Il Disagio di Edipo

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Riflessioni sul disagio del soggetto infantile e adolescenziale in età scolare

di Alessandro Guidi[1]

INTRODUZIONE

E’ da qualche anno che sostengo in vari luoghi e in molteplici forme, la necessità di inserire la questione del disagio scolastico in un quadro di riferimento che ha nel mito di Edipo il suo topos centrale. L’operazione riguarda ciò che l’orientamento psicoanalitico ha definito come momento cruciale della clinica scolastica. Clinica non nel senso della terapia, ma nel senso della costruzione di un costume mentale in cui il prendersi cura del soggetto a disagio significa interrogare e ascoltare le parti che concorrono a produrre una sofferenza fatta di sfide, di inibizioni e di aspettative immaginarie esercitate dallo scolaro in direzione dell’insegnante e viceversa. Leggiamo dunque il disagio in un modo complesso, bidirezionale ed individuale nel senso che ogni soggetto si porta dietro nella scuola il proprio disagio già costituito altrove. E qui entra in gioco il mito di Edipo, cioè la vicenda del complesso familiare nella quale lo scolaro, ma anche l’insegnante, sono inscritti come figure immaginarie. La complessità della vicenda familiare infatti si ripresenta per ogni soggetto nel tempo scolastico sul terreno del sapere oggettivo, dell’apprendimento e della nozione. La scuola, che è il luogo della costruzione del sapere e della sua trasmissione, è anche il luogo dove la vicenda edipica si ripresenta sotto forma di disagio verso il sapere, sotto forma di insuccesso scolastico, ma anche sotto forma di ciò che lo psicoanalista Jacques Lacan chiama la passione dell’ignoranza. Il disagio di Edipo richiama dunque la vicenda tragica di Sofocle, Edipo Re, mentre l’ascolto analitico sperimenta l’esistenza di questo disagio nelle vicende del soggetto infantile e adolescenziale alle prese con il sapere scolastico. Avere a che fare con il sapere non è solo questione di apprendimento, non è solo un fatto cognitivo, cioè non si tratta soltanto di comprendere un sapere esistente che è lì a disposizione di tutti e che l’insegnante trasmette; al contrario è, per il soggetto, questione che prevede l’incontro con un sapere che preesiste alla sua nascita, cioè con il mito di Edipo, in quanto esso «organizza i rapporti delle due generazioni che precedono il bambino»[2].

Il mito ed il modello edipico rappresentano, dunque, non solo ciò che precede il bambino ma anche il modo con cui il bambino si dispone come soggetto inconscio rispetto all’Altro, ovvero sia rispetto alle figure genitoriali sia rispetto all’insegnante – quest’ultimo inteso come figura sostitutiva genitoriale soprattutto a partire dalla età adolescenziale, come ci indica Freud[3] – sia rispetto ai propri compagni di classe (il gruppo funziona come significante immaginario per l’adolescente nonché come luogo Altro “pieno” con cui identificarsi). Il disagio di Edipo è anche, come ci dice la tragedia sofoclea, (il riferimento è alla trilogia di Sofocle, cioè a Edipo Re a Edipo a Colono e ad Antigone), il disagio dell’adulto, ovvero dell’insegnante che è lì a reggere le sorti del sapere scolastico; il disagio investe Edipo quando egli comincia ad interrogare l’oracolo e poi Tiresia, mentre il disagio investe l’insegnante quando comincia, ad interrogare il sapere nei punti essenziali che lo riguardano come soggetto ma che, a differenza di Edipo, mostra di non voler sapere niente del proprio disagio – passione dell’ignoranza. Per un insegnante l’incontro con il sapere è un incontro direi quotidiano e passa dalle materie di insegnamento, ma soprattutto dal rapporto che l’insegnante ha con il sapere dal momento che egli è chiamato a trasmettere anche la passione per la materia che insegna.

Abbiamo dunque un primo triangolo, scolaro-insegnante-sapere, che costituisce i legami scolastici ed un secondo triangolo incluso nel primo, soggetto infans/adolescente-Altro adulto-complesso edipico che serve ad orientare in senso clinico-scolastico le questioni del disagio. Le problematiche dunque collegate al disagio riguardano due aree:

l’area dell’insuccesso scolastico che concerne il legame del soggetto con il sapere;
l’area disciplinare-comportamentale che riguarda il legame sociale del soggetto infantile e adolescenziale con l’altro e con il gruppo.
Il disagio di Edipo comprende entrambi le aree perché Edipo interroga l’enigma dell’oracolo (il sapere) chiedendosi: «Chi sono io? Quale trama ho sostenuto nel destino imposto dall’Altro (gli dei)?». Ed inoltre: «Che posto occupo nel gruppo? Quello del capro espiatorio, quello del folle, quello dello sfrontato oppure il posto del diverso?».

