Sergio Benvenuto
di Andrea Carnesecchi e Francesco Pratelli
Ci sono persone che studiano psicanalisi per trent’anni, che magari hanno anche avuto i migliori analisti in circolazione, ma che comunque non ci capiranno mai niente. Alcune persone sono assolutamente negate per la psicoanalisi. Ma questo capita in tutti campi, anche in filosofia. Puoi aver letto centinaia di volumi di filosofia, e non essere capace di elaborare nemmeno una piccola idea originale in filosofia.
E cosa significa essere negati in filosofia? Ostinarsi a studiarla e a volerla capire nonostante in realtà non ci interessi veramente?
No, anzi! Chi è negato in filosofia o in psicanalisi ne è sempre molto affascinato pur rendendosi conto che non potrà mai né filosofare né psicoanalizzare. A uno psicanalista “negato” gli manca l’intuito psicanalitico, ciò significa che non riesce a pensare metaforicamente e metonimicamente, e con questo non intendo dire che sia uno stupido. Possono essere geniali in chimica, ma negati per la psicanalisi. Altre persone, invece, che magari hanno studiato anche poco, dopo uno o due anni di pratica, sviluppano questo intuito e lo si capisce dal fatto che, non appena si parla di un caso, subito azzeccano il nocciolo della questione.
Quindi in psicanalisi si tratta più che altro di intuizione?
Intuizione sì, certamente, ma guidata. Anche in filosofia ho conosciuto professori che, pur essendo arrivati al massimo della carriera diventando grandi manager della filosofia, mancavano comunque di ogni intuito filosofico. Una volta ho avuto modo di parlare con quello che veniva considerato il maggior esperto al mondo di Giordano Bruno. Assieme a un francese, altro buon conoscitore di quest’autore, lo andammo a trovare per discutere di alcuni problemi riguardanti l’interpretazione di certi testi di Bruno, che spesso, come saprete, può essere molto complessa. Immediatamente l’esperto diede prova della sua conoscenza filologica assolutamente straordinaria, ma quando il francese gli chiese che cosa significasse filosoficamente il testo che stavamo affrontando, lui rispose: «Che ne so!». Cioè, era bravissimo nella filologia ma non capiva niente del pensiero di Bruno, da cui comunque era molto affascinato.
È possibile che alcune persone abbiano un sapere inconscio della filosofia ma che non riescano ad esprimerlo. Alcuni di loro, poi, si incattiviscono perché si rendono conto di avere sbarrata la via alla filosofia, quindi fanno carriera in qualche facoltà di filosofia e accumulano potere proprio per poi potersi vendicare dei veri filosofi. In tutti i campi esistono questi grandi manager che accumulano potere politico per mascherare il fatto che non ci capiscono niente. In tutti i campi che ho frequentato, cioè la psichiatria, la psicanalisi, la filosofia e la saggistica politica, ho incontrato persone che non solo non ne sanno, ma che non capiranno mai nulla del campo in cui eccellono, e questo proprio perché il loro cervello non è conformato per capire queste cose. Per questa stessa ragione accumulano potere, e spesso odiano e sabotano chi invece ci capisce qualcosa, chi ha un talento da esprimere. Accumulano potere filosofico per uccidere, inconsciamente, la filosofia.
Questa è forse un’altra delle ragioni per cui in Italia stiamo assistendo a tale scadimento universitario. Parlo con molti amici filosofi che insegnano all’università – amici che stimo e che rispetto, veri filosofi che scrivono cose ottime – e mi dicono che la Facoltà di Filosofia è piena solo di storici della filosofia che intralciano i veri filosofi. Dire che la filosofia è solo storia e quindi limitarsi a fare solo indagini storiche, significa espellere chi invece cerca di pensare filosoficamente.
Cosa significa pensare filosoficamente? A nessuno dei due, infatti, è così chiaro in che cosa consista davvero l’esercizio del pensiero filosofico e questo, probabilmente, dipende dal fatto che nel clima universitario che ci circonda tale questione viene passata sottotraccia. Era proprio questo che intendevamo farci raccontare chiedendole dei suoi anni di studio a Parigi: come veniva vissuta la filosofia in quel periodo, che ruolo e che importanza le venivano riconosciute? Immagino non si riducesse, come invece accade oggi, ad un mero esercizio di erudizione e che non si svolgesse solo all’interno delle aule universitarie…
Sì, effettivamente era così, la cultura francese negli ultimi cinquant’anni è stata certamente la cultura più “filosofica”, più di quella tedesca. Come dicevano gli inglesi, in effetti a Parigi per loro la filosofia si faceva nei cafè, mentre in Inghilterra la si faceva a Oxford e a Cambridge. Il cafè parigino, a quei tempi, era un luogo filosofico a tutti gli effetti, nel senso che poteva capitare di incontrarvi per caso dei giovani che magari si occupavano come te di psicanalisi, di filosofia, di arte o di letteratura; come oggi in Italia è facile incontrare al bar persone che conoscono bene il calcio… In questo senso, era abbastanza comune conoscere persone con i tuoi stessi interessi. In un ambiente del genere, con migliaia e migliaia di persone, specialmente di giovani, che si occupavano di queste cose, non c’era bisogno di andare in Facoltà per fare filosofia. Ma questo, in qualche modo, avveniva anche in Italia, penso a Napoli o a Roma per esempio, però devo dire che a Parigi la posizione regale della filosofia era molto più marcata.
Non si deve dimenticare che la Francia ha avuto una figura, quella dell’intellectuel, che altre nazioni non hanno avuto e il cui termine corrispondente neanche esiste in altre lingue, come ad esempio in inglese. Ma anche andando indietro nel tempo, pensate allo stesso Parti des Philosophes del Settecento, ci si accorge che la Francia ha sempre avuto nella sua tradizione un certo tipo di intellettuale non specializzato o, se anche specializzato, comunque partecipe di un clima più da cafè, o da ristoranti tipo la Closerie des Lilas – ristorante con piano-bar frequentato da generazioni di grandi intellettuali – piuttosto che accademico. In genere in Italia l’intellettuale si dedica alla politica e, in questo senso, il tipico intellettuale italiano è Cacciari, cioè un filosofo che si mette a fare il sindaco di una grande città. L’intellectuel francese, invece, non si metterebbe mai a fare il sindaco, il deputato o il senatore. Sarebbe persino degradante per lei o per lui. Tutti i grandi intellettuali francesi che hanno fatto politica, da Zola con il caso Dreyfus fino a Sartre, a Foucault e a tutti gli altri, mai si sono messi a fare politica “bassa”, candidandosi alle elezioni e quant’altro. Potete immaginarvi un Foucault sindaco di Grenoble, per esempio?!
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Intervista realizzata il 16/6/2018
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