Shanir Ezra Blumenkranz

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di Francesco Greppi e Francesco Pratelli

 

Grazie per il tempo che ci sta dedicando, il suo è stato un concerto bellissimo.

Grazie a voi.

Vorremmo chiederle per prima cosa da dove viene il suo amore per la musica?

Sono una di quelle persone fortunate che non hanno mai dovuto fare una scelta nella vita, in quanto è fin da quando ero piccolo che amo la musica ed ho sempre avuto una chitarra con me. Semplicemente ho sempre suonato.

Come ha avuto la sua prima chitarra?

Me l’hanno comprata i miei genitori, un regalo. All’inizio la “suonicchiavo” e mi ricordo il momento esatto in cui ho trovato sulla chitarra la stessa nota di un brano che stavano mandando alla radio. È stata una sensazione bellissima.

Quanti anni aveva?

Non mi ricordo, ero molto piccolo. Quando poi sono andato a scuola mi hanno detto che la chitarra non serviva nell’orchestra e, dopo avermi guardato le mani, i miei insegnanti hanno aggiunto: «Ok, suona il basso». Così ho iniziato a suonare il contrabbasso. C’è da dire comunque che mi sono sempre piaciuti gli strumenti a corda.

Quindi è questo il motivo per cui ha incominciato a suonare il contrabbasso e non la chitarra?

Sì, ho suonato il contrabbasso e il basso elettrico, anche se poi ho trovato anche altri strumenti. Sapete, quando si è giovani si cerca di capire chi si è, quindi ho pensato che il modo migliore per sapere chi fossi fosse quello di guardare nel mio Dna: le origini di mia madre e di mio padre, le origini dei miei nonni, la loro provenienza. Mia madre è egiziana, ed è per questo motivo che ad un certo punto decisi di provare l’oud. Ho imparato a suonarlo a partire quindi dalle mie origini, forse per non perdere le mie radici.

Non è lo strumento che suonava stasera…

No, l’oud è diverso, è una specie di chitarra araba. Ogni strumento che suono è una parte delle mie radici. Molto tempo fa scoprii infatti che le mie origini si estendevano anche al Marocco, e per questo motivo ho iniziato a suonare il gimbri, che è lo strumento che suonavo stasera.

Cosa ascoltava alla radio? Lo chiedo perché la musica che suona adesso è molto particolare, come è arrivato a suonarla?

Attraverso un lungo processo di crescita. Sono nato nel 1975 e quindi ho ascoltato alla radio la musica degli anni ’80, ma ho sempre pensato che ci fossero altri modi di suonare. Da ragazzo scoprii la musica e le sonorità di John Zorn e la musica d’avanguardia, così cominciai ad interessarmi a quel genere di musica tanto da andare a New York dove si trovavano quei musicisti e frequentarli, ascoltarli.

Come ha incontrato John Zorn?

Avevo un gruppo, un trio, un giorno gli abbiamo dato il cd, gli è piaciuto e così l’ha prodotto; da allora siamo diventati amici e abbiamo lavorato insieme. Ci ha dato le sue composizioni affinché le arrangiassimo. È un grande onore suonare la sua musica.

In effetti la musica di John Zorn ha qualcosa di unico, e per questo vorrei chiederle qual’è, secondo lei, la particolarità di questa musica?

Ci sono solo 12 note nella musica occidentale, quindi si tratta di diverse combinazioni, ma la musica di Zorn ha qualcosa di spirituale. I Book of Masada scritti da Zorn, penso che siano la sua musica sacra, di conseguenza la trattiamo con rispetto e la suoniamo correttamente. Quando l’ho conosciuto, ero “dipendente” a tutti gli effetti dal gimbri, perché lo suonavo ad ogni ora del giorno e della notte, e quando John Zorn mi ha dato la sua musica da suonare – che è molto complicata, a differenza di quella per cui tradizionalmente questo strumento viene usato – per me è stata una sfida leggerla attraverso l’utilizzo di questo strumento altrettanto particolare che è il gimbri. Il gimbri è uno strumento che viene utilizzato per provocare in chi lo ascolta una specie di stato di trance o di ipnosi, immaginatevi con la musica di Zorn…

Durante il concerto lei ha detto una cosa molto importante a proposito del “rumore”, potrebbe ripetercela?

È mia opinione professionale che il rumore sia una parte veramente importante della musica, nello specifico di quella “ipnotica”, trance, che si suppone debba apportare cambiamenti all’interno delle persone. Penso che il rumore porti le persone fuori dalla loro comfort zone, renda possibile il fatto di essere in uno spazio diverso, che molto probabilmente non è altrettanto comodo, ma in cui possono accadere cose nuove. Questa è la sfida: mettere elementi di rumore dentro il mondo del gimbri e di Zorn. A questo scopo abbiamo creato Abraxas (il gruppo con cui mi sono esibito stasera): non mi sarebbe stato possibile portare a termine questo progetto senza la partecipazione dei chitarristi più “pazzi” di New York, Aram Bajakian e Eyal Maoz, che hanno fatto confluire nelle composizioni quella componente fondamentale che è appunto il rumore, e del “mostro”, il migliore e più potente batterista in circolazione, Kenny Grohowski.

Al riguardo dell’improvvisazione cosa può dirci?

Penso che la vera improvvisazione sia qualcosa che posso definire come la prima nota. Tutto ciò che segue è una reazione a questa prima nota. Per esempio se mi avvicino a te e non ti conosco, la mia improvvisazione è quella di dirti “Ciao”, da questo momento in poi abbiamo un punto da cui incominciare. Diventa quasi automatico, nel senso che io parlo, tu mi rispondi e così via. Lo stesso vale per l’improvvisazione. L’improvvisazione è un linguaggio, ma la prima nota viene sempre dal niente.

Quindi questa sera la prima nota che ha suonato ha rappresentato l’inizio del concerto…

Certamente, è l’inizio della conversazione, l’inizio del rituale.

Stupefacente!

Grazie. Quello di stasera è stato un bel concerto, mi è piaciuto. Abbiamo suonato migliaia di volte in Italia ma è stata la prima volta che venivamo a Pisa. Abbiamo suonato a Milano ieri, prima ancora a Forlì, domani suoneremo a Salisburgo e poi in Slovenia. Questo è stato un tour fatto da undici date, e ne mancano soltanto due alla fine e questo ci rende un po’ tristi, non vorremmo mai smettere di suonare.

Pensa che sia necessario imparare a suonare nelle scuole?

Penso che devi imparare a suonare dovunque puoi. La scuola è buona per diverse ragioni, una di queste è che hai un sacco di studenti intorno e ciò è importante perché hai bisogno di persone da cui poter imparare e con cui suonare insieme; ma è anche importante tenere gli occhi aperti sulla realtà delle situazioni, sulla realtà della musica, uscire a cercare la musica e le sue radici: se sei interessato ad un certo tipo di musica occorre che queste radici le cerchi, e non necessariamente le trovi nelle scuole.

E suonare con qualcuno più bravo di te? Con un maestro?

Certamente, il maestro è importante. Ho imparato tanto da John Zorn sulla musica e sulla vita, ho imparato da tutte le persone con cui ho suonato. Qualche volta puoi imparare cose straordinarie persino dai bambini, chiunque ha qualcosa di speciale. Sicuramente il maestro ha tanto da dare.

 

* * * 

Intervista realizzata al Deposito Pontecorvo organizzato da PisaJazz, Dodici mesi di Jazz dal vivo, 6 dicembre 2017.

Traduzione di Francesco Greppi

 

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