Edipo è l’insieme di tutti questi posti: è capro espiatorio del destino dell’Altro (gli dei), è folle a causa del parricidio commesso nella tragedia sofoclea e dunque è folle rispetto al proprio passato interrogato; ma contemporaneamente Edipo è incosciente, sfrontato e ignaro di fronte al vecchio che incontra al crocevia della Focide, cioè Laio (l’uccisione del padre Laio al crocevia della Focide è bene mostrata dal dramma di Hugo von Hofmannsthal Edipo e la Sfinge) ed infine è diverso da quello che era prima l’accecamento per il senso di colpa che lo corrode. Ebbene, l’evitamento delle domande precedentemente enunciate che Edipo si pone provoca nel soggetto degli effetti inibitori che lo scolaro avverte nei confronti del sapere e dell’Altro che detiene questo sapere rappresentato dall’insegnante oppure dall’istituto scolastico. Tali effetti inibitori si riferiscono all’area didattica, per quanto riguarda il rapporto tra l’interrogazione e la spiegazione, e all’area comportamentale per quanto riguarda la svogliatezza dello scolaro rispetto al sapere e al dover studiare svogliatezza; che può arrivare fino a manifestazioni estreme sia come rifiuto della scuola, quale massima rappresentante istituzionale del sapere, o come il difficile inserimento dello scolaro nel gruppo-classe.

COSTRUZIONE DELLA MAPPA DEL DISAGIO

1) L’inibizione nell’area della interrogazione-spiegazione

Che cos’è l’inibizione? L’etimologia della parola già ci mette sulla strada giusta per capire il fenomeno inibitorio e i suoi effetti (dal latino inhibere, trattenere – habere – dentro – in). La cultura medievale ha associato il termine inibizione all’atto dell’inibire, cioè al proibire qualcosa a qualcuno da parte di una autorità, cosicché da allora inibire vuol dire trattenersi dal fare qualcosa che il soggetto desidera fare ma che gli viene proibito dall’Altro della legge. Se il legame con l’Altro della legge è estremamente conflittuale, se l’esito inibitorio viene percepito dal soggetto come una forma di restrizione penalizzante, gli effetti del trattenimento si scateneranno all’interno dell’area spazio – temporale dove il trattenimento avviene: questa area è rappresentata dal corpo al quale è legato il meccanismo dell’inibizione funzionale dell’Io, inteso sia come restrizione di una funzione dell’Io stesso, sia come modificazione del senso stesso dell’Io e della sua produzione.

Freud ha evidenziato le quattro funzioni fondamentali dell’Io – funzione sessuale, alimentare, locomotoria e funzione professionale – lavorativa – e la parte corporea corrispondente a queste quattro funzioni dove si esercita l’atto inibitorio di trattenimento. Jacques Lacan, per parte sua, ha evidenziato come l’Io stesso sia un sintomo e come il meccanismo funzionale inibitorio delle quattro aree abbia implicazioni sintomatiche, cioè implicate in qualcosa che causa un evitamento, per cui trattenere qualcosa implica, appunto, per il soggetto, evitare il confronto con il sapere o comunque avvertire lo stesso sapere come qualcosa di estraneo, di troppo grande o che non lo riguarda. Edipo, nei confronti del sapere, ha avuto coraggio non tanto perché ha interrogato l’oracolo, ma perché si è lasciato prendere, cioè si è lasciato interrogare sulla sua stessa vita sessuale rispetto al desiderio esercitato verso sua madre, l’oggetto d’amore proibito. La psicoanalisi ha mostrato come la genealogia del proibito, presente in ogni soggetto adolescente, si presenti nello scolaro quale inibizione intellettuale: si tratta cioè del tentativo del soggetto di evitare la pulsione epistemofilica, pulsione che nasce nel gioco dell’infans e che si organizza intorno agli interrogativi legati alla sessualità e alla nascita di un bambino; poi, tale pulsione, in età adolescenziale, si soggettiva all’esterno, nell’Altro sociale, e si presenta come domanda viva e chiara nell’orientamento scolastico oppure definisce la passione del soggetto per una area precisa del sapere o per un hobby. Allo scolaro nella scuola contemporanea, si chiede, invece, di sapere qualcosa che solitamente non lo riguarda e di ignorare ciò che lo riguarda come soggetto sottoposto al proibito: di fronte a questo egli risponde o identificandosi nello scolaro modello, oppure risponde ritirandosi nei suoi pensieri (distrazione).

