La genitorialità – La nascita
di Alessandro Guidi
Domanda: Mi sono persa sul punto riguardante il dolore del parto. Ad un certo punto lei ha menzionato la questione del dolore del parto, che è inscritto in questo Grande Altro simbolico. Oppure sono io che ho fatto confusione…
Guidi: Veramente non ho trattato la questione del dolore del parto!
Domanda: allora sono io che me lo sono inventata …
Guidi: il dolore del parto, evidentemente lo ha sentito solo lei.
Domanda: è preoccupante la cosa, dovrò lavorarci e non poco.
Guidi: comunque, del dolore del parto ne possiamo sicuramente parlare. Oggi, la tendenza della modernità, lo sapete, è quella di abolire il dolore e quindi ci sono due scuole di pensiero: chi dice che è un bene che il dolore sia mantenuto, perché si tratta di un dolore importante. Su questo punto posso dire poco, dovrebbero essere le donne a chiarire questa faccenda. La seconda scuola di pensiero riguarda l’abolizione del dolore.
Intervento: non è che con il dolore sono riuscita ad amare di più i miei figli.
Guidi: se guardiamo le cose per come sono, la natura ci dice che il dolore è inscritto nel parto, giusto? Eliminandolo si arriva ad una situazione di anestesia del ricordo, perché il dolore ti fa ricordare.
Intervento: io il dolore lo ricordo, ma non come una cosa allucinante. C’è stato, l’ho vissuto senza trauma, tre dolori diversi per tre figli diversi.
Guidi: in realtà non dovrebbe essere un trauma.
Intervento: è un dolore che va sentito, dovessi rimettere al mondo i miei figli non mi farei assolutamente anestetizzare.
Guidi: le tecniche moderne vanno tutte nella direzione dell’abolizione del dolore, che è sempre un togliere emozioni.
Intervento: certamente poi, anche il bambino soffre, l’atto di nascere è secondo me una sofferenza. Sia la madre che il bambino provano un dolore, una fatica, presumo…
Guidi: nessuno se lo ricorda questo dolore di venire al mondo. Otto Rank parla di trauma della nascita, Freud non era molto d’accordo su questo punto, perché la nascita non è un trauma.
Intervento: non è un dolore che rimane in modo traumatico, ma sicuramente un certo impegno, nel venire al mondo, c’è anche da parte del bambino.
Guidi: Si, certamente, però, tutto ciò che non ricordo del mio venire al mondo può essere completato dall’Altro che ti racconta la tua nascita, la madre e il padre. Tutto questo si va a inscrivere successivamente nell’ordine simbolico quando il bambino, diventato soggetto, può attraverso la parola, fare delle domande, chiedere al genitore. Inscrivere in questo modo il parto biologico all’interno della propria esperienza simbolica, di linguaggio, simbolizzandolo. Quindi, se oggi, in modo preordinato, la tecnica elimina il dolore, si corre il rischio di eliminare tutte le differenze soggettive, tutte le nascite diventano uguali, tutto viene come appiattito. Questo appiattimento è caratteristico dell’epoca moderna, del Discorso del Capitalista, che tende a creare un appiattimento soggettivo, in favore di un godimento dell’oggetto, di tutti gli oggetti possibili; mentre l’esperienza soggettiva che parte dal corpo, viene annullata e eliminata. Anche il corpo, quindi, diviene un oggetto in ostaggio dell’Altro, nelle mani dell’Altro, in ostaggio della tecnica che sancisce una procedura. Procedure e farmaci per tutti, viene abolita così ogni soggettività differenziata rispetto anche alla malattia, a ciò che provo, a ciò che sento. Anche il parto viene iscritto nella casella “Malattia”, perché eliminando il dolore, considero il parto una malattia che comporta dolore.
Intervento: ma nel caso di donne che hanno già avuto delle gravidanze difficili?
Guidi: questo è diverso, è già un caso specifico. Bisogna sempre guardare soggetto per soggetto, caso per caso e intervenire, ma non in modo preordinato. È un po’ come nel film Revolutionary road, quando nelle scene iniziali si vedono le persone uscire di metropolitana tutte con il medesimo cappello, uguale per tutti. Una omologazione completa. Conoscete questo film?
Intervento: una domanda sul ruolo del padre. Dopo il parto, il padre deve sostenere, appoggiare la madre nei suoi compiti?
