziale! Ché quando il mondo passa / Passa anche l’accidente, ma l’essenza rimane».

E così Lacan commenta:

«Proprio di questo si tratta, al termine dell’analisi, di un crepuscolo, di un declino immaginario, del mondo e addirittura di una esperienza al limite della depersonalizzazione. – È allora che il contingente cade – l’accidentale – il traumatismo, gli strappi della storia – E l’essere viene a costituirsi».

E vorrei concludere con un passo di Pasolini in cui si ritrovano tutti gli elementi del Mito dei Godoari: c’è la poesia e la sua fine; c’è la clinica, quando si paragona alla morte e il degrado del paesaggio ad un bambino abbandonato e non amato che decide di andarsene, di morire ovvero di perdere tutte le caratteristiche vitali che qualificano un bambino come essere gioioso, e c’è clinica in quanto si vede l’implicazione del soggetto autore che, muovendo da un suo sogno, scrive in modo sintomatico; c’è lalingua morente, ma viva, di una vita morta, di una vita che conduce la morte, la pulsione di morte ed infine c’è il paesaggio che coincide con lalingua sempre più essiccata e bruciata, espropriata dalla sua caratteristica di essere un deposito di resti del soggetto per essere invece il deposito degli avanzi e delle scorie delle discariche:

Ed ecco che tutto ciò che per secoli è sembrato «perenne», e lo è stato in effetti fino a due-tre anni fa, di colpo comincia a sgretolarsi, contemporaneamente. Come cioè percorso da una comune volontà, da uno spirito. Venezia agonizza, i sassi di Matera sono pieni di topi e serpenti, e crollano, migliaia di casali (stupendi) in Lombardia, in Toscana, in Sicilia, stanno diventando dei ruderi: affreschi, che sembravano incorruttibili fino a qualche anno fa, cominciano a mostrare lesioni inguaribili. Le cose sono assolute e rigorose come i bambini e ciò che esse decidono è definitivo e irreversibile. Se un bambino sente che non è amato e desiderato – si sente «in più» – incoscientemente decide di ammalarsi e morire: e ciò accade. Così stanno facendo le cose del passato, pietre, legni, colori. E io nel mio sogno l’ho visto chiaramente, come in una visione.

Si può dire che con queste ultime parole e con questo sogno, il “sogno di una Cosa”, Pasolini ha rivelato all’uomo contemporaneo la realizzazione di ciò che la Cosa esige: la morte del desiderio.

Articolo presente nel quarto volume della rivista del Centro di Ascolto e Orientamento Psicoanalitico curata dal dr. Guidi Alessandro, Notes Magico, del 2004.

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