La posizione dello scolaro rispetto all’Altro-insegnante emerge nella funzione didattica della spiegazione-interrogazione, usuale binomio della educazione classica. Questo binomio per molto tempo ha retto la scuola classica e la didattica che la sostiene, e non sembra più essere al centro della forma di scuola innovativa che è fondata su modelli cognitivo-pedagogici integrati – ed è attraversata dal processo di animazione e di sperimentazione costruito all’interno dell’unità didattica. Questo nuovo modo di lavorare in classe, secondo l’orizzonte metodologico dell’animazione e della socializzazione, se ristruttura la lezione attraverso l’asse cognitivo e cooperativo-sociale, e se ridefinisce i ruoli dell’insegnante e dello scolaro secondo una prospettiva epistemologica orizzontale e sintetico-emotiva, non è sufficiente, però, a riparare e a contenere il disagio: né quello medio, che rientra nella normale crisi evolutiva dell’infans e dell’adolescente rispetto al sapere, né il disagio sintomatico che può irrompere all’improvviso sulla scena rispetto al gruppo in forme di rottura violente (devianza) o rispetto al sapere stesso come rifiuto totale di esso. Il rapporto tra la spiegazione e l’interrogazione è sottoposto, da questi modelli sperimentali di animazione, ad una destrutturazione sempre di tipo cognitivo, secondo il modello cibernetico della verificabilità che riguarda sia il legame del singolo soggetto con il gruppo-classe sia il legame del gruppo-classe con il conduttore-mediatore-professore: in questo processo di animazione-sperimentale il rapporto classico tra la spiegazione e la interrogazione viene destrutturato a vantaggio di una polisemica rete di relazioni oggettivanti che non solo non tengono conto della soggettività del disagio dell’adolescente (Edipo) e dei riflessi edipici in esso riscontrabili, ma lo tagliano fuori dalla stessa animazione. In realtà, l’asse spiegazione-interrogazione, che ha retto la scuola tradizionale, va rovesciata, ma non abolita, per interrogare semmai proprio il rapporto del soggetto dell’inconscio (Altro) con il sapere all’interno della unità didattica costruita tra l’insegnante e lo scolaro. In questo modo la questione del “disagio di Edipo” viene mantenuta viva nel disagio progressivo dell’adolescente che ritrova la propria storia soggettiva per averne rivelata la verità.

Nell’Edipo del drammaturgo von Hofmannsthal viene messo in rilievo l’incontro del giovane Edipo con questa verità soggettiva rappresentata dall’incontro con il Padre, Laio, a lui ignoto e che Edipo stesso ucciderà come se fosse un vecchio qualunque che si para sulla sua strada; a differenza del dramma sofocleo, la verità soggettiva del soggetto adolescenziale, nel dramma di von Hofmannsthal, è una verità critica e aperta, tutta da costruire, come è appunto l’età adolescenziale, verità che però è già presente nel destino temporale del soggetto fin dalle sue origini. Si delinea, così, con questa temporalità, rivelatasi a posteriori solo nell’adolescenza con l’uccisione del padre Laio da parte di un ignaro Edipo, il tempo logico soggettivo dell’inconscio che lega il binomio scolastico spiegazione-interrogazione al meccanismo inconscio inibizione-trattenimento–evitamento nel soggetto infans-adolescente-scolaro in relazione al sapere rappresentato dall’istituto scolastico.