Guidi: sostenere il ruolo della funzione materna, curare e accudire il figlio.
Intervento: quindi rispettando questo investimento d’amore, chiamiamolo così, sul bambino, sul nuovo arrivato, stando da parte, però arriva poi il monento in cui deve intervenire.
Guidi: però, attenzione, la funzione d’amore del padre deve sempre privilegiare la propria compagna, mai privilegiare il figlio. Prima viene la propria compagna e viceversa. Sempre!
Intervento: quindi anche per la madre deve essere così? Prima deve venire il proprio compagno, anche nei primi mesi?
Guidi: certamente. C’è un desiderio per il figlio, ma c’è un desiderio che riguarda il compagno che ha scelto e dal quale ha avuto un figlio. Oggi sono casi rari.
Intervento: generalmente le madri sono innamorate del proprio figlio e niente di più.
Guidi: infatti. Se la madre s’innamora del figlio, diventa quest’ultimo il compagno.
Intervento: oggi il figlio è al primo posto, e il marito viene sempre messo da parte.
Guidi: ma è sbagliato, è nettamente sbagliato. Si dice, si fa, si pensa e si costruisce la famiglia su questo e anche il disastro stesso della famiglia si radicalizza su questo punto. Perché? Perché prima di arrivare a questo punto, vuol dire che i prodromi di questo discorso ci sono già prima della venuta del figlio, ci sono già nel momento in cui i due si sono incontrati, nella fenomenologia dell’incontro e dell’amore.
Intervento: la coppia, prima di diventare una coppia genitoriale deve essere forte e salda sul punto dell’amore reciproco.
Guidi: esatto.
Intervento: oggi non è così scontato questo punto. La futura famiglia è praticamente già traballante al momento dell’incontro.
Guidi: si può correggere in corsa un difetto della coppia, prima che diventi coppia genitoriale; allora si può affermare: “Ma il figlio che dico di desiderare, è un figlio reale oppure è nel mio immaginario?”. Questo punto lo analizzeremo più avanti, quando i genitori non parlano al figlio reale, perché c’è la sua differenza. Un conto è parlare al figlio reale altro conto è parlare al figlio immaginario. Il figlio di cui parlo non è mai il figlio a cui parlo, questo deve essere chiaro. È una gran differenza, e questa dissimmetria può esser già presente prima della nascita del figlio, addirittura nel momento dell’incontro e della formazione della coppia. Significa che tutto l’immaginario della madre, quello che Silvia Vegetti Finzi chiama il bambino della notte, che durante la gravidanza viene immaginato, idealizzato eccetera, quando poi la madre partorisce questo bambino, non corrisponde mai all’immagine. Allora diventa estraneo. Fino a che l’atteso da parte della donna o dell’uomo permane nella mente, quindi nell’immaginario, tutti gli incontri che si realizzano, compreso quello del figlio, sono estranei perché c’è una chiusura in attesa dell’atteso. Atteso che è nella mia mente. Le figure reali non vengono prese in considerazione, non vengono accolte. Bisogna accogliere le figure reali, non aspettare l’atteso che verrà. È l’uomo reale che la donna è tenuta ad amare, non quello che si immagina e di cui si lamenta, così anche per il bambino. È chiaro?
Apriamo una piccola parentesi: Telemaco! Telemaco nell’attesa del ritorno del padre Ulisse, attendeva l’eroe Ulisse, il mito. Quando poi Ulisse fa ritorno, ritorno a casa, Telemaco non riconosce il padre. Chi riconosce Ulisse? La nutrice, il cane Argo, ma non il figlio che si aspettava ancora un certo tipo di padre. Ecco che allora il complesso di Telemaco non regge.
Intervento: lei ha descritto la situazione “come dovrebbe essere” e “come è”. Siccome la situazione “come dovrebbe essere” è rarissima, la situazione “come è” quanto può essere modificata e come?
Guidi: può essere modificata attraverso un portare – ovviamente da un nostro punto di vista, da chi è inscritto nel campo analitico – un nuovo messaggio educativo, differente, di rottura, di sospensione, di critica, non agendo mai prima di aver dato un senso a ciò che si fa. Guardare dentro se stessi piuttosto che sempre e sistematicamente fuori. Questo è il messaggio della psicoanalisi, il messaggio del counselor.