Per sintetizzare: A) Il disagio di Edipo, ossia il disagio presente nel soggetto infans-adolescente-scolaro è dunque il risultato della inibizione intellettuale che si manifesta quando lo scolaro si imbatte in una autorità che spiega ed esige di risentire, poi, ciò che ha spiegato, riattivando così la legge familiare del «io so e tu non capisci, devi solo obbedire a ciò che io dico perché questa è la verità» (verità implicata nell’Altro genitoriale); B) Non è solo abolendo il binomio spiegazione-interrogazione, in favore di una unità didattica fondata sulla plurivalenza dei contenuti e dei saperi progettabili con la metodologia dell’animazione, che il disagio del soggetto infans-adolescente-scolaro si previene o si abolisce; C) E’ necessario mantenere, mettere in evidenza e sostenere la domanda del soggetto infans-adolescente-scolaro all’Altro del sapere e rovesciare così il binomio spiegazione-interrogazione. Ciò vuol dire mettere in evidenza la Sfinge, cioè l’enigma come fondamento del legame pulsionale del soggetto con il sapere che, prima di essere scolastico, è sempre familiare-edipico; D) Il rovesciamento del binomio spiegazione-interrogazione è nella nuova coppia interrogazione-spiegazione l’unica operazione possibile per non cancellare il topos, cioè il luogo o il nucleo patogeno da dove il soggetto infans-adolescente è stato determinato nel suo disagio, ma è anche il luogo strutturale da dove nasce la pulsione epistemofilica che si presenta nel soggetto adolescente sotto forma di domanda di sapere sul proprio disagio rivolta all’Altro del sapere, incarnato in questo caso dall’insegnante, domanda che può essere favorita dalla interrogazione dell’insegnante stesso sulla storia personale dello scolaro (storia personale che include il disagio del soggetto) prima di qualsiasi spiegazione sulla materia insegnata.

Per capire la portata di senso di questo topos soggettivo possiamo far riferimento di nuovo alla vicenda edipica rappresentata, questa volta, dal dramma di Hugo von Hoffmannsthal Edipo e la Sfinge. Edipo, in questo dramma, si rende conto di aver perso il legame con il proprio passato familiare e con le proprie radici (il luogo o il topos soggettivo), non ha più dunque un luogo metaforico-simbolico (si sente spaesato) da dove pensare ed interrogarsi. Allora che cosa gli resta da fare se non compiere azioni, cioè atti e gesti? Infatti Edipo, giunto al crocevia della Focide, rivolgendosi al destino esclama: «Vuoi che compia azioni? Edipo senza casa può d’ora in poi nei suoi atti dimorare – sì?»[4]. La prima azione compiuta dall’adolescente Edipo, quella di uccidere, ignaro, il proprio padre Laio, è la stessa azione compiuta, appunto, dall’adolescente-scolaro nella cultura contemporanea, che uccide ripetutamente il proprio padre simbolico inteso come insegna e traccia il proprio passato personale.

2) L’inibizione come evitamento nell’area del rifiuto scolastico.

Abbiamo visto come inibire significhi trattenere dentro, in quanto l’inibizione rattrappisce e restringe la realtà, la fantasia del bambino e successivamente impedisce il passaggio alla domanda di sapere formulabile nell’età adolescenziale e dilata invece nell’adolescente fantasie corporee che si trasformano in atti estremi per il corpo (l’uso di sostanze e la dipendenza da oggetto). L’Io rattrappito e inibito è la conseguenza del disancoramento dall’Ideale dell’Io, un Io che è formazione dell’inconscio e che riguarda l’investimento del soggetto sull’oggetto d’amore. Questo oggetto sempre ha a che fare con il versante paterno cercato nell’Altro sociale. Un simile disancoramento dall’Ideale dell’Io è anche un sintomo soggettivo di una personalità che evita di interrogarsi sulle conseguenze della crisi che riguarda il mancato passaggio all’Ideale dell’Io e che evita, dunque, di interrogarsi sul padre nella sua funzione sociale di trasmissione del sapere. L’interrogazione di questa funzione è ostacolata proprio dalla scuola e dal sapere che essa produce e trasmette, in quanto il tipo di sapere scolastico è organizzato in un modo tale da favorire l’inibizione della domanda di sapere del soggetto-scolaro e da favorire la scomparsa del soggetto parlante dalla cultura scolastica e delle tracce della funzione simbolica del padre, funzione che serve a mantenere attivo il soggetto parlante e la sua parola all’interno del sapere stesso. Se il legame spiegazione-interrogazione si inscrive sul versante del sapere, condizionando il soggetto soprattutto rispetto alla capacità di domandare, il meccanismo inibitorio si inscrive invece sul versante-rifiuto del sapere: se nel primo caso il disagio è un effetto, nel secondo caso esso è una causa anticipatoria, ovvero il disagio è la causa che anticipa un difficile rapporto con l’istituzione scolastica, cioè con il luogo dove lo scolaro sente il sapere (si va a scuola per imparare) come imposto – posto prima – ed è già dato: qualunque sia la metodologia utilizzata.