Intervento: e il counselor come può fare questo?
Guidi: il counselor deve portare ovunque, ovunque si trovi questo sapere, dalla propria famiglia al luogo in cui opera, chiaramente differenziando gli ambiti. In famiglia porterà un diverso se stesso, cambiando interiormente e producendo degli effetti di cambiamento. Nella professione, un setting molto più radicato e strutturato con metodi precisi. Non c’è altra soluzione se non quella della riflessione profonda, quello dell’interrogare l’inconscio, quello di sospendere un atto, quello di disintossicarsi dall’oggetto, e per disintossicarsi dall’oggetto è necessario andarsene in quarantena, abolire gli oggetti, abitare dei luoghi silenziosi, costruire delle stanze segrete interne, stare in solitudine e non aver paura della solitudine, prima di imbarcarsi in una socialità e una “gruppalità” omologante. Realtà che ci fagocitano perché non le sappiamo gestire, perché la massa fagocita. Prima di tutto quindi è necessario costruirsi come soggetti con un’identità specifica, personale. Rallentare, sospendere, riflettere, tagliare …
Intervento: avrei questa domanda da porre a proposito del Grande Altro della trasgressione. Lei dice sempre che dal 1948 in poi c’è stata una rottura, e sembra che ora le colpe siano dei genitori però sembra eccessivo. I nonni sono nonni del consumismo, perché i nonni portano, nella maggior parte delle volte, invece che una trasmissibilità “altra”, come magari dovrebbe essere, portano invece un Grande Altro consumistico. Sono loro i primi a essere un modello consumista. Quindi il genitore è un po’ spaesato in questo senso. Inoltre mi sembra calzante un libro che ho comprato e che non ho letto, ma a occhio mi sembra preciso per l’occasione, e si intitola La restituzione, di Francesco Stoppa. Un libro che appunto indica questi passaggi. Non è dal 1948 che c’è il vuoto. Detto così sembra che prima del 1948 c’erano in giro persone che suonavano il violino mentre adesso non c’è più niente.
Guidi: è vero, serve semplicemente per dare una data, del prima e del dopo guerra. C’è uno stacco preciso, c’è una periodizzazione importante. Dal 1948 in poi c’è sicuramente qualcosa che è cambiato. Poi, tornando ai nonni, comunque, fino a un certo punto hanno costituito una fonte di ereditarietà di sapere, di sapere, non di consumismo.
Intervento: è questo il passaggio delicato.
Guidi: certamente. La generazione nata negli anni cinquanta, che ha avuto genitori degli anni venti, e che quindi i nipoti hanno avuto nonni degli anni venti; quei nonni, hanno dato qualcosa. Oppure i nonni dei primi del novecento. C’era una eredità da dare, in senso di tradizioni, di sapere, di cultura, ma la grande trasformazione antropologica, di cui parla Pier Paolo Pasolini, avviene negli anni settanta. La trasformazione antropologica, il passaggio dal sacro al profano, l’abolizione di tutta la cultura contadina, i contadini che si riversano nelle città e si arricchiscono, e quindi perdono le loro tradizioni formidabili, tutto ciò avviene appunto in quel periodo, nel periodo compreso tra il 1975 e il 1980. Dal 1980 in poi c’è un’accelerazione potentissima, formidabile del consumismo che ci porta fino ad oggi. Questo grossomodo, chiaramente ci sono delle differenze caso per caso, zona per zona, è ovvio.
Intervento: oggi accade il contrario. Il borghese medio che è stufo della città si rifugia in campagna inventandosi coltivatore, ma senza che alcun sapere gli sia stato tramandato e fa della campagna una cosa diversa rispetto alla natura intima della campagna. Insomma diventa un contadino che non è contadino e che forse contadino non lo sarà mai.
Guidi: è la campagna immaginaria, che rappresenta qualcosa di pulito e incontaminato e di depurante rispetto ai veleni della città. Ma in realtà è solo immaginazione. Diventa una campagna medio borghese e quindi un’altra città.
Intervento: quindi se mia madre che è nata negli anni cinquanta ha fatto dei danni incredibili, come nonna è potenzialmente anche peggio … è terrorizzante.
Guidi: non è detto, tante volte, i nonni possono recuperare qualcosa di una paternità o di una maternità che non hanno saputo dare proprio perché iniziano a riflettere vedendo i disastri che hanno fatto come genitori. Si redimono. Non sempre comunque.