Nel secondo caso un’operazione in più viene promossa dal soggetto rispetto al sapere scolastico: «la scuola come istituto dove c’è del sapere da imparare non può apportare niente a ciò che già so e che mi riguarda, pertanto la rifiuto». Questa operazione di evitamento si inquadra nella psicopatologia della devianza: il soggetto evita qualunque forma di interrogazione al sapere sostenendo, nel suo agire distruttivo ed estremo, che non vi è niente da interrogare e da dire, negando così l’esistenza di Laio, del padre, il quale a sua volta nega quella di Edipo. Essi non si riconoscono: l’incontro si trasforma in tragedia, un incontro-momento che fa esclamare ad Edipo: «Non c’è altra via»[5] ed egli uccide il vecchio Laio per salvare la propria vita.

Nello stesso modo il disagio che tormenta molti adolescenti si esprime nell’evitamento estremo (rifiuto) della scuola; in realtà si tratta di evitare il sapere: spesso non c’è altra via – come per Edipo al crocevia della Focide – e l’adolescente è costretto ad inscenare drammi (malattie, assenze o rifiuto parziale o totale dell’istituzione scolastica), cioè a negare la legge e l’autorità: Edipo, adolescente in fuga, si trova di fronte un Laio pieno di odio che non riconosce e, viceversa, Laio si trova di fronte suo figlio Edipo che non riconosce. Edipo rivolgendosi a Laio, chiede: «Che sa il tuo vecchio cuore della mia orrenda pena?». E, di rimando, Laio esclama: «Gli darò da bere il succo amaro del mio cuore».

Così l’adolescente evita il sapere con un atto di rifiuto scolastico, con una dichiarazione della inutilità, inibendo, in ciò, la sua stessa capacità di sapere: la scelta del soggetto adolescenziale riguarda la cultura della strada dove il sapere («Chi sono io?») coincide con un generico saper fare, da cui la verità soggettiva è tagliata fuori: viene meno per il soggetto infans-adolescente la scuola come il punto di riferimento educativo. Non c’è altra via per il giovane Edipo, che quella di soddisfare la cultura del godimento che è propria dell’Altro genitoriale-sociale, immaginando di identificarsi (con la complicità del padre e l’avvallo affettivo materno) e di trattenere o negare la pulsione epistemofilica che, come ogni pulsione, si organizza proprio attraverso la domanda raccolta dall’Altro (cerchia familiare- insegnante).

L’inibizione per evitamento può dunque manifestarsi nel soggetto adolescente in un’età in cui il sapere diviene sinonimo di capacità in una riuscita di crescita e di capacità nella gestione del possesso dell’oggetto (del denaro, dei beni di consumo). Il disagio di Edipo consiste, dunque, nella tensione che deriva dal sottomettersi ad una forma di operatività ritenuta troppo limitante rispetto al suo bisogno di fare (esperienza di soddisfacimento della pulsione orale mantenuta nella pubertà come residuo della pulsione primaria nel legame con l’Altro materno).

Il disagio di Edipo, per come viene rappresentato dal dramma moderno di von Hofmansthal, si contrappone al disagio di Edipo Re adulto che ri-pensa la propria adolescenza interrogandosi e si mantiene appunto nella posizione che l’adolescente tiene rispetto al sapere di cui la scuola è il rappresentante istituzionale; il rifiuto della scuola coincide con l’evitamento del sapere perché ritenuto o troppo limitante rispetto al fare o inutile per il fare: il sapere si può imparare anche nella strada, quello libresco è lontano dal bisogno di fare. Questo modo di sentire il sapere che caratterizza l’Edipo di von Hofmannsthal differenzia il disagio dell’adolescente spinto all’estremo verso il fare e verso l’azione piuttosto che verso l’elaborazione, tensione, quest’ultima, che si costituisce nel soggetto attraverso il legame con l’Altro genitoriale, parentale e sociale. Insomma, accade qualcosa di mostruoso al crocevia della Focide: assistiamo ad una sconfessione, ad un non-riconoscimento, ad un non riconoscersi dell’adolescente in un adulto che non si assume alcuna idealità e non se l’assume perché l’idealità a sua volta, come mostra la via sofoclea ripresa da Freud sul versante dell’inconscio edipico, egli stesso l’ha rimossa o sconfessata; infatti l’adulto è anche un soggetto che non elabora, non interroga nessun oracolo, a differenza dell’Edipo di Sofocle che è stato posto da Freud come quadro di riferimento per le questioni che l’inconscio (Altro) pone al soggetto umano.