Intervento: al momento difficilmente si riesce a riflettere, a vedere il disastro che abbiamo combinato. È sempre un lavoro a posteriori. Ormai il danno per i figli e per se stessi è fatto. Forse i nonni in questo senso possono trasmettere qualcosa. Forse…
Guidi: i nonni? Da un punto di vista economico, il tesoretto dei nonni si sta lentamente asciugando. Tesoretto non solo in termini di denaro, eredità, ma soprattutto di eredità culturale. Anche la cultura dei nonni si sta prosciugando sempre di più. Siamo a un limite irreversibile, e quando il tesoretto dei nonni sarà finito, i nipoti cosa avranno e cosa vedranno? Soltanto una realtà così come è e non si chiederanno più che cosa ha preceduto questa realtà. Vedranno la realtà nuda e cruda e niente di più.
Intervento: non sapranno cosa c’è stato prima…
Guidi: esatto, il taglio con la tradizione e il taglio con il passato sono un altro guaio, enorme. È il taglio della memoria, il taglio dell’origine, da dove proveniamo. I giovani di oggi, i ventenni, non si chiedono più tutto questo. Vivono la propria realtà in un futuro incerto, in un passato del quale se ne fregano e neanche lo interrogano.
Intervento: e noi come possiamo interrogarci?
Guidi: Per quanto ci riguarda la cosa importante è trovare quelle risorse per una riflessione e sapersene che fare. Saper utilizzare l’ascolto, l’incontro. Prendere qualcosa, portarlo a casa e dare vita a un secondo atto, cioè leggere quello che si è scritto e quello che si è capito. È fondamentale. Spesso si scrive ma non si rilegge. Si lascia lì e niente di più. Rileggere ciò che si è scritto, come meditare e riflettere su ciò che si è ascoltato, così da permettersi di evidenziare, di chiarire meglio e rilanciare la questione verso qualcosa di successivo. È sempre fondamentale rileggere, non bisogna dimenticarsene. Il secondo atto è una cosa formidabile, è la rilettura. Rileggere a posteriori ciò che si è scritto mi permette di dare un senso effettivo, di tirare fuori qualcosa che per me è importante e saperlo impiegare per la mia vita. Atti molto semplici ma faticosi, che richiedono impegno. Senza impegno, senza fatica, chiaramente non c’è svolta.
Intervento: così senza dolore non si ha la percezione autentica del parto.
Guidi: esatto.
Intervento: tornando al libro di Stoppa, il messaggio che dà ai giovani non è così pesante, t’infonde un senso di speranza, perché dice che non si sono piegati agli ideologismi dei genitori.
Guidi: sì, ma il problema – parlando con il massimo rispetto per Stoppa che è un amico – è diverso. È vero che non si sono piegati alle ideologie dei genitori, ma purtroppo oggi la genitorialità si è piegata a un’ideologia più grande, quella del Discorso del Capitalista. L’ideologia, oggi, è diversa da quella di un tempo, perché è l’ideologia del sistema il che significa che è ancora più grande, è ancora più forte, ti afferra e non ti lascia più. È questo il discorso! Non è più una trans-generazione (nonni, figli, nipoti), ma le stesse generazioni sono state prese e inglobate, affogate, invase, da questo Altro sociale che è invasivo fin dalla nascita, dall’asilo nido, dalla scuola materna. Per cui nella famiglia, che qualche tempo addietro aveva una funzione di paideia, di etica, e anche di erotica – queste sono le tre grandi funzioni della famiglia – nella famiglia attuale, paideia e etica non esistono più, esiste soltanto l’eros, l’eroticità che si va ad agganciare con questo ampio eros che trabocca nel godimento degli oggetti. Quindi bisogna essere consapevoli anche di questo. Avere anche una speranza, certamente, ma per avere una speranza, come dire, ancor più speranzosa, bisogna toccare il fondo e dire “Sto toccando il fondo!”. Toccare il fondo e quindi non avere più niente da perdere. Se lasci ancora una speranza in qualcosa che non c’è, il rischio è di prendere un abbaglio. Per questo non sono d’accordo né con Telemaco né con Stoppa su questo discorso.
È necessario rendersi conto che ciò che Jacques Lacan chiama il Discorso del Capitalista – non a caso – perché è un discorso sistematico, complessivo, nel quale la famiglia è catturata e presa, per cui se un figlio si scosta dall’ideologia familiare, purtroppo ritrova il marcio nelle ideologie sociali, che sono ancora più ampie e pericolose. È questo il punto critico. La tecnologia, la massificazione della tecnica in modo esasperato, le immagini reali che vanno a coincidere con l’immaginario … personalmente sono d’accordo con Marshall McLuhan e con Zygmunt Bauman che parla di liquidità. La speranza, personalmente, la considero un giro di vite della gioia, ma per esserci gioia bisogna che ci sia un lungo lavoro personale soggettivo di fatica, di responsabilità. E allora sì che c’è speranza. Solo da questo lato ci può essere speranza, altrimenti non vedo questa speranza. Forse la speranza sta solo nel Papa, in Papa Francesco, chissà … forse è l’ultimo padre idealizzato che ha ancora una funzione di Ideale dell’Io a cui guardare con una certa benevolenza. Come dire: meglio che niente! C’è qualcuno che può dare un messaggio, che dice una cosa e la fa, ad esempio la sua telefonata, la lettera inviata, piccole cose … ma meglio di niente.
Comunque, tornando all’inizio, la questione della nascita è chiara? La prossima volta ci soffermeremo sulla questione dell’amore materno; cercheremo di capire che cosa sia, all’interno dei due grandi atti che segnano la nascita del bambino fino al primo anno e mezzo di vita. Che cosa significa prendersi cura del bambino da un punto di vista dell’amore della madre che si prende cura del bambino. Le cure materne, come prima fase di vita dell’individuo dopo la nascita. Siamo arrivati appunto ad una madre che ha partorito e spesso si imbatte in una crisi post-parto. Siamo a questo punto, alla crisi depressiva, che se c’è significa che tutte le energie della madre, della donna sono state rivolte, sovrainvestite nell’esser madre. La depressione post-parto si realizza perché appunto la donna/madre, avverte un vuoto dentro di sé dopo il parto che non riesce a sostenere e il bambino reale che dovrebbe essere la gioia, il frutto del parto, in realtà non riesce ad essere perché la donna avverte questo svuotamento di energie che l’avevano sostenuta durante la gravidanza, nel costruire questo immaginario del suo bambino ideale, immaginario appunto. Quindi la depressione, quando è lieve è sicuramente superabile, ma quando è considerevolmente accentuata, ripetuta eccetera, la donna rischia anche di non potersi occupare del bambino reale, perché sempre impegnata a rimpiangere in modo nostalgico il bambino immaginario.
Intervento: e lo getta dalla finestra.
Guidi: oppure può gettare se stessa dalla finestra. Lo svuotamento che si materializza dopo la gravidanza, in alcuni casi ha portato anche a gravi forme di malattia mentale, anche a psicosi: il vuoto ha fatto letteralmente implodere il soggetto dentro il vuoto stesso. Perché accade questo? Perché tutto quello che vi era prima del parto, questa costruzione di una maternità era decisamente fragile, un’impalcatura che non ha tenuto. Una madre che ha riposto in questo bambino costruito nel suo immaginario tutta se stessa. Quindi diciamo che si tratta di una compensazione; ma siccome il bambino immaginario è un bambino reale, non è una creazione, un’opera d’arte, ma una creatura che viene da dentro il corpo della madre, evidentemente tutto questo ha fatto implodere il soggetto, per una compensazione che non ha compensato un bel niente ma che contrariamente ha svelato una psicosi sotterranea o psicosi bianca.
In altri casi, quando la depressione è leggera si tratta di qualcosa di biologico, dovuta alla difficoltà del parto e porta la donna a entrare in crisi perché può non sentirsi all’altezza di sostenere il bambino reale anche se vorrebbe. Sono casi in cui è necessario un sostegno formidabile da parte del compagno, da parte delle persone di famiglia. Siamo a questo punto insomma. Vorrei concludere con un passo interessante di Sigmund Freud che vorrei leggervi:
“Tutto il periodo dello sviluppo della prima infanzia ha un’importanza fondamentale e la sua educazione, spesso sul piano affettivo, è determinante. La motivazione inconscia spesso influisce sul comportamento almeno quanto quella cosciente, molte difficoltà per la modificazione dello sviluppo…”.
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