3) Considerazioni conclusive.

Il disagio di Edipo nella società attuale, di cui la scuola rappresenta una istituzione fondamentale per la vita personale propria del bambino e dell’adolescente, consiste, dunque, non solo nel porsi come indicatore sintomatico riferibile ad ogni soggetto che manifesti disagio con il sapere (clinica scolastica), ma è anche il segno di una tendenza culturale e sociale che lavora per fare a meno di Edipo, per eliminarlo e pensarlo come un mito inesistente o per lo meno vecchio e in disuso, buono solo per una rappresentazione teatrale, qualcosa che, insomma, non tocca direttamente il soggetto.

Il disagio di Edipo è anche conseguenza dell’esclusione della questione del soggetto dal legame che esiste tra storia personale dell’infans-adolescente ed il sapere sul disagio scolastico che lo riguarda; il disagio scolastico è legato non solo ad una politica pedagogica da correggere o da esigenze politico-sociali da soddisfare, ma soprattutto a tutti gli effetti della eliminazione della storia personale del soggetto all’interno del sapere scolastico. Quali sono questi effetti di eliminazione? Metterò in evidenza solo due effetti dovuti alla eliminazione del mito di Edipo dalla cultura antropologica e sociale e dalla eliminazione dell’esistenza di Edipo come mito essenziale nel soggetto del disagio. Il primo effetto si manifesta nella struttura del soggetto, mentre il secondo si manifesta nella progettazione difettosa come difficoltà nel costruire un progetto transindividuale.

Edipo, la sua storia e il mito che lo sostiene, costituiscono una scansione basilare tra il passato del soggetto e ciò che egli avverte nel presente sia in relazione al bisogno riferito all’oggetto da consumare, sia al tempo simbolico della parola espressa nella comunicazione con l’altro. L’eliminazione del mito di Edipo dal sapere provoca, dunque, l’ignoranza su questioni legate alla pubertà dell’adolescente giunto al crocevia della Focide e alle prese con i processi di separazione e di individuazione che caratterizzano la sua età. Questa eliminazione si traduce in un ritardo di tali processi e si evidenzia e si ascolta nel materiale che lo scolaro porta nei colloqui individuali, quando egli parla con difficoltà del suo disagio di qualunque grado esso sia. Si nota che ciò che emerge dal materiale verbale espresso dall’adolescente, sia nella sua parola, sia nei suoi atti, cioè nel punto focale dove il disagio si manifesta, cozza e ripete se stesso in forma di ambivalenza, di odio–amore nei confronti dell’autorità e della legge; ambivalenza che viene esercitata e scaricata sugli oggetti – orali o fisici – consumati da lui sempre in modo eccessivo. Tutto questo è una conseguenza della caduta del mito di Edipo. Ci dice Lacan: «Edipo, nella sua vita stessa, è totalmente questo mito. Lui stesso non è altro che il passaggio dal mito all’esistenza. Poco importa che sia esistito o no, poiché in una forma più o meno riflessa egli esiste in ognuno di noi, è dappertutto, ed esiste molto di più che se fosse realmente esistito»[6]. Il mito, dunque, che ha la funzione di incarnare una legge interna alla parola e che consiste sempre nel dire a metà la verità di ognuno, consente di mantenere vivo nel soggetto un rapporto vitale con il suo passato personale. Pertanto la funzione del mito di Edipo universale in quanto i suoi riflessi sono presenti in ciascun soggetto come effetti di una verità che ha a che fare con il disagio del soggetto stesso, effetti che sono in relazione al sapere che Edipo incarna: eliminarlo significa non tenere conto, non voler sapere e ostinarsi a non voler vedere questi stessi effetti e le conseguenze che essi provocano nel soggetto adolescente. Insomma, l’eliminazione del mito di Edipo dal sapere è anch’esso un riflesso edipico, un riflesso cioè di sconfessione e di non riconoscimento tra un padre e un figlio al crocevia della Focide, come ci mostra il dramma di Von Hofmannsthal.
Il secondo effetto prodotto dal soggetto dalla eliminazione del mito di Edipo riguarda la perdita di consistenza del desiderio di progettare, inteso quest’ultimo come risorsa positiva per costruire un discorso gruppale fondato sul sapere. il desiderio viene meno perché viene meno la trasmissione di quelle insegne paterne che costituiscono, per ogni soggetto parlante e per il suo disagio, un orizzonte simbolico a cui guardare e dunque un discorso in cui inscriversi.
Nel mito di Edipo, ogni soggetto può trovare una risposta al proprio disagio, con Edipo ogni soggetto può interrogare, insieme alle proprie radici, le cause inconsce che lo hanno spinto a negare le proprie radici genitoriali, cioè il proprio passato; ogni soggetto, inoltre, nel mito di Edipo può trovare il cammino e le tracce di ciò che è stato nell’infanzia per l’Altro familiare, per progettare il proprio futuro in modo chiaro, ed infine ogni soggetto può scoprire negli enigmi della Sfinge («si nasce dall’uno o dal due?») il modo personale ed il desiderio di risolverli e quindi, spinto da questi enigmi, può trovare una soluzione per il proprio disagio che tenga conto anche dello scacco, del fallimento e della castrazione. Ma non ciò che il soggetto non troverà mai, nel mito di Edipo, saranno delle indicazioni di vie di fuga perverse verso l’eccesso di oggetti da cui dipendere (droga, sostanze, etc.).

La conseguenza della perdita di desiderio di progettazione personale si connette nell’adolescente alla restrizione inibitoria della domanda intransitiva, ovvero si connette al rischio, in cui l’adolescente può incorrere, di non incontrare l’urgenza della domanda. La domanda e la sua dimensione di urgenza riguardano la crisi strutturale del giovane; essa rende possibile, in quanto strutturare, la soggettivazione del ragazzo e la sua particolarità. Il progetto personale, allora, passa necessariamente dalla paradossale intransitività della domanda come ci mostra Edipo Re («Chi sono io?; Che cosa voglio?; Che cosa vuole l’Altro da me?; Quale posizione ho io nel disagio che lamento?»), mentre, come abbiamo visto, sembra che l’adolescente e lo scolaro attuale progettino piuttosto a partire dalla identificazione e dalla posizione di Edipo al crocevia della Focide: progettino, cioè, a partire da una domanda realmente transitiva rivolta all’Altro-adulto (Altro del sapere e Altro sociale in generale): «Che cosa vuoi, che compia delle azioni? Che cosa vuoi, che consumi oggetti? Non c’è altra via per me? Ebbene è ciò che voglio anch’io».

La progettazione, che parte da queste domande, ha come effetto perverso il sostenere da parte del sapere e dell’Altro sociale un incontro mancato tra il Padre ed il figlio, come se fosse un incontro inutile o impossibile, o possibile solo nel campo di un sapere virtuale costruito in modo cognitivo a priori e possibile dunque solo in una cultura ed in un sapere del come se, la cui funzione nel sapere scolastico dominante è, in fondo, quella di mettere al riparo il soggetto adolescente da una domanda che l’adulto stesso – Altro sociale – evita di porsi, la domanda intransitiva che lo stesso Edipo si pose alla fine del suo dramma prima di passare dal mito all’esistenza accecandosi (castrazione): «È forse nel momento in cui non sono nulla che divento un uomo?».

Note

[1] Articolo apparso su Notes Magico. Annuario del Centro di Ascolto e Orientamento Psicoanalitico, n.1, Clinamen, Firenze, 2001, pp. 71-82.

[2] A. Green, Il linguaggio in psicoanalisi, Borla, Roma 1991, pag 191.

[3] S. Freud, Psicologia del ginnasiale, in Opere vol. Boringhieri, Torino 1967-1980

[4] H. Von Hofmannsthal, Edipo e la Sfinge, Atto I°, Mondadori, Milano, pag. 171.

[5] H. Von Hofmannsthal, Edipo e la Sfinge, Atto I°, pag. 69.

[6] J.Lacan, Il Seminario. Libro II, Einaudi, Torino 1991, pag 290.

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